Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17729 Anno 2025
Oggetto: Tributi
Operazioni soggettivamente
inesistenti
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17729 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 22302 del ruolo generale dell’anno 202 3, proposto
Da
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv.to NOME COGNOME e dall’Avv.to NOME COGNOME giusta procura speciale su foglio separato allegato al ricorso, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica del difensore (PEC):EMAIL;
– ricorrente –
Contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-controricorrente – per la cassazione della sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio n. 1959/17/2023, depositata in data 4.04.2023, non notificata.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10 aprile 2025 dal Relatore Cons. NOME COGNOME di Nocera.
FATTI DI CAUSA
1.RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore , propone ricorso, affidato a cinque motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe con cui la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio aveva rigettato l’appello proposto nei confronti dell’ Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , avverso la sentenza n. 5674/05/2021 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società avverso due avvisi di accertamento con i quali, previo p.v.c. della G.d.F., aveva recuperato l’Iva indebitamente detratta, per gli anni 2015 -2016, in relazione a fatture emesse dalla ditta individuale RAGIONE_SOCIALE di Viselli RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE afferenti ad operazioni intracomunitarie ritenute soggettivamente inesistenti; in particolare, i militari avevano riscontrato che tra RAGIONE_SOCIALE di Viselli Emanuele (per il 2015-2016) e RAGIONE_SOCIALE (per il 2016) e i fornitori esteri si erano interposte delle società c.d. cartiere (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE), quali acquirenti dall’estero di autovetture usate in esenzione Iva per poi rivenderle con applicazione di Iva (senza versala) e a prezzi sottocosto alle imprese nazionali-cuscinetto (RAGIONE_SOCIALE COGNOME Emanuele e RAGIONE_SOCIALE) che, a loro volta, le avevano rivendute cartolarmente ai concessionari, tra cui RAGIONE_SOCIALE, quali rivenditore ai clienti finali.
2. In punto di diritto, la CGT di II grado- confermando la sentenza di prime cure- ha osservato che: 1) gli indizi circa la consapevolezza da parte della società della frode Iva non erano stati confutati; in particolare, le società fornitrici erano prive di organizzazioni, sedi, depositi per autovetture; non era stata riscontrata da documenti bancari la vantaggiosità dei prezzi di acquisto quale contropartita di assunte
‘anticipazioni finanziarie sulle fatture ‘ ; la quantità degli acquisti dai fornitori fittizi non era di modesta entità; mancava sui libretti di circolazione qualsiasi riferimento ai passaggi intermedi; la contribuente si disinteressava delle immatricolazioni dei veicoli acquistati demandandone l’onere a suoi fornitori , prassi non adottata per altri fornitori; 2)la società non aveva assolto alcun onere probatorio a dimostrazione della sua estraneità e inconsapevolezza della frode; in particolare, a fronte degli emersi elementi indiziari circa la consapevolezza della frode, la medesima non aveva controllato l’avvenuto pagamento dell’Iva da parte dei suoi fornitori attraverso la richiesta di copia dei Modelli F24; quanto alla dedotta uniformità dei prezzi applicati da RAGIONE_SOCIALE rispetto a quelli di altri fornitori non sospetti, erano inattendibili i prezzi praticati sui listini Eurotax/Quattroruote prodotti dalla società contribuente ‘in quanto per effettuare un controllo efficace sarebbe stato necessario avere il preciso modello, indicato nella fattura, i diversi allestimenti e optional che determinavano i notevoli cambiamenti dei prezzi finali’.
3.Resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate.
4.E’stata formulata proposta di definizione anticipata del ricorso, in considerazione del rilievo di inammissibilità del ricorso originario per difetto di interesse ad agire, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.
