LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Frode IVA: prova della consapevolezza del cessionario

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13012/2025, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, chiarendo due principi fondamentali. Primo, la rimessione in termini per un ricorso tardivo è concessa solo per cause eccezionali e non imputabili, escludendo situazioni di mera difficoltà organizzativa. Secondo, in materia di Frode IVA, per negare la detrazione dell’imposta non è richiesta la prova della ‘piena conoscenza’ della frode da parte dell’acquirente; è sufficiente che l’amministrazione finanziaria dimostri, anche tramite indizi, che l’imprenditore ‘sapeva o avrebbe dovuto sapere’ dell’evasione, usando l’ordinaria diligenza.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode IVA: La Cassazione Definisce l’Onere della Prova sulla Consapevolezza

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione interviene su un tema cruciale per le imprese: la Frode IVA e la prova della consapevolezza di parteciparvi. Con la decisione in commento, i giudici chiariscono i confini dell’onere probatorio a carico dell’Amministrazione Finanziaria, stabilendo che non è necessaria la dimostrazione di una ‘piena conoscenza’ della frode da parte dell’imprenditore, ma è sufficiente provare che egli ‘sapeva o avrebbe dovuto sapere’ dell’illecito. Analizziamo la vicenda e le importanti implicazioni di questa pronuncia.

I Fatti del Caso: Una Complessa Vicenda Fiscale

La controversia nasce da alcuni avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di due società per diverse annualità d’imposta. Le contestazioni riguardavano il recupero di costi ritenuti non inerenti, sottofatturazione e, soprattutto, l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, configurando una classica ipotesi di Frode IVA.

Le società avevano ottenuto un parziale accoglimento dei loro ricorsi in primo grado. La Commissione Tributaria Regionale (CTR), tuttavia, aveva respinto sia l’appello principale dell’Agenzia delle Entrate sia quello incidentale di una delle società.

La Decisione della Commissione Tributaria Regionale

La CTR aveva basato la sua decisione su due punti principali:

1. Rimessione in termini: Aveva ritenuto giustificabile il tardivo ricorso di una società contro un avviso di accertamento, concedendo la rimessione in termini. La motivazione risiedeva nella ‘complessa situazione’ generata dalla sovrapposizione di procedure di conciliazione e dall’affidamento, ritenuto incolpevole, dei titolari in una soluzione extragiudiziale.
2. Prova della Frode IVA: Aveva stabilito che, per negare la detraibilità dell’IVA, non bastava che la società fosse astrattamente in grado di conoscere la frode. Secondo la CTR, l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto fornire la prova della ‘piena consapevolezza’ della partecipazione all’illecito, prova che nel caso di specie non era stata raggiunta.

Contro questa sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione.

L’Analisi della Cassazione: I Due Motivi di Ricorso

La Suprema Corte ha accolto entrambi i motivi di ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza della CTR e delineando principi di diritto di notevole importanza pratica.

La Rimessione in Termini: Requisiti di Assolutezza

Sul primo punto, la Corte ha ribadito la sua consolidata giurisprudenza: la rimessione in termini è un rimedio eccezionale. Può essere concessa solo se la decadenza dal termine è stata causata da un fattore estraneo alla volontà della parte, che presenti caratteri di ‘assolutezza’ e non di mera difficoltà. Le circostanze addotte dalla CTR (sovrapposizione di procedure, affidamento in soluzioni stragiudiziali) non integrano questa fattispecie, rappresentando al più difficoltà organizzative interne alla sfera del contribuente. Pertanto, la rimessione in termini non doveva essere concessa.

L’Onere della Prova nella Frode IVA: ‘Sapeva o Avrebbe Dovuto Sapere’

Il secondo motivo di ricorso, cuore della decisione, riguarda l’onere probatorio in caso di Frode IVA. La Cassazione ha censurato la decisione della CTR per aver imposto all’Amministrazione Finanziaria un onere probatorio eccessivo.

I giudici hanno chiarito che, per contestare la detrazione IVA in operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione Finanziaria deve provare, anche solo in via indiziaria:

1. L’oggettiva fittizietà del fornitore.
2. La consapevolezza del destinatario (cessionario) che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta.

Quest’ultimo punto non richiede la prova di una ‘piena conoscenza’, ma la dimostrazione, basata su elementi oggettivi, che ‘il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza professionale, che l’operazione faceva parte di una frode’. Una volta che l’Ufficio fornisce tali elementi indiziari, l’onere della prova si sposta sul contribuente, che dovrà dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto nell’illecito.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione richiamando i principi consolidati sia a livello nazionale che europeo. La ratio è quella di responsabilizzare l’imprenditore, il quale non può limitarsi a una verifica formale dei documenti (es. regolarità della contabilità e dei pagamenti), ma deve adottare una diligenza commisurata alla propria professionalità e alle circostanze del caso concreto. La pretesa della CTR di una ‘piena conoscenza’ della frode è stata giudicata non conforme alla legge, in quanto renderebbe quasi impossibile per l’Amministrazione Finanziaria contrastare efficacemente le frodi carosello, dove spesso la consapevolezza è celata dietro apparenze di legalità.

Le Conclusioni

L’ordinanza ha importanti implicazioni pratiche per le imprese. Ribadisce che la gestione delle scadenze processuali richiede la massima attenzione, poiché la rimessione in termini è un’eccezione difficilmente ottenibile. Soprattutto, in materia di Frode IVA, la decisione conferma che l’imprenditore ha un dovere di diligenza attiva. Non può invocare la propria buona fede se gli indizi a sua disposizione (es. condizioni di vendita anomale, natura del fornitore, etc.) avrebbero dovuto insospettire un operatore mediamente accorto. La sentenza, cassando con rinvio, impone al giudice del merito di rivalutare i fatti applicando il corretto principio sulla ripartizione dell’onere probatorio.

Quando è possibile ottenere la ‘rimessione in termini’ per un ricorso tardivo?
La rimessione in termini è concessa solo quando la scadenza del termine è stata causata da un fattore non imputabile alla parte, che presenti caratteri di assolutezza ed estraneità alla sua volontà. Semplici difficoltà organizzative, come la sovrapposizione di procedure o l’affidamento in soluzioni extragiudiziali, non sono considerate cause sufficienti.

In caso di Frode IVA, cosa deve dimostrare l’Agenzia delle Entrate riguardo alla condotta dell’acquirente?
L’Agenzia delle Entrate non deve provare la ‘piena conoscenza’ o il dolo specifico dell’acquirente. È sufficiente che dimostri, anche tramite elementi indiziari e oggettivi, che il contribuente ‘sapeva o avrebbe dovuto sapere’, usando l’ordinaria diligenza professionale, che l’operazione faceva parte di un’evasione fiscale.

Una volta che l’amministrazione finanziaria ha fornito indizi sulla consapevolezza della frode, cosa deve fare il contribuente?
L’onere della prova si inverte e passa al contribuente. Egli deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto nella frode e di non essere stato a conoscenza della stessa, nonostante l’adozione di tutte le ragionevoli cautele.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati