Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32024 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32024 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
Oggetto: riqualificazione catastale -giudizio rescissorio
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6222/2023 R.G. proposto da AGENZIA DELLE RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., quale incorporante della società RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL) e dall’Avv. NOME COGNOME
(PEC: EMAIL), elettivamente domiciliata presso lo Studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza n. 3743/7/22 della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, depositata in data 12.9.2022, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 22 ottobre 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza n. 3743/7/22 la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, giudicando in sede di rinvio della Corte di Cassazione, accoglieva il ricorso in riassunzione della RAGIONE_SOCIALE, ora divenuta RAGIONE_SOCIALE quale incorporante la società RAGIONE_SOCIALE e respingeva l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 119/1/13. Con tale pronuncia il giudice aveva accolto il ricorso introduttivo proposto avverso gli avvisi di accertamento n.TK3030405814/2010 e n. TK3030400517/2011 relativi agli anni d’imposta 2005 e 2006 per IRES, IRAP ed IVA ed emessi nei confronti della società per operazioni contestate come inesistenti.
Gli avvisi di accertamento traevano origine da un processo verbale di constatazione emesso dalla Guardia di finanza con riferimento ad alcuni contratti di leasing inseriti in operazioni complesse, coinvolgenti numerose societ à̀ e volte a frodare il fisco. L’Agenzia contestava la partecipazione da parte della contribuente ad un meccanismo fraudolento comportante una indebita maggiorazione del valore di una pluralità di immobili oggetto di compravendita e concessi in leasing con l’intervento di società intermediarie ritenute inesistenti.
Le operazioni immobiliari davano luogo al pagamento di canoni e conseguentemente a deduzioni di costi e detrazioni IVA recuperate a tassazione dall’Amministrazione finanziaria.
Nel dettaglio, in ricorso si legge che, a seguito di sei operazioni compiute tra il 2005 e il 2006, la RAGIONE_SOCIALE negli anni successivi ha rappresentato contabilmente la spesa fittizia per i canoni di leasing , deducendoli ogni anno come costo e portando in detrazione l’ IVA esposta nelle fatture spiccate dalla società di leasing . La natura fittizia dell’intera operazione, e in particolare l’inesistenza commerciale dei soggetti che cedevano gli immobili alle società di leasing e la riconducibilità al medesimo dominus (le quattro società poi fallite), nonché la sopravvalutazione del costo dell’immobile ceduto alle compiacenti società di leasing e della conseguente determinazione del canone a queste corrisposto dalla beneficiaria effettiva (in questo caso RAGIONE_SOCIALE), determinavano la ripresa a tassazione dei costi fittizi e delle detrazioni IVA indebite.
Il giudice di prime cure riteneva non assolto da parte dell’Agenzia l’onere della prova di tali contestazioni e l’ Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 119/1/13 limitatamente alla ripresa IVA, prestando acquiescenza quanto alle imposte dirette.
Il giudice d’appello, con la prima sentenza (n. 4911/06/14 del 29/07/2014) poi cassata, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado. Dalla lettura della sentenza rescindente della Corte di cassazione n. 13138/2020, di accoglimento del ricorso dell’Agenzia, si evince che la CTR rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate osservando, tra l’altro , che: a) la questione ancora controversa riguardava unicamente l’ IVA; b) trovava applicazione in ipotesi il giudicato esterno rappresentato da due sentenze della CTR, nn. 151 e 152/35/12, emesse
rispettivamente nei confronti delle fallite RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, che avevano accertato l’esistenza delle menzionate societ à e il conseguente venire meno della tesi dell’Ufficio concernente la loro fittiziet à ; c) la contribuente non aveva la consapevolezza delle circostanze che le societ à intermediarie non avevano versato le imposte dovute.
La Corte di cassazione, al contrario, in primo luogo accertava che non sussisteva alcuna relazione di dipendenza o di subordinazione tra i diritti per cui era controversia e quelli oggetto di giudicato, perché l’accertamento compiuto nelle sentenze nn. 151 e 152/35/12 e relativo alla effettiva esistenza dei soggetti intermediari era intervenuto tra parti differenti rispetto a quelle del presente giudizio. In secondo luogo, dichiarava che la CTR aveva omesso di valutare la consapevolezza della societ à̀ contribuente di partecipare ad una frode IVA.
Il giudice del rinvio riteneva «di condividere il percorso logico argomentativo dei giudici di primo grado aderente alle risultanze contabili offerte dalla parte contribuente a conferma dell’effettività delle imposte versate ai fini IVA per operazioni effettivamente esistenti e non simulate, come erroneamente sostenuto dall’Ufficio in assenza della prova incombente sull’Ufficio della sua compartecipazione all’ipotizzato meccanismo fraudolento.».
Avverso tale sentenza l ‘Agenzia ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro censure, per mero errore materiale numerate cinque, cui la contribuente ha replicato con controricorso, nota di deposito del 7.10.2024 e memoria illustrativa.
Considerato che:
1. In via preliminare va dato atto del deposito in data 7.10.2024 da parte della società d ell’ atto di costituzione dell’Agenzia delle Entrate nel processo pendente avanti alla C.G.T. di primo grado di Roma
iscritto all’RGN 12413/2013 e richiesta di estinzione di quel giudizio per cessazione della materia del contendere. Premesso che la nota non spiega la rilevanza del deposito ai fini della decisione del presente processo, il Collegio dalla lettura dell’atto di costituzione dell’Agenzia in quel processo evince che quest’ultimo riguarda un diverso atto impugnato, trattandosi di intimazione di pagamento traente origine da avviso di accertamento diverso da quelli impugnati in questa sede. Tale controversia verte anche su un diverso periodo impositivo e per diversi importi oggetto di riprese, e vi è parziale diversità di parti processuali. L’unico profilo di contatto con la presente causa è l’argomentazione dell’Agenzia, svolta a pag. 4 del ricorso, in cui si afferma che l’intimazione in quel processo trae origine da avviso che a sua volta trae origine dal sotteso avviso NUMERO_DOCUMENTO, effettivamente oggetto della presente controversia. L’Agenzia afferma che quest’ultimo atto è stato annullato con sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 119/1/13 e che nei confronti di tale sentenza l’Amministrazione ha prestato acquiescenza parziale, limitatamente ai rilievi operati ai fini delle imposte dirette, e ha proposto appello ai fini IVA. Si tratta di una conferma della ricostruzione sopra svolta nell’articolato dipanarsi delle fasi processuali della presente causa.
2. Ciò premesso, il primo motivo di ricorso del l’Agenzia deduce, in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ. da parte del giudice d’appello, non avendo tenuto conto del fatto che in altri processi, aventi ad oggetto il pagamento dei canoni di leasing per gli anni d’imposta 2008 e 2009, nelle more è intervenuta la sentenza definitiva della Corte di Cassazione (Cass. Sez. 5, 15 dicembre 2021, n. 40146) con la quale è stata accertata l’inesistenza soggettiva delle operazioni oggetto anche del presente processo.
Con il secondo motivo, dedotto in relazione all’art. 360, comma 1, n.4 cod. proc. civ., viene prospettata la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art . 2909 cod. civ. e, comunque, dell’art. 384 secondo comma cod. proc. civ. per violazione dei limiti dell’oggetto di cognizione del giudice del rinvio. La motivazione del giudice d’appello è pervasa da considerazioni che vertono sulla esistenza della frode IVA e precisamente sulla natura fittizia delle operazioni immobiliari attraverso cui è stata commessa, tema che non è stato rimesso al giudice del rinvio. La Corte di cassazione, infatti, quanto al capo relativo all’elemento oggettivo della frode IVA, ha sic et simpliciter accolto il ricorso dell’Agenzia , senza disporre rinvio alcuno in proposito e, quanto al capo relativo al coinvolgimento della società, ha rinviato al giudice di merito affinché valuti gli elementi di prova in atti.
Con il terzo motivo, in rapporto all’art. 360, comma 1, n.4 cod. proc. civ., viene censurata la nullità della sentenza per violazione dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., per violazione delle statuizioni e dei principi fissati dalla Cassazione nella sentenza rescindente, che ha accolto il ricorso dell’ Avvocatura anche avverso il capo della sentenza di appello che aveva omesso di esaminare il coinvolgimento della contribuente nella frode.
I motivi vanno esaminati congiuntamente e sono complessivamente fondati.
5.1. Oggetto del contendere attuale della presente causa di rinvio è unicamente, ai fini IVA dopo la parziale acquiescenza da parte dell’Agenzia alla sentenza di primo grado, l’accertamento del coinvolgimento della società contribuente nella frode, contestata in relazione alle operazioni immobiliari già sopra descritte poste in essere tra il 2005 e il 2006 e in particolare quanto ai canoni di leasing corrisposti da parte della contribuente.
5.2. Nell’ accogliere i primi due motivi di ricorso proposti dall’Agenzia , i quali censuravano il capo della decisione di appello che aveva escluso la frode IVA per presunti giudicati, la Cassazione con la sentenza rescindente n. 13138/2020 ha stabilito:
« (…) nel caso di specie, è pacifico che l’accertamento compiuto nelle sentenze nn. 151 e 152/35/12 e relativo alla effettiva esistenza dei soggetti intermediari è intervenuto tra parti differenti rispetto a quelle del presente giudizio, sicché in quest’ultimo procedimento nessun valore di giudicato esterno possono assumere le pronunce richiamate;
(…) ad analoga conclusione si giunge con riferimento alle sentenze segnalate da RAGIONE_SOCIALE con le memorie ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ. e relative ai giudizi promossi da Unicredit Leasing s.p.a. (sentenze della Commissione tributaria regionale dell’Emilia -Romagna nn. 2274 e 2275/08/17, prodotte in copia autentica con attestazione di passaggio in giudicato) e da RAGIONE_SOCIALE (sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 1357/10/16, peraltro prodotta in copia informe).
(…) nemmeno pu ò ritenersi l’effetto vincolante dei menzionati giudicati in via riflessa;
(…) invero, con riferimento ai crediti tributari tale effetto è stato riconosciuto in giurisprudenza solo in casi eccezionali, nei quali un accertamento spiega effetti nei confronti di titolari di diritti dipendenti o subordinati alla situazione giuridica in esso definita (come accade nelle societ à di capitali a ristretta base sociale, con riferimento all’accertamento effettuato nei confronti della societ à , che esplica efficacia riflessa nei confronti dei soci: cfr. Cass. n. 13989 del 23/05/2019; Cass. n. 24793 del 04/12/2015; Cass. n. 23899 del 24/11/2015) ovvero nelle ipotesi espressamente previste dall’art. 1306, secondo comma, cod. civ. (cfr., da ultimo, Cass. n. 33095 del 16/12/2019);
(…) nel caso di specie, peraltro, non sussiste alcuna relazione di dipendenza o di subordinazione tra i diritti per cui è controversia e quelli oggetto di giudicato».
La Cassazione ha perciò innanzitutto escluso il giudicato che la CTR aveva posto a base della decisione.
5.3. Inoltre, accogliendo il terzo motivo dell’Amministrazione, dopo aver richiamato la rilevante giurisprudenza in materia di frodi IVA, la Corte con la sentenza n. 13138/2020 ha statuito «(…) nel caso di specie, la CTR ha escluso la conoscenza della frode in capo a ICS in ragione della esistenza dei soggetti intermediari, cos ì come stabilito dal giudicato costituito dalle menzionate sentenze nn. 151 e 152/35/12;
(…) poich é , peraltro, le predette sentenze (e le altre richiamate dalla controricorrente) non fanno stato nel presente giudizio con riferimento alla fittiziet à degli intermediari, non è dubbio che la CTR non abbia assolto al compito che la legge pone a suo carico, che è quello di verificare, in base agli elementi presuntivi forniti dall’Agenzia delle entrate, la consapevole partecipazione alla frode di ICS»
5.4. Orbene, il giudice del rinvio non si è attenuto al dictum della Corte, consistente nel verificare, in base agli elementi presuntivi forniti dall’Agenzia delle entrate, la consapevole partecipazione alla frode da parte della contribuente, e ha sindacato l’esistenza stessa della frode che non è più in discussione nel presente processo.
Con il quarto motivo, in rapporto all’art. 360, comma 1, n.3 cod. proc. civ. si censura la violazione degli artt. 19 e 54, comma 2, d.P.R. 633/1972 e degli artt. 2697 e 2729 cod. civ. e dei principi acquisiti in tema di operazioni inesistenti, per aver la CTR escluso anche la natura fittizia delle operazioni contestate e, quindi, implicitamente il coinvolgimento in essa della società contribuente.
La censura è fondata e dev ‘essere disattesa l’eccezione preliminare di inammissibilità e infondatezza del quarto mezzo di impugnazione sollevata dalla controricorrente, secondo la quale sarebbe volto ad un nuovo apprezzamento del fatto. Con il motivo la società lamenterebbe l’asserita erronea applicazione, nel caso di specie, dei principi affermati nella giurisprudenza di legittimità relativa alla distribuzione dell’onere della prova in materia di frodi IVA, ma non terrebbe conto del fatto che la sentenza della CTR si è anzitutto pronunciata nel senso di escludere in radice l’esistenza di uno schema frodatorio nella fattispecie.
7.1. Al contrario, il Collegio constata che, dal momento che il giudice del merito non si è attenuto al dictum della sentenza rescindente, rimettendo in discussione l’esistenza stessa del meccanismo frodatorio, la censura non è inammissibile. Il coinvolgimento della società contribuente nella frode non si può implicitamente desumere dall’aver escluso la natura fittizia delle operazioni contestate, perché ciò non rientrava nel perimetro del giudizio rescissorio.
7.2. Quanto al contenuto del canone di riparto dell’onere della prova, va rammentato che in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente. Ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto,
secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. Sez. 5, n. 9851 del 20/04/2018; conforme Sez. 5, n. 27555 del 30/10/2018). Gli elementi di fatto cui fa riferimento la motivazione della sentenza impugnata (effettiva esistenza dei contratti di leasing, regolarità dei libri contabili della contribuente, effettivo versamento dell’IVA da parte della ricorrente), non sono rilevanti ai fini di stabilire la consapevole partecipazione alla frode da parte della contribuente, secondo il canone giurisprudenziale fissato dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamato.
8. La sentenza impugnata è perciò cassata e, per l’effetto, la controversia va rinviata alla Corte di Giustizia di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per verificare, in base agli elementi presuntivi forniti dall’Agenzia delle entrate, la consapevole partecipazione alla frode da parte della contribuente e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 22.10.2024