La società ricorrente ha chiesto la decisione ed è stata quindi disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 380 bis e 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione a ll’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 7, comma 5bis, del d.lgs. n. 546/92 per avere la CGT di II grado rigettato l’appello della contribuente in quanto quest’ultima non aveva dimostrato ‘ l’estraneità e l’inconsapevolezza dell’illiceità del comportamento altrui ‘; con ciò, invertendo l’onere della prova atteso che non era la società tenuta a fornire la prova (negativa) della sua inconsapevolezza della frode Iva ma l’Amministrazione finanziaria a provare, non solo la fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza da parte della società della detta frode Iva. Peraltro, ad avviso della ricorrente, sarebbe stato violato anche il comma 5bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 546/92, non avendo il giudice di appello fatto buon governo delle regole in tema di onere della prova confermando la legittimità degli avvisi impugnati sebbene l’Amministrazione non
avesse provato le ragioni oggettive a fondamento della pretesa impositiva anzi addossando indebitamente sulla contribuente l’onere probatorio della sua inconsapevolezza della frode.
1.1. Il motivo è complessivamente inammissibile.
1.2.Sulla scia della giurisprudenza unionale (Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C277/14), questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto: ‘In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi’ (Cass. Sez. 5, n. 9851 del 20/04/2018; Sez. 5, n. 27566 del 30/10/2018; Cass, sez. 5, 18 dicembre 2019, n. 33598; Cass. Sez. 5, Ord. n. 15369 del 20/07/2020; n. 28562 del 2021); come chiarito da questa Corte (Cass., sez. 5, 20/04/2018, n. 9851), la prova che deve essere fornita dall’Amministrazione in caso di operazioni soggettivamente inesistenti si incentra su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale, ossia che il soggetto formale non è quello reale e che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione I.V.A. e, a tale ultimo fine, non è necessaria la prova della partecipazione all’evasione, ma è sufficiente e necessario che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole.
1.3.Con riguardo a tale ultima circostanza, secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia, deve essere soddisfatta l’esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se non sapeva o non avrebbe potuto sapere che l’operazione si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente
parte delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’I.V.A. (Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C439/04 e C440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, COGNOME e NOME, C-80/11 e C-142/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14).
1.4.Con riguardo al ‘tipo’ di prova incombente sull’Amministrazione si è precisato che essa può ritenersi raggiunta se quest’ultima fornisce attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice e, dunque, non occorre la prova “certa” e incontrovertibile di ogni operazione e dettaglio: l’Amministrazione può assolvere al suo onere probatorio anche mediante presunzioni, come prevede per l’I.V.A. il D.P.R. n. 633 del 1973, art. 54, comma 2, e mediante elementi indiziari (Cass., sez. 5, 5/12/2014, n. 25778; Cass., sez. 5, 24/09/2014, n. 20059; Cass., sez. 6-5, 7/06/2017, n. 14237; Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C439/04 e C-440/14; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, COGNOME e NOME, C-80/11 e C-142/11) che il contribuente al momento in cui ha acquistato il bene o il servizio sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente, con l’emissione della relativa fattura, aveva evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei a “porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” (Corte di Giustizia, 6 dicembre 2012, Bonik, C285/11; Corte di Giustizia, Ppuh, C 277/14, par.50). L’onere d ell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario deve dunque essere ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta alla Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’I.V.A. e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare (Cass. n. 9851 del 2018, cit .; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27566; Cass., sez. 5, n. 15369 del 2020). Pertanto, sebbene al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali ed operativi anomali dell’operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità ed ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell’imprenditore nel settore del mercato in cui opera e l’aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri
operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo (Cass., sez. 5, 2/12/2015, n. 24490). In via esemplificativa, poiché la valutazione va in ogni caso ancorata alla concreta vicenda, possono costituire elementi di rilevanza sintomatica: « l’acquisto dei beni ad un prezzo inferiore di mercato; la limitatezza dell’eventuale ricarico; la presenza di una varietà e pluralità di soggetti promiscuamente indicati nella documentazione di trasporto e nella fatturazione; la scelta di operare secondo canali paralleli di mercato (che esige una più attenta e approfondita valutazione dei propri interlocutori, proprio per verificarne l’effettività), poco importa se giustificata da esigenze di accelerazione e di margini produttivi; la tempistica dei pagamenti, in ispecie se incrociati od operati su conti esteri a fronte di interlocutori nazionali, ovvero se effettuati cash; la qualità del concreto intermediario con il quale sono state intrattenute le operazioni commerciali; il numero, la qualità e la durata delle transazioni, in ispecie a fronte di rapporti contigui e frequentazioni reiterate con i titolari della cartiera, ovvero nel caso in cui il contribuente abbia rapporti commerciali con una pluralità di soggetti aventi la quantità di cartiera » (Cass. sez.5 n. 9851 del 2018). Ne consegue che la sussistenza di indizi, che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni nella sfera dell’emittente, deve indurre l’operatore avveduto ad assumere le opportune informazioni sul soggetto dal quale intenda acquistare beni o servizi (Cass., Sez. V, 4 luglio 2022, n. 21072; Cass., Sez. V, 2 dicembre 2021, n. 38012; Cass., Sez. V, 16 novembre 2021, n. 34531; Cass., Sez. VI, 3 giugno 2021, n. 15356; Cass., Sez. V, 3 marzo 2021, n. 5748; Cass., Sez. V, 5 dicembre 2014, n. 25779). Il contenuto della massima diligenza esigibile nei confronti di un accorto operatore, al fine di non essere parte di una frode IVA, si incentra sulle opportune informazioni circa l’effettiva esistenza del fornitore, da acquisirsi direttamente (in relazione alla struttura organizzativa dello stesso), sia indirettamente, attraverso l’esame delle modalità con le quali si è estrinsecato il rapporto commerciale con l’emittente (Sez. 5, Ordinanza n. 28165 del 2022).
1.5.Raggiunta tale prova, incombe sul contribuente l’onere di dimostrare, oltre all’effettività del cedente, la propria buona fede, ossia di ” avere agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto – secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a far insorgere il sospetto “, stante la inesigibilità di ulteriori verifiche (Cass. Sez. U, 12/09/2017, n.
21105; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27566; Cass., sez. 5, 20/07/2020, n. 15369; Cass., sez. 6-5, n. 13409 del 2021).
1.6. Il contribuente, in altri termini, può dimostrare sia l’anomalia degli elementi posti in evidenza dal Fisco, sia l’attività preventiva posta in essere da cui emergeva l’effettività ed operatività dell’impresa interposta. Risulta, invece, priva di rilievo tanto la prova sulla regolarità formale delle scritture e sulle evidenze contabili dei pagamenti, quanto sull’inesistenza di un dimostrato vantaggio, e ciò in quanto le prime circostanze sono già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, mentre l’ultima si riferisce ad un dato di fatto esterno alla fattispecie, inidoneo di per sè a dimostrare l’estraneità alla frode (Cass., sez. 5, 24/09/2014, n. 20059; Cass., sez. 5, 14/01/2015, n. 428; Cass., sez. 6-5, 5/12/2017, n. 29002; Cass., sez. 6-5, n. 13409 del 2021; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14, che afferma che “in circostanze del genere il soggetto passivo deve essere considerato… partecipante a tale evasione, e ciò indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle “). Nessun rilievo assume poi la riscontrata congruità dei prezzi e la regolarità formale delle operazioni , poiché il primo costituisce un elemento neutro ai fini della prova della buona fede, e la seconda è addirittura utilizzata proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. 19/12/2019, n.33915; Cass. sez. 5, n. 25192 del 2022). Né, a tal fine, è sufficiente dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e la fattura, IVA compresa, effettivamente pagata, poiché trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente » (Cass. n. 20059 del 2014; id. n. 10939 e n. 20060 del 2015, n. 17818 del 2016), ovvero, « di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perché relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode» (cfr. Cass. n. 17377 del 2009; id. n. 867 e n. 5912 del 2010; n. 12802 del 2011; n. 428 del 2015; Cass. sez. 5, n. 17153 del 2018).
1.7. Quanto all’assunta violazione dell’art. 2697 c.c., la violazione del detto precetto si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, e non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché
in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (tra le altre, Cass. Sez. L – , Sentenza n. 17313 del 19/08/2020; Cass. 23518 del 2018; Cass. n. 571 del 2017; n. 19064 del 2006, n. 15107 del 2013).
1.8.Nella specie, la censura, da un lato, non coglie la ratio decidendi e, dall’altro , pur denunciando una violazione di legge, tende ad una inammissibile rivisitazione di un apprezzamento di merito operato dal giudice di appello.
1.9.Invero, nella sentenza impugnata, la CTG di II grado – a fronte della contestazione circa l’indebita detrazione Iva da parte di RAGIONE_SOCIALE in relazione a fatture emesse da fornitori (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) afferenti ad operazioni intercomunitarie soggettivamente inesistenti di acquisto di autovetture in base ad uno schema fraudatorio che vedeva interposte tra i fornitori esteri e le società fornitrici delle società c.d. RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE e Special RAGIONE_SOCIALE), quali acquirenti dall’estero dei veicoli usati, in esenzione di imposta, e rivenditrici degli stessi (senza versare l’Iva), sottocosto, alle suddette imprese nazionali- cuscinetto (RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Emanuele e RAGIONE_SOCIALE) che, a sua volta, li rivendevano cartolarmente ai concessionari tra cui RAGIONE_SOCIALE che ultimava la filiera con la cessione ai clienti finali -lungi dal fondare il rigetto dell’appello sulla mancata prova (negativa) da parte della contribuente della sua estraneità e inconsapevolezza della contestata frode Iva, ha ritenuto – in ossequio ai suddetti principi e alle regole in tema di formazione della prova presuntiva, peraltro, nella specie, neanche oggetto di specifica denuncia assolto l’onere della prova a carico dell’Amministrazione, in base ad elementi indiziari oggettivi e specifici, circa non solo il carattere fittizio delle fornitrici quanto anche la consapevolezza da parte di RAGIONE_SOCIALE della frode Iva consumata a monte; al riguardo, nella sentenza impugnata, la CGT si è, infatti, concentrata sull’analisi ragionata degli indizi – ritenuti non confutaticirca ‘ la consapevolezza da parte della società del comportamento delittuoso ‘, ovvero – con un apprezzamento di merito non sindacabile in sede di legittimità- la mancanza di organizzazione, sedi, depositi per autovetture in capo alle società fornitrici; la mancata produzione di documenti bancari comprovanti la vantaggiosità dei prezzi di acquisto quale contropartita di assunte ‘anticipazioni finanziarie sulle fatture’; la quantità degli acquisti dai fornitori fitt izi non di modesta entità ( ‘ il peso delle fatture contestate dalla RAGIONE_SOCIALE non era di entità modesta .. rispetto al fatturato globale rappresentando una quota del 35% dello
stesso ‘) ; il disinteresse da parte della contribuente delle immatricolazioni dei veicoli acquistati con delega di tale incombenza ai suoi fornitori, prassi non adottata nei confronti di altri fornitori; tali elementi indiziari, consentendo di sospettare l’esistenza della frode Iva a monte, dovevano indurre la contribuente -usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta – ad assumere le opportune informazioni sull’effettiva esistenza dei soggetti fornitori dei veicoli, il che , nella specie, non risultava essere stato effettuato (la contribuente non effettuava ‘ alcun controllo nonostante sarebbe stato sufficiente chiedere copia del Modello F 24 attestante il versamento dell’Iva per rendersi conto della pericolosità dei fornitori di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE‘ ); da qui il ritenuto mancato assolvimento da parte della contribuente dell’onere probatorio a contrario circa la propria buona fede ( ‘estraneità e l’inconsapevolezza dell’illiceità del comportamento altrui’ ); anche con riguardo alla dedotta uniformità dei prezzi applicati rispetto a quelli di mercato, la CGT ha ritenuto -con un insindacabile apprezzamento di merito- che erano inattendibili i prezzi praticati sui listini Eurotax/Quattroruote prodotti dalla società contrib uente ‘in quanto per effettuare un controllo efficace sarebbe stato necessario avere il preciso modello, indicato nella fattura, i diversi allestimenti e optional che determinavano i notevoli cambiamenti dei prezzi finali’ .
