Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21569 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21569 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/07/2025
Oggetto: Tributi
CESSIONI ALL’ESPORTAZIONE REGIME DI ESENZIONE IVA
ART. 8, COMMA 1, LETT.C DPR N. 633/72
ORDINANZA
Sul ricorso n. 2762 del ruolo generale dell’anno 2024 proposto
Da
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv.to NOME COGNOME in forza di procura speciale su foglio separato allegato al controricorso,
elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio del primo difensore, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia -Romagna, n. 972/09/2022, depositata in data 23 agosto 2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME di Nocera;
RILEVATO CHE
l’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale dell’Emilia -Romagna aveva rigettato l’appello proposto nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , avverso la sentenza n. 637/01/2018 della Commissione Tributaria Provinciale di Bologna che aveva accolto il ricorso proposto dalla suddetta società, esercente l’attività di commercio all’ingrosso di computer e software, avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio, previo p.v.c. dell’Ufficio delle Dogane di Bologna, aveva recuperato, per il 201 5, l’Iva relativa a cessioni di merci effettuate in regime di non imponibilità ex art. 8, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 633/72 nei confronti di clienti nazionali che erano risultati emittenti false dichiarazioni di intento attestanti lo status di esportatore abituale ex art. 1 del d.l. n. 746/83.
In punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha affermato che: 1) l’esclusione del regime di esenzione Iva sulle cessioni verso paesi esteri doveva essere applicata soltanto ove risultasse, in base ad elementi oggettivi, che il contribuente sape va o avrebbe dovuto sapere che l’operazione effettuata rientrava in un’evasione posta in essere dall’acquirente senza adottare tutte le misure ragionevoli per evitare di parteciparvi (è richiamata Cass. n. 26062/2015); nella specie, la società contribuente aveva dimostrato di avere effettuato i necessari controlli in ordine alla formale legittimazione dei suoi
cessionari alla esportazione, attingendo dalla documentazione pubblica disponibile (sistema VIES, CCIAA, etc.) durante il periodo in cui aveva intrattenuto i rapporti commerciali con le ditte sue clienti; 2) l’Amministrazione finanziaria aveva, al contrario, acquisito ulteriori informazioni da banche-dati, non accessibili da parte dei privati; 3) come osservato dalla contribuente, alcune ditte sue clienti avevano conservato le autorizzazioni alla effettuazione delle cessioni intracomunitarie; 4) nella sentenza di primo grado si era dato atto -senza che la circostanza fosse stata contestata dall’Agenzia delle entrate – che, in sede penale, l’amministratore della società contribuente era stato assolto dall’accusa di avere partecipato alla frode (perché il ‘fatto non sussiste’), circostanza che ne confermava la sostanziale correttezza dell’operato;
Resiste, con controricorso, la società contribuente, che ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1.Preliminarmente va rilevata la tempestività della proposizione del ricorso per cassazione.
1.2.Ai sensi del comma 199 dell’art. 1 della legge n. 197/2022: « Per le controversie definibili sono sospesi per undici mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore della presente legge e il 31 ottobre 2023 ».
1.3. Il periodo di 11 mesi deve essere aggiunto al termine computato secondo le ordinarie regole processuali (Cass. Civ., Sez. V, 20/03/2024, n. 7510).
1.4.Nella specie – a fronte della sentenza impugnata depositata in data 23 agosto 2022 il termine di sei mesi ex art. 327, comma 1, c.p.c., scadeva in data 28 febbraio 2023 (quindi nella forbice temporale, prevista dal comma 199 dell’art. 1 della legge n. 197/22, tra il 1° gennaio 2023 e il 31 ottobre 2023), per cui allo stesso, dalla data della sua scadenza naturale, era applicabile la sospensione di undici mesi di cui all’art.1, comma 199, della legge n. 197/2022, con
conseguente scadenza del termine ultimo per impugnare in data 28 gennaio 2024 – caduto di domenica e prorogato al 29 gennaio 2024- e tempestività del ricorso per cassazione notificato via pec in data 28.01.2024, presso l’indirizzo di posta elettronica del procuratore domiciliatario della società del grado di appello (eEMAIL.
2.Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. e dell’art. 8, comma 1, lett. c) del DPR n. 633/72 nonché dell’art. 115 c.p.c. per avere la CTR confermato l’illegittimità dell’avviso di accertamento in questione ritenendo integrati con riguardo alle cessioni di beni contestate i presupposti per la fruizione del regime agevolato di non imponibilità di cui all’art. 8 cit. atteso che la società contribuente aveva dimostrato di avere eseguito i necessari controlli in ordine alla formale legittimazione dei suoi cessionari all’esportazione, attingendo dalla documentazione pubblica disponibile. Diversamente, ad avviso della ricorrente, da un lato, il rilevato controllo da parte della contribuente circa la formale legittimazione dei suoi cessionari all’esportazione non concretizzava la condizione relativa alla adozione di ‘tutte le ragionevoli misure in proprio potere’ per evitare un coinvolgimento nelle attività fraudolente; dall’ altro, la CTR avrebbe omesso la doverosa analitica e unitaria valutazione del complesso indiziario addotto dall’Ufficio (ad es., tre delle quattro fatture emesse nei confronti del cessionario RAGIONE_SOCIALE riportavano una data antecedente a quella in cui quest’u ltimo era stato iscritto al VIES, e dunque, erano state emesse prima che l’acquirente potesse operare in ambito comunitario; la società contribuente aveva effettuato il controllo VIES solo successivamente all’emissione delle fatture; dalle visure camerali in possesso della contribuente risultava che RAGIONE_SOCIALE difettava di un’organizzazione adeguata a svolgere l’attività di commercio in oggetto; le merci erano state sempre consegnate in Italia; negli anni 2013-2015, RAGIONE_SOCIALE aveva effettuato una percentuale crescente di cessioni a falsi esportatori) per supportare la conoscenza e/o conoscibilità da parte della contribuente dell’assenza delle condizioni legali per l’applicazione del regime di sospensione di imposta, facendo riferimento, peraltro, a circostanze del tutto
irrilevanti (il fatto che alcune ditte sue clienti avessero conservato le autorizzazioni alla effettuazione di cessioni intracomunitarie e che l’Amministrazione avesse la possibilità di acquisire ulteriori informazioni da banche-dati non a disposizione dei privati).
3.Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 654 c.p.c., 2727 e 2729 c.c. e 115 c.p.c. per avere la CTR – peraltro richiamando un precedente della Corte di cassazione (n.26062/2015) relativo alla diversa fattispecie delle cessioni intracomunitarie -attribuito valenza indiziaria alla sentenza penale che aveva assolto (perché il fatto non sussisteva) il rappresentante legale della società contribuente dal rea to di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74/2000, senza porla a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti al giudizio e sebbene si riferisse a fatti (utilizzo e emissione da parte della contribuente, per l’anno 2009, di fatture soggettivamente inesist enti) diversi da quelli contestati nel giudizio tributario; peraltro la CTR – nel confermare la sentenza di primo grado- avrebbe dato rilievo anche al decreto di archiviazione in essa richiamato, sebbene tale provvedimento non impedisse una diversa valutazione dello stesso fatto da parte del giudice tributario, stante la mancanza di un processo e, dunque, di preclusioni di alcun genere.
4.Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del primo motivo di ricorso , palesandosi quest’ultimo autosufficiente in quanto sviluppa una sintesi chiara dell’intera vicenda processuale e mette in luce le ragioni a sostegno dello stesso, con espressa menzione degli atti processuali su cui si fonda (p.v.c. e avviso di accertamento allegati al ricorso).
5. Priva di pregio è, altresì, l’eccezione d’inammissibilità del primo motivo che la controricorrente prospetta in base alla considerazione che l’Agenzia tenderebbe ad ottenere la rivalutazione del merito; in realtà, la ricorrente non ha contestato la ricostruzione in fatto operata in sentenza, ma la violazione delle norme in tema di regime di non imponibilità Iva delle cessioni all’esportazione e di formazione del giudizio sulla prova presuntiva.
Va, parimenti, rigettata l’eccezione di inammissibilità del secondo motivo di ricorso per avere introdotto una censura nuova non articolata nei precedenti gradi di merito; invero, l’Agenzia con il mezzo in questione, senza ampliare il thema decidendum , ha aggredito la statuizione della CTR in merito alla asserita valenza indiziaria della sentenza penale di assoluzione del rappresentante legale della società contribuente denunciando la non corretta applicazione delle norme in tema di c.d. doppio binario tra giudizio tributario e quello penale. Nè la contribuente ha denunciato, con ricorso incidentale, un eventuale error in procedendo del giudice di appello sul punto.
