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Frode IVA: onere della prova e sponsorizzazioni

Un’azienda ha dedotto costi e IVA per sponsorizzazioni sportive, ma l’Agenzia Fiscale ha contestato una frode IVA. La Cassazione ha chiarito che spetta all’amministrazione provare, anche con indizi, che il contribuente sapeva o doveva sapere della frode. La sentenza impugnata è stata cassata perché ha ignorato prove cruciali, come la sproporzione dei costi e la retrocessione di denaro. La Corte ha ribadito che la consapevolezza della frode fa perdere il diritto alla detrazione IVA.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode IVA: La Consapevolezza del Contribuente e l’Onere della Prova

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto tributario: la frode IVA nel contesto di operazioni soggettivamente e parzialmente oggettivamente inesistenti. La decisione chiarisce i confini dell’onere della prova a carico dell’Amministrazione Finanziaria e la diligenza richiesta al contribuente per non perdere il diritto alla detrazione dell’imposta. Il caso, relativo a un complesso schema fraudolento nel settore delle sponsorizzazioni sportive, offre spunti fondamentali per le imprese.

I Fatti: Un Articolato Sistema di Frode nelle Sponsorizzazioni Sportive

La vicenda trae origine da una verifica fiscale che ha smascherato un sofisticato sistema di frode. Alcuni soggetti avevano creato due società estere, una nel Regno Unito e una in Irlanda, prive di una reale struttura operativa. Queste società venivano utilizzate per fatturare prestazioni di sponsorizzazione a diverse aziende italiane interessate a pubblicizzare il proprio marchio su moto da corsa partecipanti a campionati mondiali.

Lo schema era il seguente:
1. Le scuderie sportive cedevano gli spazi pubblicitari sulle moto alle società estere per un prezzo simbolico.
2. Le società estere, a loro volta, fatturavano tali spazi alle aziende sponsor italiane per importi notevolmente gonfiati (circa l’84% in più del valore reale).
3. Le aziende sponsor pagavano le fatture, ma ricevevano in contanti una restituzione (ristorno) di gran parte dell’importo versato, dopo che i fondi erano transitati su conti svizzeri e austriaci.

In questo modo, le aziende sponsor potevano dedurre costi fittizi e detrarre un’IVA molto più alta di quella dovuta, ottenendo un indebito vantaggio fiscale. L’indagine dell’Amministrazione Finanziaria si è basata su prove documentali, intercettazioni e file informatici recuperati dal computer di uno degli ideatori della frode, che mostravano chiaramente la discrepanza tra l’importo fatturato e quello ‘reale’.

Il Percorso Giudiziario e l’Errore dei Giudici di Merito

L’Agenzia delle Entrate ha notificato un avviso di accertamento a una delle società sponsor, recuperando a tassazione i costi e l’IVA indebitamente detratti. La società ha impugnato l’atto e, mentre si è giunti a una conciliazione per le imposte dirette, la Commissione Tributaria Provinciale ha annullato il rilievo sull’IVA.

Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di primo grado, rigettando l’appello dell’Ufficio. I giudici regionali hanno commesso un errore fondamentale: hanno inquadrato il caso come una ‘frode carosello’, concludendo che l’Amministrazione non avesse provato la partecipazione attiva della società contribuente all’organizzazione della frode. Hanno inoltre trascurato elementi probatori decisivi forniti dall’Ufficio.

L’Onere della Prova nella Frode IVA: La Posizione della Cassazione

La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ha ribaltato la decisione. I giudici supremi hanno chiarito che, in casi di frode IVA, spetta all’Amministrazione Finanziaria provare, anche tramite presunzioni, che il destinatario della fattura sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza professionale, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta.

Non è necessario dimostrare un ‘accordo criminoso’ o una piena e volontaria partecipazione alla frode, ma è sufficiente provare che il contribuente, date le circostanze, non poteva non essere a conoscenza della natura fraudolenta della transazione. Una volta fornita questa prova indiziaria, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza per evitare di essere coinvolto.

Il Principio del Reverse Charge non Salva dalla Frode IVA

Un altro punto cruciale affrontato dalla Corte riguarda l’argomentazione dei giudici di merito secondo cui, trattandosi di operazioni intracomunitarie, il meccanismo del ‘reverse charge’ avrebbe reso l’operazione fiscalmente neutra e quindi non dannosa per l’Erario. La Cassazione ha smontato questa tesi, affermando che il diritto alla detrazione dell’IVA non può mai essere riconosciuto in caso di operazioni inesistenti o quando il cessionario sia, o possa essere considerato, consapevole della frode. La neutralità contabile del ‘reverse charge’ non sana l’illegittimità di un’operazione fraudolenta e non giustifica la detrazione dell’imposta.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per un’errata sussunzione dei fatti nella normativa di riferimento e per un’errata ripartizione dell’onere della prova. I giudici di merito hanno ignorato elementi indiziari gravi, precisi e concordanti portati dall’Amministrazione Finanziaria. Tra questi, spiccavano:
* L’esistenza di un documento informatico che specificava l’importo ‘reale’ della sponsorizzazione, nettamente inferiore a quello fatturato.
* La palese sproporzione tra il corrispettivo pagato dalla società contribuente e quello versato da altri ‘main sponsor’ della stessa scuderia per spazi pubblicitari analoghi.
* L’assenza di una reale struttura d’impresa delle società estere emittenti.
* La retrocessione di una cospicua parte del corrispettivo a un soggetto diverso dall’emittente della fattura.

I giudici di secondo grado hanno sbrigativamente escluso il coinvolgimento della società, senza analizzare queste prove e senza valutare se l’imprenditore avesse agito con la diligenza richiesta. Hanno inoltre errato nel ritenere che il meccanismo del ‘reverse charge’ potesse giustificare la detrazione in un contesto di frode conclamata.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione ribadisce principi fondamentali in materia di lotta alla frode IVA. Per le imprese, il messaggio è chiaro: la diligenza professionale non è un optional. Di fronte a operazioni con evidenti anomalie (prezzi fuori mercato, intermediari privi di struttura, modalità di pagamento inusuali), l’imprenditore ha il dovere di approfondire per non rischiare di essere considerato complice, anche solo per negligenza, di uno schema fraudolento, perdendo così il diritto alla detrazione dell’IVA. Per l’Amministrazione Finanziaria, viene confermata la possibilità di basare i propri accertamenti su un solido quadro indiziario, senza dover necessariamente provare l’esistenza di un dolo specifico in capo al contribuente.

In un caso di frode IVA, chi deve provare la consapevolezza del contribuente?
Spetta all’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza, di partecipare a un’operazione fraudolenta. Tale prova può essere fornita anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti.

Se un’operazione è soggettivamente inesistente, il contribuente può detrarre l’IVA?
No, il diritto alla detrazione dell’IVA è escluso se viene dimostrato che il contribuente era consapevole della frode o avrebbe dovuto esserlo. La regolarità formale della contabilità e dei pagamenti non è sufficiente a dimostrare la buona fede.

Il meccanismo del ‘reverse charge’ rende legittima la detrazione dell’IVA anche in caso di frode?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il diritto alla detrazione non può essere esercitato in casi di operazioni inesistenti o fraudolente, anche se l’operazione è regolata dal ‘reverse charge’. La neutralità fiscale di tale meccanismo non sana l’illiceità dell’operazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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