Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32315 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32315 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28805/2015 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI TREVISO -intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DEL VENETO n. 797/26/15 depositata il 07/05/2015.
Udita la relazione svolta nella PUBBLICA UDIENZA dell’11/06/2024
dal Consigliere NOME COGNOME
Udita la requisitoria del P.G., in persona del sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso. Sentito l’avv. NOME COGNOME per delega dell’avv. NOME COGNOME per la ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 797/26/15 del 07/05/2015, la Commissione tributaria regionale del Veneto (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate (di seguito AE) avverso la sentenza n. 91/02/14 della Commissione tributaria provinciale di Treviso (di seguito CTP), che aveva accolto il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE nei confronti di un avviso di accertamento per IVA relativa all’anno d’imposta 2008.
1.1. Come emerge dagli atti di causa, con l’avviso di accertamento veniva contesta alla società contribuente l’effettuazione di operazioni intracomunitarie fittizie, con conseguente indebita emissione di fatture esenti IVA sebbene la merce fosse stata venduta in Italia e non già alla società rumena RAGIONE_SOCIALE
1.2. La CTR accoglieva l’appello di AE, evidenziando che: a) non sussisteva il denunciato vizio di sottoscrizione dell’atto impugnato, essendo stato lo stesso sottoscritto da un funzionario per delega del titolare dell’Ufficio; b) l’avviso di accertamento conteneva l’indicazione, anche per riassunto, degli elementi indiziari sufficienti alla sua emissione; c) Complast era consapevole di partecipare ad una frode fiscale.
Avverso la sentenza di appello RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, illustrati da memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
NOME resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso di Complast è affidato a sei motivi, i quali vengono di seguito brevemente riassunti.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 56 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e dell’art. 21 septies , comma 1, della l. 7 agosto 1990, n. 241, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto che l’atto impugnato sia stato validamente sottoscritto.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si contesta violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto provati gli assunti dell’Ufficio sulla base di semplici congetture e di circostanze sconosciute alla società contribuente e non provate in giudizio.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione o falsa applicazione della direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 (direttiva IVA), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR reso motivazione apparente e contraddittoria, essendo la contestazione di AE fondata su circostanze non provate e gravando sull’Amministrazione finanziaria il relativo onere probatorio.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso si contesta violazione o falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 7 della l. 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto legittimo un avviso di accertamento al quale non sono stati allegati tutti gli atti in esso richiamati.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa
applicazione dell’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza, e, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. In buona sostanza, la società contribuente si duole del mancato esame dei rilievi concernenti l’utilizzazione della documentazione acquisita nel corso delle indagini penali.
1.6. Con il sesto motivo di ricorso si contesta violazione o falsa applicazione degli artt. 5, 7, 16 e 17 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR applicato le sanzioni in assenza di colpevolezza della società contribuente.
Il primo motivo, concernente la sottoscrizione dell’avviso di accertamento, è inammissibile.
2.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, richiamato, quanto all’IVA, dall’art. 56 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, l’avviso di accertamento deve essere sottoscritto dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato (Cass. n. 5177 del 26/02/2020; Cass. n. 24271 del 30/09/2019; Cass. n. 27871 del 31/10/2018; Cass. n. 9736 del 12/05/2016; Cass. n. 22810 del 09/11/2015; Cass. n. 22800 del 09/11/2015). Peraltro, trattasi di delega di firma e non di funzioni, sicché il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che, pertanto, può estrinsecarsi attraverso ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, ex post , la verifica del potere in capo al soggetto che abbia materialmente sottoscritto l’atto (Cass. n. 8814 del 29/03/2019).
2.2. Nel caso di specie, la CTR ha accertato che l’avviso di accertamento è stato validamente sottoscritto da funzionario munito di delega da parte del dirigente dell’Ufficio.
2.3. La ricorrente mette in discussione tale accertamento, senza trascrivere in parte qua l’atto impositivo e la documentazione sulla base della quale il giudice di appello ha fondato la propria decisione, nonché senza specificamente segnalare la presenza di detti documenti negli atti del giudizio di merito (Cass. S.U. n. n. 8950 del 18/03/2022; Cass. n. 12481 del 19/04/2022).
L’esame del quarto motivo, concernente la corretta motivazione dell’avviso di accertamento, riveste carattere preliminare. Detto motivo è, peraltro, in parte infondato e in parte inammissibile.
3.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, « nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento » (Cass. n. 1906 del 29/01/2008; Cass. n. 28058 del 30/12/2009; Cass. n. 6914 del 25/03/2011; Cass. n. 13110 del 25/07/2012; Cass. n. 9032 del 15/04/2013; Cass. n. 9323 del 11/04/2017; si veda anche Cass. n. 21066 del 11/09/2017).
3.1.1. Pertanto, la riproduzione del contenuto essenziale dell’atto richiamato dall’avviso di accertamento non si realizza
necessariamente, con la pedissequa trascrizione delle sue parti rilevanti nel contesto dell’atto impositivo, ma anche con la semplice indicazione, in forma riassuntiva, del suo contenuto essenziale, per come apprezzato e valutato dall’Amministrazione finanziaria e, quindi, posto a sostegno della pretesa impositiva (Cass. n. 24532 del 09/08/2022, in motivazione; conf., da ultimo, Cass. n. 21670 del 01/08/2024, sempre in motivazione).
3.1.2. Ne consegue che l’obbligo di allegazione riguarda i soli atti che non siano stati riprodotti nella loro parte essenziale nell’avviso di accertamento, con esclusione, altresì: a) di quelli cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur essendo considerati irrilevanti ai fini della motivazione, sono comunque utilizzabili per la prova della pretesa impositiva (Cass. n. 24417 del 05/10/2018); b) di quelli di cui il contribuente abbia già integrale o legale conoscenza (Cass. 9323 del 2017, cit.; Cass. n. 407 del 14/01/2015; Cass. n. 18073 del 02/07/2008).
3.2. Nel caso di specie, la CTR ha chiarito che l’avviso di accertamento contiene, sia pure per stralci, tutti gli elementi di prova che hanno condotto l’Amministrazione finanziaria alla contestazione della pretesa. Si tratta di un’affermazione pienamente rispettosa dei principi più sopra enunciati, dovendo escludersi che AE debba allegare all’atto impositivo tutti gli atti in esso richiamati, nella loro versione integrale.
3.3. Sotto altro profilo, il motivo è inammissibile, sia perché generico (non vengono indicati gli atti la cui allegazione sarebbe stata, a detta della ricorrente, necessaria ai fini della completezza della motivazione dell’avviso di accertamento e le specifiche ragioni di tale necessità), sia perché confonde il piano della motivazione dell’atto impositivo con quello della prova in giudizio delle circostanze in esso dedotte.
Il secondo, il terzo e il quinto motivo possono essere esaminati congiuntamente in quanto attinenti alla valutazione della prova da parte del giudice di appello. Anche tali motivi vanno disattesi.
4.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, « In tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge – rispettivamente art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss. e 2697, comma 2,c.c. » (Cass. n. 14237 del 07/06/2017; Cass. n. 9784 del 23/04/2010).
4.2. Nel caso di specie, il giudice di appello ha ritenuto che -con specifico riferimento alla contestazione di operazioni fittizie e alla conoscenza della situazione da parte di Complast -AE abbia fornito elementi indiziari sufficienti a determinare l’inversione dell’onere della prova. Detti elementi indiziari, invero numerosi, sono stati specificamente elencati a pag. 1 e 2 della sentenza impugnata, la
quale, inoltre, evidenzia alcune circostanze particolarmente rappresentative della assenza di buona fede della società contribuente (interrogatorio reso in sede penale dal sig. COGNOME; esistenza di alcuni assegni che testimoniano i rapporti tra RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE).
4.3. Trattasi di un accertamento di merito, reso con motivazione congrua e niente affatto apparente, nonché rispettoso della regola di distribuzione dell’onere della prova di cui si è dato conto in precedenza; detto accertamento resiste alle censure proposte dalla ricorrente, la quale, con la proposizione di vizi di violazione di legge (secondo e terzo motivo), mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di appello, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017; Cass. n. 8758 del 04/07/2017; Cass. n. 8315 del 05/04/2013).
4.4. Né vale contestare l’utilizzazione delle risultanze del processo penale, come fatto con il quinto motivo di ricorso. A parte i profili di inammissibilità del motivo (che fa riferimento, con argomenti non scindibili, ad una violazione di legge, ad un error in procedendo e ad un vizio di motivazione, senza che sia stata fornita una trattazione separata delle singole censure: cfr. Cass. S.U. n. 9100 del 06/05/2015; Cass. n. 26790 del 23/10/2018; Cass. n. 39169 del 09/12/2021), la CTR ha legittimamente attinto al materiale probatorio in suo possesso, costituito anche (ma non solo) dalle risultanze del processo penale.
4.5. Del resto, spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente
idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 331 del 13/01/2020; Cass. n. 19547 del 04/08/2017; Cass. n. 24679 del 04/11/2013; Cass. n. 27197 del 16/12/2011; Cass. n. 2357 del 07/02/2004).
Il sesto motivo, con il quale si deduce l’assenza di colpevolezza della società contribuente ai fini dell’applicazione delle sanzioni, è infondato.
5.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, « In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dall’art. 3 l. n. 689 del 1981, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, a cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente. È comunque sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e dunque non superabile con l’uso della normale diligenza » (Cass. n. 2139 del 30/01/2020).
5.2. Ciò premesso, nel caso di specie, la CTR ha accertato l’assenza di buona fede della società contribuente, il che giustifica pienamente la comminatoria delle sanzioni.
In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della
contro
ricorrente, delle spese del presente procedimento, liquidate come in dispositivo avuto conto di un valore dichiarato della lite di euro 42.527,00.
6.1. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente procedimento, liquidate in complessivi euro 5.500,00, oltre alle spese di prenotazione a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 11/06/2024.