7.I motivi -da trattare congiuntamente- sono fondati per le ragioni di seguito indicate.
7.1.Con riguardo alle cessioni all’esportazione in riferimento alle quali sono state contestate irregolarità delle dichiarazioni di intento rilasciate dai cessionari, l’art. 8, comma 1, lett. c) del d.P.R. n.633/72 dispone che costituiscono cessioni non im ponibili ai fini Iva: «le cessioni, anche tramite commissionari, di beni e le prestazioni di servizi rese a soggetti che, avendo effettuato cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie, si avvalgono della facoltà di acquistare o importare beni e servizi senza il pagamento dell’imposta». Il successivo comma 2 prevede che: «le cessioni e le prestazioni di cui alla lett. c) sono effettuate senza pagamento dell’imposta…..su loro dichiarazione scritta e sotto la loro responsabilità». L’art. 7, comma 3 del d.lgs. n. 471/97 stabilisce che qualora la dichiarazione d’intento «…sia stata rilasciata in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, dell’omesso pagamento del tributo rispondono esclusivamente i cessionari, í committenti e gli importatori che hanno rilasciato la dichiarazione stessa». Va, tuttavia, sottolineato che la lotta contro la frode, l’evasione fiscale ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA (da ultimo, Corte giust. 8 maggio 2019, causa C-712/17, EN.SA., punto 31). E a fronte della partecipazione del cedente al meccanismo frodatorio o della consapevolezza di esso, permarrebbe il rischio di perdita di gettito dell’erario qualora i cessionari o committenti fossero
soggetti inesistenti o del tutto incapienti. Il sistema per conseguenza non consente l’esercizio fraudolento del diritto correlato alla qualità di esportatore abituale qualora, anche in base a elementi presuntivi, emerga che il cedente disponesse di elementi tali, da sospettare l’esistenza di irregolarità e da sollecitare il suo onere di diligenza (si veda Cass. n. 9586 del 2019, che fa leva sull’adozione di tutte le ragionevoli misure disponibili). Quindi, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema d’IVA, la non imponibilità delle cessioni all’esportazione effettuate nei confronti di esportatori abituali, prevista dall’art. 8, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 633/1972, non può essere subordinata alla sola formale specifica dichiarazione d’intento dell’esportatore ove questa sia ideologicamente falsa, occorrendo in tale ipotesi che il contribuente cedente dimostri l’assenza di un proprio coinvolgimento nell’attività fraudolenta, ossia di non essere stato a conoscenza dell’assenza delle condizioni legali per l’applicazione del regime di non imponibilità o di non essersene potuto rendere conto pur avendo adottato tutte le ragionevoli misure in suo potere (Cass. n. 19896 del 2016; Cass. n. 9586 del 2019); se la dichiarazione d’intento si riveli ideologicamente falsa, perché emessa da soggetto privo del requisito di esportatore abituale, al cedente non è consentito l’esercizio fraudolento del diritto di valersi del limite di esecutività correlato alla suddetta qualità di esportatore abituale qualora, anche in base ad elementi presuntivi, disponga di elementi tali da sospettare l’esistenza di irregolarità, gravando sul medesimo un onere di diligenza mediante l’adozione di tutte le ragionevoli misure in proprio potere (Cass. n. 14979 del 2020; Cass., sez. 5, Ordinanza n. 23301 del 2024).
7.2.Posto quanto sopra, quanto al censurato malgoverno del materiale probatorio da parte del giudice di merito, è pacifico che competa alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 c.c. alla fattispecie concreta, poiché se è devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica,
il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (cfr. Cass., sez. 5, ord. 19352 del 2018, Cass., sez. 6-5, n. 10973/2017, Cass., sez. 5, n. 1715/2007). La giurisprudenza di legittimità ha tracciato il corretto procedimento logico del giudice di merito nella valutazione degli indizi, affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorché preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (tra le più recenti cfr. Cass., sent. n. 12002/2017; Cass., ord. n. 5374/2017; Sez. 5, Ordinanza n. 37404 del 2021).
7.3.Nella sentenza impugnata la CTR non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi in quanto a fronte della contestazione dell’indebita fruizione da parte del cedente del regime di non imponibilità Iva di cui all’art. 8, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 633/72 stante la emersa falsità delle dichiarazioni di intento dei suoi clienti cessionari, non essendo in possesso dei requisiti necessari per la qualifica di esportatori abituali -ha ritenuto assolto l’onere probatorio a carico del cedente circa l’assenza di un proprio coinvolgimento nell’attività fraudolenta sulla base di controlli ‘ in ordine alla formale legittimazione dei suoi cessionari all’esportazione attingendo dalla documentazione pubblica disponibile ‘ che di per sé non erano significativi a comprovare l’effettivo status di esportatori abituali dei cessionari; peraltro, la CTR- dando rilievo a circostanze irrilevanti quali il fatto che alcune ditte sue clienti avevano conservato l’autorizzazione alla effettuazione di cessioni intracomunitarie e che l’Amministrazione poteva acquisire ulteriori informazioni da banche -dati precluse ai privati- ha omesso di valutare – in un giudizio globale e non atomistico- gli elementi indiziari addotti dall’Ufficio (ad es. la mancanza in capo al cliente RAGIONE_SOCIALE di una organizzazione adeguata a svolgere l’attività di commercio di materiale informatico, essendo risultato da informazioni acquisite dal Web, lo svolgimento
della diversa attività di progettazione; la consegna delle merci acquistate da RAGIONE_SOCIALE sempre in Italia; previe contestazioni nei confronti di RAGIONE_SOCIALE di altre cessioni a falsi esportatori; v. pagg. 20 e segg. del p.v.c. nonché pagg. 7 e segg. dell’avvi so allegati al ricorso), quali possibili indici di una conoscenza e/o conoscibilità da parte della contribuente-cedente dell’assenza delle condizioni legali per l’applicazione del regime di non imponibilità d’imposta con l’impiego di una diligenza qualificata richiesta per la sua attività.
7.4.Quanto al secondo motivo, va preliminarmente osservato che, nella specie, non può trovare applicazione – quale ius superveniensl’art. 21 -bis del d.lgs. n. 74/2000, introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. m), d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87 di revisione del sistema sanzionatorio tributario e penale, in attuazione della legge delega 9 agosto 2023 n. 111, con riguardo alla sentenza penale – richiamata nella sentenza impugnata – che aveva assolto (perché il fatto non sussisteva) il rappresentante legale della società contribuente dal reato di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74/2000, atteso che quest’ultima -di cui non si precisa neanche l’avvenuto passaggio in giudicato -risulta pacificamente emessa a seguito di giudizio abbreviato (v. stralcio memoria della società riprodotto a pag. 4 del ricorso).
7.5.Posto quanto sopra, premesso che, stante l’autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dall’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna; che, pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie, ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale
probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli elementi di prova acquisiti al giudizio (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 28174 del 24/11/2017; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16262 del 28/06/2017; Cass., sez. 5, n. 16858 del 2021; v. anche Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19786 del 27/09/2011); nella sentenza impugnata, il giudice di appello, in violazione dei suddetti principi ha attribuito una valenza indiziante alla sentenza penale (‘ già nella sentenza di primo grado è stato dato atto ..che, in sede penale, l’amministratore della appellata è stato assolto dall’accusa di avere partecipato alla frode perché il fatto non sussiste, circostanza che ne conferma la sostanziale correttezza del l’operato ‘) da un lato, senza apprezzarne il contenuto al fine di verificare la identità dei fatti contestati in sede penale con quelli rilevanti, nella specie, sul piano tributario, e, dall’altro senza porre a confronto tale sentenza penale – della quale non viene, peraltro, neanche specificato il passaggio in giudicato – con gli altri elementi indiziari addotti dall’Ufficio, peraltro minimamente considerati. Alcun richiamo nella sentenza impugnata è, invece, effettuato dal giudice di appello al decreto di archiviazione, avendo ritenuto assorbente il richiamo alla sentenza penale di assoluzione del legale rappresentante dall’accusa di avere partecipato alla frode ‘perché il fatto non sussisteva’.
8.In conclusione, il ricorso va accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna, in diversa composizione;
P.Q. M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna, in diversa composizione;
Così deciso in Roma il 11 giugno 2025