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Frode IVA: quando il venditore è responsabile?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21569/2025, chiarisce la responsabilità del cedente in caso di frode IVA commessa dall’acquirente che si dichiara falsamente ‘esportatore abituale’. La Corte ha stabilito che i soli controlli formali non sono sufficienti a dimostrare la buona fede del venditore. È necessario un esame complessivo di tutti gli indizi a disposizione per escludere che il venditore sapesse o dovesse sapere della frode. Viene inoltre ribadita l’autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, specificando che un’assoluzione in sede penale non è automaticamente vincolante per il giudice tributario.

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Pubblicato il 21 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode IVA e Dichiarazioni d’Intento: la Cassazione detta le regole sulla diligenza del venditore

L’ordinanza n. 21569 del 27 luglio 2025 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sulla frode IVA legata alle cessioni ad esportatori abituali. La Suprema Corte ha chiarito i confini della responsabilità del fornitore quando il cliente utilizza dichiarazioni d’intento false, sottolineando che la semplice diligenza formale non basta per escludere il coinvolgimento, anche inconsapevole, nella frode.

I Fatti del Caso

Una società operante nel commercio di computer e software si era vista notificare un avviso di accertamento dall’Amministrazione Finanziaria. L’oggetto della contestazione era il recupero dell’IVA su vendite effettuate nel 2015 in regime di non imponibilità. Tali vendite erano state realizzate nei confronti di clienti nazionali che avevano presentato dichiarazioni d’intento, attestando falsamente il loro status di ‘esportatori abituali’.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva dato ragione alla società, sostenendo che l’esenzione IVA potesse essere negata solo se il contribuente ‘sapeva o avrebbe dovuto sapere’ della frode posta in essere dall’acquirente. Secondo la CTR, la società aveva dimostrato la propria buona fede, avendo effettuato i controlli necessari sulla documentazione pubblica disponibile (come il sistema VIES). Inoltre, l’assoluzione dell’amministratore in un parallelo procedimento penale con la formula ‘il fatto non sussiste’ era stata considerata una conferma della correttezza del suo operato.

La Questione Giuridica: Diligenza e Onere della Prova nella Frode IVA

Il cuore della controversia ruota attorno all’onere della prova e al livello di diligenza richiesto al cedente. La normativa (art. 8, DPR 633/72) consente di effettuare cessioni senza IVA a soggetti che si qualificano come esportatori abituali tramite una dichiarazione di intento. Ma cosa succede se tale dichiarazione è ideologicamente falsa?

La questione sottoposta alla Cassazione era se i controlli formali eseguiti dal venditore (verifica iscrizione VIES, visure camerali) fossero sufficienti a scaricare su di lui ogni responsabilità. L’Amministrazione Finanziaria sosteneva di no, avendo fornito una serie di indizi che, nel loro complesso, avrebbero dovuto insospettire un operatore diligente.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, cassando la sentenza della CTR. Il ragionamento della Corte si basa su due pilastri fondamentali:

1. Valutazione Globale degli Indizi: La CTR ha errato nel non considerare il quadro indiziario nel suo insieme. La prova della consapevolezza o conoscibilità della frode da parte del cedente può essere raggiunta anche tramite presunzioni (art. 2729 c.c.). Il giudice di merito non può limitarsi a valutare gli elementi singolarmente, ma deve procedere a un esame complessivo e unitario. Nel caso di specie, l’Agenzia aveva evidenziato diverse anomalie: fatture emesse prima dell’iscrizione del cliente al VIES, una struttura aziendale dell’acquirente inadeguata, la consegna delle merci sempre in Italia e una percentuale crescente di fatturato verso falsi esportatori. Questi elementi, visti insieme, costituivano un campanello d’allarme che la CTR aveva ingiustamente ignorato.

2. Autonomia tra Giudizio Tributario e Penale: La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: l’esito del processo penale non è automaticamente vincolante per il giudice tributario. Quest’ultimo ha il dovere di compiere una valutazione autonoma dei fatti e delle prove, che nel processo tributario includono anche le presunzioni semplici, spesso non sufficienti per una condanna penale. Pertanto, la CTR non avrebbe dovuto attribuire un valore decisivo all’assoluzione penale dell’amministratore senza metterla a confronto con tutti gli altri elementi indiziari acquisiti nel giudizio tributario.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Aziende

Questa ordinanza rappresenta un monito per tutte le aziende che operano con esportatori abituali. La diligenza richiesta va oltre il semplice controllo formale. È necessario adottare ‘tutte le ragionevoli misure’ per evitare il coinvolgimento in schemi fraudolenti. Questo significa:

* Non fermarsi alle apparenze: Controllare il VIES è un primo passo, ma non l’unico. È fondamentale valutare la coerenza complessiva dell’operazione commerciale e la struttura del partner commerciale.
* Monitorare le anomalie: Un’improvvisa crescita di ordini, richieste di consegna in luoghi insoliti o una struttura aziendale palesemente inadeguata rispetto al volume d’affari sono segnali che non possono essere ignorati.
* Documentare i controlli: Conservare traccia di tutte le verifiche effettuate è cruciale per poter dimostrare, in caso di contestazione, di aver agito con la massima diligenza possibile.

In conclusione, per non essere ritenuti responsabili di una frode IVA altrui, non basta essere in buona fede, ma bisogna poterla dimostrare attivamente attraverso un comportamento prudente e proattivo.

Quando un’azienda venditrice è responsabile per la frode IVA commessa dal suo cliente ‘esportatore abituale’?
L’azienda venditrice è responsabile quando, sulla base di elementi presuntivi, emerge che essa disponeva di informazioni tali da sospettare l’esistenza di irregolarità e non ha adottato tutte le ragionevoli misure in suo potere per evitare il coinvolgimento nell’attività fraudolenta. La responsabilità sorge se sapeva o, usando la dovuta diligenza, avrebbe dovuto sapere della frode.

I controlli formali, come la verifica dell’iscrizione al VIES, sono sufficienti per dimostrare la propria buona fede in caso di frode IVA del cliente?
No. Secondo la Corte di Cassazione, i soli controlli formali sulla documentazione pubblica disponibile non sono sufficienti a dimostrare l’assenza di coinvolgimento. Il giudice deve valutare l’intero complesso di indizi (come la struttura dell’acquirente, le modalità di consegna, la cronologia delle fatture) per determinare se il venditore abbia agito con la diligenza richiesta.

Una sentenza di assoluzione in un processo penale per reati fiscali ha valore automatico nel processo tributario?
No. La Corte ribadisce il principio dell’autonomia dei due giudizi. Il giudice tributario non è vincolato da una sentenza penale irrevocabile (né di condanna né di assoluzione) e deve procedere a un autonomo apprezzamento delle prove. Questo perché nel processo tributario vigono regole probatorie diverse, che ammettono anche le presunzioni semplici, le quali potrebbero non essere sufficienti a fondare una condanna in sede penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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