LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Frode IVA: onere della prova e conti dei soci

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21303/2024, si è pronunciata su un caso di accertamento fiscale per presunta frode IVA e operazioni inesistenti. La Corte ha ribaltato la decisione di merito, chiarendo la ripartizione dell’onere della prova. In caso di sospetta frode IVA, spetta all’Amministrazione Finanziaria fornire indizi gravi, precisi e concordanti sulla consapevolezza del contribuente, il quale dovrà poi dimostrare di aver agito con la massima diligenza. Inoltre, per le società a ristretta base partecipativa, i prelevamenti dai conti personali dei soci si presumono ricavi non dichiarati della società, invertendo l’onere della prova a carico del contribuente.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 9 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode IVA e conti dei soci: la Cassazione fissa i paletti sull’onere della prova

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 21303 del 30 luglio 2024, torna a fare luce su due temi cruciali del diritto tributario: la ripartizione dell’onere della prova in caso di Frode IVA e le presunzioni applicabili ai prelevamenti dai conti correnti personali dei soci di società a ristretta base partecipativa. La decisione offre importanti chiarimenti per le imprese, sottolineando la necessità di massima diligenza nelle operazioni commerciali e nella gestione dei flussi finanziari tra società e soci.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento notificato a una società a responsabilità limitata operante nel settore metalmeccanico. L’Agenzia delle Entrate contestava, per l’annualità 2006, maggiori imposte (IRES, IRAP e IVA) derivanti da una verifica fiscale. Le principali contestazioni riguardavano la partecipazione della società a una frode IVA di tipo “carosello”.

Secondo l’Ufficio, la società aveva acquistato semilavorati in acciaio da un fornitore considerato un missing trader, ovvero una società cartiera priva di una reale struttura aziendale, creata al solo scopo di evadere l’IVA. Di conseguenza, l’Amministrazione Finanziaria aveva disconosciuto la detrazione dell’IVA su tali acquisti, ritenendoli soggettivamente inesistenti. Inoltre, la verifica aveva evidenziato prelevamenti per 40.000 euro dai conti correnti personali di alcuni soci, che l’Ufficio aveva presuntivamente attribuito alla società come ricavi non dichiarati, data la sua natura di società a ristretta base partecipativa.

Le commissioni tributarie di primo e secondo grado avevano dato parzialmente ragione alla società, ritenendo che l’Ufficio non avesse sufficientemente provato né la fittizietà del fornitore né la riconducibilità dei prelievi dei soci all’attività d’impresa. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Cassazione sulla Frode IVA

La Suprema Corte ha accolto le tesi dell’Amministrazione Finanziaria, cassando con rinvio la sentenza impugnata. In materia di frode IVA, i giudici hanno ribadito un principio consolidato a livello nazionale ed europeo: l’onere della prova è ripartito tra le parti.

1. Onere dell’Amministrazione Finanziaria: L’Ufficio deve dimostrare, anche tramite presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, che il contribuente, al momento dell’acquisto, sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, di essere coinvolto in un’operazione evasiva. Gli elementi indiziari portati dall’Agenzia nel caso di specie (fornitore privo di organizzazione, prezzo di vendita inferiore a quello di mercato, ordini verbali, pagamenti tramite un intermediario) erano stati erroneamente ignorati dal giudice di merito.
2. Onere del Contribuente: Una volta che l’Ufficio ha fornito tali elementi, la palla passa al contribuente. Quest’ultimo deve provare di aver adottato tutte le misure ragionevolmente esigibili da un operatore accorto per assicurarsi che l’operazione non facesse parte di una frode. La semplice buona fede non è sufficiente; è richiesta una diligenza qualificata.

La Corte ha censurato la sentenza di appello per non aver effettuato una valutazione complessiva degli indizi presentati dall’Ufficio, un passaggio fondamentale per accertare la consapevolezza del cessionario.

Società a Ristretta Base Partecipativa e Prelievi dai Conti dei Soci

Anche sul fronte dei prelevamenti dai conti correnti dei soci, la Cassazione ha riformato la decisione precedente. È stato riaffermato il principio secondo cui, nelle società a ristretta base partecipativa (come le S.r.l. a conduzione familiare), esiste una presunzione legale relativa per cui i prelevamenti ingiustificati dai conti personali dei soci sono considerati ricavi in nero della società.

Questa presunzione si basa sulla commistione di interessi che spesso caratterizza tali realtà imprenditoriali. Di conseguenza, l’onere della prova si inverte: non è l’Ufficio a dover dimostrare che ogni prelievo è un ricavo aziendale, ma è la società (o i soci) a dover provare l’estraneità di tali operazioni all’attività d’impresa. Il giudice di merito aveva errato nel ritenere che l’Ufficio non avesse assolto al proprio onere probatorio.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della sentenza si fonda sulla corretta applicazione delle regole sull’onere della prova e sull’utilizzo degli strumenti presuntivi nell’accertamento tributario. La Corte ha sottolineato che il giudice di merito non può limitarsi a una valutazione atomistica e isolata degli elementi, ma deve procedere a un esame complessivo del quadro indiziario fornito dall’Amministrazione Finanziaria. Per la frode IVA, la valutazione deve mirare a stabilire se un operatore economico accorto si sarebbe potuto rendere conto delle anomalie della transazione. Per le società a ristretta base, la presunzione di riferibilità dei movimenti bancari dei soci alla società è uno strumento legittimo per contrastare l’evasione, che sposta sul contribuente il compito di fornire la prova contraria.

Conclusioni

La sentenza 21303/2024 rappresenta un monito importante per gli imprenditori. In primo luogo, evidenzia l’importanza cruciale della due diligence sui propri partner commerciali: verificare la struttura del fornitore, diffidare di prezzi anomali e formalizzare le procedure sono cautele essenziali per non essere coinvolti in schemi di frode IVA. In secondo luogo, ribadisce la necessità, per i soci di società a ristretta base, di mantenere una netta separazione tra il patrimonio personale e quello sociale, documentando con precisione la natura di ogni movimentazione finanziaria per evitare che prelievi e versamenti personali vengano riqualificati come ricavi o costi non dichiarati dell’azienda.

Quando può essere negata la detrazione IVA in caso di sospetta frode?
La detrazione IVA può essere negata quando l’Amministrazione Finanziaria dimostra, anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’imposta. A quel punto, grava sul contribuente l’onere di provare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto.

Quale presunzione si applica ai prelievi dai conti correnti personali dei soci di una società a ristretta base partecipativa?
Per le società a ristretta base partecipativa, vige la presunzione secondo cui i prelevamenti dai conti correnti bancari intestati ai soci possono essere riferiti alla società come ricavi non dichiarati. La stretta relazione tra i soci e la società fa presumere una sovrapposizione tra interessi personali e societari. Spetta alla società dimostrare l’estraneità di tali operazioni alla propria attività d’impresa.

Chi ha l’onere della prova in una contestazione di frode IVA?
L’onere della prova è ripartito. Inizialmente, spetta all’Amministrazione Finanziaria fornire elementi oggettivi e specifici (indizi) che facciano ragionevolmente ritenere che il contribuente fosse consapevole di partecipare a una frode. Se l’Amministrazione assolve a questo onere, la prova contraria passa al contribuente, che deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per evitare il coinvolgimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati