Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31788 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31788 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23403/2023 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in MILANO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente principale e controricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO PIEMONTE n. 161/2023 depositata il 13/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
La contribuente proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2014. La controversia era discussa e decisa nella pubblica udienza del 24 marzo 2022, previa riunione del ricorso a quello promosso avverso l’avviso di accertamento per l’anno 2015. Gli atti impositivi afferivano la contestazione di effettuazione di operazioni soggettivamente e oggettivamente inesistenti e l’utilizzo indebito del plafond Iva, in ragione del disconoscimento dello status di esportatore abituale. Con sentenza n. 73/01/2022, la CTP di Novara accoglieva parzialmente i ricorsi riuniti, limitatamente all’entità delle sanzioni irrogate. I primi giudici confermavano integralmente, nel merito, le maggiori imposte accertate, condividendo tutti i rilievi formulati in ciascuno degli atti; nondimeno, il Collegio riteneva meritevoli di accoglimento le doglianze in punto sanzioni e, per l’effetto, rideterminava la sanzione complessiva in € 3.517.656,25, in luogo delle sanzioni di € 2.112.922 (per il 2014) ed € 4.403.624 (per il 2015), originariamente irrogate. L’appello della contribuente e quello incidentalmente avanzato dall’Agenzia sono stati rigettati. Il ricorso per cassazione della RAGIONE_SOCIALE è ora affidato a tredici motivi ed è illustrato con successiva memoria. L’Agenzia resiste con controricorso e ricorso incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso principale si censura, ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132, c.p.c., per motivazione meramente apparente in ordine in ordine all’eccepita, omessa motivazione in concreto nel corpo degli avvisi di accertamento impugnati, i quali non deducono compiutamente i
fatti costitutivi delle frodi contestate e i presupposti di conoscenza o conoscibilità di tali frodi da parte della contribuente; inoltre, gli avvisi non considerano le osservazioni della contribuente ai PVC presupposti.
Il primo motivo è inammissibile.
La CTR ha compiuto un accertamento in fatto relativamente al compimento di operazioni inesistenti e ha valorizzato le risultanze dei PVC. Non vengono addotte dal contribuente né osservazioni, né circostanze specificamente trascurate. La censura tende, dunque, ad ottenere una rivisitazione del merito della controversia; in tal senso essa traligna dal recinto del vizio denunciato volgendosi ad invocare un nuovo sindacato di merito, invero precluso in questa sede.
Con il secondo motivo di ricorso principale si lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132, c.p.c., per omessa o apparente motivazione in ordine all’accertamento della reale sussistenza della frode contestata, avuto riguardo all’inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate e alla buona fede della contribuente nonché in ordine alla prova contraria effettivamente fornita dalla contribuente.
Il secondo motivo è infondato ed esige il rigetto.
La CTR ha valorizzato a supporto dell’inesistenza soggettiva delle operazioni la consuetudine di RAGIONE_SOCIALE ‘ a rapportarsi con fornitori che risultavano essere del tutto inconsistenti dal punto di vista economico, nonché dediti alla partecipazione e all’alimentazione di sistemi di frode IVA’.
Sulla scorta di questi profili, la CTR ha presunto la mancanza di buona fede della contribuente.
In tal senso, il giudice regionale ha fatto corretta applicazione del principio nomofilattico affermato da questa Corte, alla cui stregua ‘ In tema di contenzioso tributario, l’Amministrazione finanziaria, ove contesti al cessionario/committente l’assenza di buona fede in
caso di irregolarità fiscali o di evasione, ha l’onere di allegare e provare gli elementi probatori su cui si fonda la contestazione, tra i quali possono rilevare, in via indiziaria, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale, l’immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione. In tal caso, conseguentemente, grava in capo al contribuente l’onere di provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione non fosse il fatturante ma altri ‘ (Cass. n. 30148 del 2017; v. anche Cass. n. 17173 del 2018). Questa Corte ha anche puntualmente affermato che ‘ In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi ‘ (Cass. n. 9851 del 2018; Cass. n. 15369 del 2020).
Con il terzo motivo di ricorso principale si contesta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione della Direttiva 2006/112/CE e dell’art. 19, d.p.r. 633/1972, in relazione alla prova contraria richiesta nella specie trascendente la regolarità cartolare dell’operazione.
Il terzo motivo è infondato.
Diversamente da quanto opinato dalla contribuente giova considerare l’insufficienza della regolarità formale dell’operazione a provare la diligenza del contribuente.
Questa Corte ha condivisibilmente affermato, infatti, che ‘ In tema di detrazione dell’IVA, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi ‘ (Cass. n. 24471 del 2022).
Con il quarto motivo di ricorso principale si lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 38 e ss., d.P.R. n. 600 del 1973, 19 e ss., d.P.R. n. 633 del 1972, 2697 e 2729, c.c., in relazione all’omessa prova da parte dell’Ufficio della inesistenza soggettiva delle operazioni per cui è causa e della asserita frode presupposta e in
relazione all’indebita inversione dell’onere probatorio in capo alla contribuente circa la relativa incolpevole buona fede.
Il quarto motivo è infondato.
La CTR ha, infatti, ricostruito la frode, valorizzando elementi presuntivi idonei a dar conto dell’inesistenza soggettiva delle operazioni. Questa Corte ha osservato ancor di recente che ‘ In particolare, la mancanza di struttura e di logistica divengono profilo sintomatico della fittizietà delle operazioni sul piano soggettivo. In questo quadro, il giudice regionale ha fatto rigorosa applicazione dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità nel versante di riferimento. In tema di detrazione dell’IVA, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi ‘ (Cass. n. 24471 del 2022). Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della detrazione dell’IVA, ‘ l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario
che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi’ (Cass. n. 9851 del 2018, alla cui motivazione integralmente si rimanda; conf., tra le tante, Cass. n. 11873 del 2018; Cass. n. 17619 del 2018; Cass. n. 15369 del 2020) .
Con il quinto motivo di ricorso principale si censura, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 20 d.l. 74/2000, 654 c.p.p. e 2697, c.c., per avere la sentenza impugnata implicitamente disconosciuto la rilevanza probatoria nel giudizio tributario della sentenza di assoluzione penale del Tribunale di Bergamo numero 198/2014, pubblicata in data 10 febbraio 2014, senza verificare detta incidenza con specifico riferimento alla concreta fattispecie di giudizio per cui è causa, avente ad oggetto la contabilizzazione di fatture emerse in relazione ad operazioni considerate soggettivamente inesistenti sulla base del ruolo di cartiera della dante causa IT Market.
Con il sesto motivo di ricorso principale si lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132, c.p.c., per omessa motivazione in ordine alla rilevanza probatoria della sentenza di assoluzione del Tribunale di Bergamo numero 198/2014, pubblicata in data 10 febbraio 2014.
Il quinto motivo e il sesto motivo si prestano ad una trattazione unitaria, per stretta connessione, essendo ambedue volti a perorare l’impatto nel presente giudizio di una sentenza assolutoria emessa dal Tribunale di Bergamo.
Il quinto motivo è infondato.
Esso adombra -al fondo -un’omissione di pronuncia da parte della CTR, che, invero, in concreto non si ravvisa. Nella sentenza della CTR deve scorgersi, infatti, diversamente da quanto opinato dalla ricorrente, una statuizione implicita sul punto della refluenza -evidentemente esclusa -della sentenza penale nel giudizio odierno. Sottesa alla pronuncia del giudice d’appello vi è, in altri termini, la ritenuta non incidenza nel presente giudizio della sentenza penale de qua , invero riguardante un soggetto diverso da quello coinvolto nell’odierno processo e concernente, per di più, annualità differenti (ciò che osta all’applicazione nel presente giudizio dell’art. 21 -bis del decreto legislativo n. 74 del 2000, introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. m, del decreto legislativo n. 87 del 2024) . In questa prospettiva, che esclude l’impatto di quella sentenza penale reputandola avulsa dalla soggettività e dall’annualità investiti dal presente giudizio, la CTR ha valorizzato elementi istruttori differenti ai fini della decisione del presente giudizio.
Il sesto motivo è inammissibile ponendosi in vistosa contraddizione rispetto al quinto, rigettato motivo. Se l’omissione di pronuncia implica, infatti, la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, traducendosi in una violazione suscettibile d’esser fatta valere esclusivamente a
norma dell’art. 360, n. 4, c.p.c.; l’om essa motivazione, denunciata ai sensi del n. 5 di detta norma, presuppone, al contrario, che una pronuncia comunque vi sia stata e con essa l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, benché se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione, e va denunciato (Cass. n. 17141 del 2018; Cass. n. 13866 del 2014; Cass. n. 15882 del 2007). Quanto osservato segnala la palese incompatibilità della sesta censura rispetto alla quinta e la sua conseguente inammissibilità.
Con il settimo motivo di ricorso principale si censura, ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132, c.p.c., per motivazione apparente in ordine alla prova dedotta e documentata dalla contribuente relativa all’effettiva realizzazione materiale delle operazioni contestate come oggettivamente inesistenti.
Il settimo motivo è inammissibile.
Consta un accertamento di fatto sull’inesistenza soggettiva delle operazioni, a fronte del quale la ricorrente mira ad una inammissibile rivisitazione del merito della controversia, muovendo da un tentativo di riqualificazione delle operazioni medesime. È evidente come la censura trascenda il paradigma del vizio indicato in rubrica per invocare un sindacato precluso nella presente sede.
Con l’ ottavo motivo di ricorso principale si contesta, ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132, c.p.c., relativamente alle contestazioni relative all’asserito indebito utilizzo del plafond IVA ai sensi dell’art. 8, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, per omessa motivazione da parte della sentenza impugnata circa le circostanze dedotte quale prova contraria, con riguardo all’avente causa RAGIONE_SOCIALE, nonché circa la dedotta irriferibilità alla contribuente dei luoghi di rientro della merce esportata in Italia con riguardo all’avente causa RAGIONE_SOCIALE
Con il nono motivo di ricorso principale si contesta, ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132, c.p.c., relativamente alle contestazioni relative all’asserito indebito utilizzo del plafond IVA ai sensi dell’art. 8, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, per omessa motivazione da parte della sentenza impugnata circa la dedotta omessa prova delle pretese per sussistenza della prova contraria relativamente alle contestazioni discendenti dal PVC Agenzia delle Dogane del 2016.
L’ ottavo motivo e il nono motivo sono suscettibili di trattazione unitaria che ne rivela l’inammissibilità.
Entrambi i mezzi si risolvono in censure di merito, insistendo nel voler valorizzare talune prove che assumono trascurate dalla CTR. In realtà, così facendo esse si pongono su un crinale di vistosa inammissibilità, dacché, a fronte di un accertamento di fatto, mirano ad ottenere un nuovo esercizio del sindacato di merito, invero precluso in questa sede, non potendosi sottrarre al giudice d’appello il monopolio delle fonti del proprio convincimento.
Con il decimo motivo di ricorso principale si contesta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 41, d.l. 331/1993, per avere la sentenza impugnata ritenuto l’insussistenza della cessione intracomunitaria e della relativa esenzione IVA pur avendo accertato in fatto l’effettivo trasferimento dei beni in un diverso stato comunitario, disconosciuto sulla base dell’asserito successivo rientro dei beni nel territorio italiano.
Il decimo motivo è inammissibile.
Esso, sotto lo schermo apparente della dedotta violazione di legge, invoca nella sostanza una rivisitazione del merito della controversia.
La CTR ha svolto il sindacato ad essa riservato, escludendo, sulla scorta degli elementi istruttori nella propria disponibilità, che si sia concretizzata una cessione intracomunitaria, dal momento che la
cessione non allocava stabilmente in un diverso stato membro i beni nella disponibilità cessionario apparente, posto che la Slovenia rappresentava mero luogo di snodo e di transito, essendo l’operazione finalizzata ad assicurare l’immediato ritorno in Italia della merce.
Ha affermato condivisibilmente questa Corte che ‘ In tema di I.V.A., ed in fattispecie di cessione intracomunitaria ex art. 41 del d.l. 30 agosto 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, grava sul cedente, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., l’onere di dimostrare, con mezzi adeguati, tali da non lasciare dubbi, i presupposti della deroga al normale regime impositivo e, cioè, non solo la consegna della merce al vettore, ma anche l’effettività dell’esportazione in altro Stato membro e la propria buona fede, potendo, quindi, essere negata, secondo la sentenza della Corte di Giustizia CE del 6 settembre 2012 (C-273/11), l’esenzione al contribuente ove risulti, in base ad elementi oggettivi, che egli, conoscendo o avendo dovuto conoscere che l’operazione effettuata rientrava in un’evasione posta in essere dall’acquirente, non aveva adottato misure ragionevoli per evitare di parteciparvi ‘ (Cass. n. 4636 del 2014). Ha soggiunto incisivamente questa Corte che ‘ In tema di IVA, ove l’Amministrazione finanziaria contesti l’imponibilità di cessioni relative a merci che si ritengano fittiziamente esportate in altro Paese membro della UE, grava sul cedente l’onere di provare l’effettività del trasporto nel territorio dello Stato in cui risiede il cessionario ‘ (Cass. n. 29498 del 2020).
Con l’ undicesimo motivo di ricorso principale si contesta la violazione o falsa applicazione della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto e dell’art. 47 della Carta dell’Unione Europea per avere la sentenza impugnata ritenuto che la contribuente sia stata posta nelle condizioni di esercitare in
maniera effettiva il proprio diritto di difesa nei confronti della pretesa erariale motivata sulla base di procedimenti di indagini di polizia giudiziaria e amministrativi di contestazione effettuati nei confronti di soggetti terzi, procedimenti rispetto ai quali la parte privata non ha mai avuto facoltà di accesso e verifica.
L’ undicesimo motivo è inammissibile.
Il nucleo motivazionale della sentenza d’appello è imperniato sul richiamo di elementi tesi a corroborare la fittizietà delle operazioni rispetto ai quali le risultanze dei procedimenti verso terzi non rivestono alcuna centralità.
Ad un accertamento di fatto di fatto in ordine alla piena conoscenza/conoscibilità degli elementi alla base dell’accertamento, la contribuente contrappone, non una reale difformità rispetto ad un paradigma normativo, ma una diversa, inammissibile ricostruzione del merito della vicenda.
Con il dodicesimo motivo di ricorso principale si lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 19, d.p.r. 633/1973 17, nn. 2 e 6, 18 e 22 della Sesta Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, per avere la sentenza impugnata confermato l’illegittima ripresa a tassazione di un’imposta effettivamente versata dalla contribuente.
Il dodicesimo motivo è infondato.
La CTR ha escluso la detraibilità dell’IVA avuto riguardo alla ritenuta fittizietà soggettiva delle operazioni. Da ciò derivava l’insussistenza dei presupposti della detrazione, i quali muovono dalla necessaria salvaguardia del principio di neutralità dell’IVA. In caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo
sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente che intenda detrarre l’IVA la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.
Con il tredicesimo motivo di ricorso principale si lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 7 e 16 D.Lgs. n. 472 del 1997, per avere implicitamente ritenuto, quanto all’ an , la legittimità del provvedimento sanzionatorio motivato in modo apodittico senza alcun riferimento concreto alle modalità di condotta del contribuente.
Il tredicesimo motivo è infondato.
Ancorché la ricorrente in via principale assuma il contrario, è d’uopo rilevare che la CTR ha diffusamente motivato in ordine ai parametri applicati e ai criteri finalizzati al computo delle sanzioni nel quadro del contestato provvedimento sanzionatorio. La doglianza perde, allora, di pregio al cospetto del tenore testuale e argomentativo della decisione.
Con il primo motivo di ricorso incidentale si contesta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 471/1997, per errata applicazione del principio favor rei , a seguito del confronto tra la disciplina vigente fino al 31 dicembre 2015 e quella in vigore dal 1° gennaio 2016 in materia di infedele dichiarazione IVA (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Il primo motivo di ricorso incidentale è fondato e va accolto.
La riforma evocata in censura non ha, invero, introdotto una disciplina in linea di principio più favorevole, sol che si consideri l’impatto in concreto potenzialmente correlato alla lettera dell’art.
4, co., 4bis del D.Lgs. n. 471 del 1997; alla stregua di detto comma, di nuovo conio, ‘ La sanzione di cui al comma 4 è aumentata della metà quando la violazione è realizzata mediante l’utilizzo di fatture o altra documentazione falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente’ .
In buona sostanza, la disciplina riformata prevede, in ragione dell’innesto ora testualmente riportato, un plus rispetto al regime normativo pregresso, in quanto veicola un raddoppio automatico della sanzione, tra l’altro, proprio per le operazioni inesistenti entro il cui novero si iscrive la vicenda oggetto dell’odierno giudizio. Infatti, il giudice d’appello sorvolato sull’incidenza, in rapporto al caso concreto, del raddoppio della sanzione di cui al co. 4 dell’art 4 del D.Lgs. n. 471 del 1997, norma in forza della quale ‘ Se dalla dichiarazione presentata risulta un’imposta inferiore a quella dovuta ovvero un’eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante, si applica la sanzione amministrativa dal novanta al centoottanta per cento della maggior imposta dovuta o della differenza di credito utilizzato ‘. In definitiva, la CTR avrebbe dovuto considerare la disciplina nel suo complesso, individuando quella più favorevole al lume non solo del comma 4 del decreto menzionato, ma anche del ridetto comma 4bis. Il calcolo secondo il quale la CTR è approdata a considerare più favorevole la disciplina di nuova configurazione rispetto a quella anteriore alla riforma rimane, per converso, nel tracciato argomentativo della sentenza imperscrutabile e assiomatico, tanto da postulare la necessità di un nuovo esame da parte del giudice d’appello, il quale, esplicitando il calcolo compiuto, si curi di identificare la disciplina più favorevole in rapporto al caso concreto, anche alla luce del quadro normativo sopravvenuto.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale si lamenta la nullità della sentenza per motivazione apparente in ordine al motivo di
appello con cui l’Ufficio aveva denunciato l’esclusione dell’aumento sanzionatorio a titolo di personalità (art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.).
Il secondo motivo di ricorso incidentale è inammissibile.
La CTR ha valorizzato ai fini del computo l’assenza di elementi utili a giustificare il raddoppio della sanzione, facendo impiego di una prerogativa discrezionale; sotto questo aspetto la sentenza mira a richiedere a questa Corte un diverso esercizio di una discrezionalità riservata al giudice di merito.
Con il terzo motivo di ricorso incidentale si contesta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 472/1997, per errata esclusione dell’aumento del 30% in ragione della gravità della condotta e della personalità della Contribuente (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.).
Il terzo motivo di ricorso incidentale è fondato.
La CTR ha trascurato di soffermarsi sul mancato aumento del 30% contemplato in ipotesi di ‘gravità della condotta’, ancorché la il giudice fosse deputato ad censire gli elementi suscettibili in concreto di escluderla. Ha fatto difetto, pertanto, una specifica valutazione del criterio. Pure in parte qua si rende necessario un nuovo esame a cura della CTR, teso a soffermarsi anche sul parametro in parola.
Con il quarto motivo di ricorso incidentale si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7, comma 3, D.Lgs. n. 472/1997, per errata esclusione dell’aumento del 30% per recidiva (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.).
Il quarto motivo di ricorso incidentale è infondato.
In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, la recidiva di cui all’art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997, presuppone un definitivo accertamento della violazione antecedente della stessa indole per effetto di una pronuncia giurisdizionale, ovvero della mancata impugnazione della
contestazione, con la conseguente compatibilità, ricorrendone i presupposti, dell’istituto del cumulo giuridico (Cass. n. 5115 del 2024; Cass. n. 13742 del 2019).
Con il quinto motivo di ricorso incidentale si contesta la violazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omessa pronuncia sul motivo d’appello circa l’errata determinazione dell’aumento del carico sanzionatorio in sede di applicazione dell’istituto della continuazione, ai sensi dell’art. 12, comma 5, D.Lgs. n. 472/1997 (art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.).
Il quinto motivo di ricorso incidentale è fondato.
Consta all’evidenza il tralasciato esame, ai fini del calcolo della sanzione, dei presupposti connessi all’istituto della continuazione. Il giudice d’appello ha obliterato ogni effettiva e concreta considerazione sulla sussistenza o sull’esclusione dei relativi presupposti. Ciò impone un nuovo esame anche al lume dell’istituto trascurato in sede di gravame di merito.
Con il sesto motivo di ricorso incidentale si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, commi 5 e 7, D.Lgs. n. 472/1997, per avere la sentenza ritenuto applicabile la continuazione tra le violazioni commesse nelle annualità precedenti, senza considerare che l’applicazione degli aumenti indicati dall’Ufficio avrebbe comportato un carico sanzionatorio superiore rispetto a quello risultante dal cumulo materiale delle sanzioni per le singole violazioni (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.).
Il sesto motivo di ricorso incidentale resta assorbito dall’accoglimento del quinto motivo, afferendo anch’esso la continuazione.
In ultima analisi, va rigettato il ricorso principale e va accolto il ricorso incidentale, avuto riguardo al primo, al terzo e al quinto motivo; del ricorso incidentale va rigettata la quarta censura e dichiarata inammissibile la seconda, con assorbimento della sesta. La sentenza d’appello va, per l’effetto, cassata, in relazione ai
motivi accolti del ricorso incidentale, e la causa va rinviata per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale; accoglie il primo, il terzo e il quinto motivo del ricorso incidentale, rigetta il quarto motivo e dichiara inammissibile il secondo motivo, con assorbimento del sesto motivo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa per un nuovo esame e per la regolazione anche delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale/ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 . Così deciso in Roma, il 07/11/2024.