1.10. Quanto all’incidenza al caso di specie della nuova previsione in materia di onere probatorio, di cui al comma 5bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall’art. 6 della legge n. 130 del 2022, cui la ricorrente ha fatto riferimento nel motivo deve osservarsi che questa Corte (Cass. n. 31878 del 2022) ha già chiarito che, «In tema di onere probatorio gravante in giudizio sull’amministrazione finanziaria in ordine alle violazioni contestate al contribuente, per le quali non vi siano presunzioni legali che comportino l’inversione dell’onere probatorio, l’art. 7, comma 5 bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall’art. 6 della legge n. 130 del 2022, non stabilisce un onere probatorio diverso, o più gravoso, rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale». D’altro canto, la nuova formulazione legislativa, che prevede che «L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e
puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni», non costituisce abrogazione, neppure implicita, dell’utilizzo delle presunzioni non legali in materia tributaria e, precisamente, delle presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ., ma detta al giudice tributario le regole di valutazione della prova, stabilendo che se questa, anche presuntiva, fornita dall’amministrazi one finanziaria, quando ne è onerata, è contraddittoria o insufficiente, allora il giudice deve annullare l’atto impositivo, e allo stesso modo dovrà fare quando addirittura essa manchi, come, invero superfluamente, pure prevede la disposizione in esame. A quanto detto aggiungasi che tale disposizione ha chiaramente natura sostanziale posto che, in base al consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, sono tali le norme che, come quella in esame, consistono in regole di giudizio la cui applicazione comporta una decisione di merito, di accoglimento o di rigetto della domanda, mentre hanno carattere processuale le disposizioni che disciplinano i modi di deduzione, ammissione e assunzione delle prove (cfr. Cass., Sez. 5, sentenza n. 18912 del 17/07/2018, Rv. 649717 – 01). Ne consegue che la disposizione in esame, di natura sostanziale e senza alcuna valenza interpretativa di altre disposizioni in tema di valutazione delle risultanze probatorie, non ha efficacia retroattiva e, quindi, si applica, ai giudizi introdotti- il che non si ravvisa nel caso di specie- successivamente al 16 settembre 2022, data di entrata in vigore dell’art. 6 della legge n. 130 del 2022 che l’ha introdotta, per la quale il successivo art. 8, dettato in materia di «disposizioni transitorie e finali», non prevede una diversa decorrenza (Cass., Sez. V, 13 giugno 2024, n. 16493).
2.Con il secondo motivo si denuncia , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione de ll’art. 115 c.p.c. per avere la CGT di II grado ritenuto legittimi gli avvisi impugnati incorrendo in un errore decisivo di percezione sul contenuto oggettivo della prova che investiva le circostanze oggetto di discussione tra le parti (assenza di organizzazione, sede e depositi per autovetture in capo ai fornitori; appetibilità dei prezzi di acquisto; volume delle fatture contestate; applicazione di una scorretta procedura di immatricolazione dei veicoli; disinteressamento della società contribuente all’immatricolazione di ciascun veicolo di provenienza comunitaria con delega ai sui fornitori; trasmissione dei documenti dei clienti finali direttamente ai fornitori per il disbrigo delle pratiche amministrative; mancato controllo da parte della società del versamento Iva da parte dei propri fornitori mediante richiesta di copia di
Mod. F 24), come tali inidonee a comprovare la consapevolezza da parte della società della frode Iva.
2.1.Il motivo è inammissibile.
2.2.In termini generali «In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall ‘art. 116 c.p.c.» (Sez. U, n. 20867 del 30/09/2020; Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09/06/2021).
2.3.Il travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (“demonstrandum”), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (“demonstratum”), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza ( Sez. 1 – , Ordinanza n. 9507 del 06/04/2023). Questa Corte, a sezioni unite, con sentenza n. 5792 del 05/03/2024, ha statuito il condivisibile principio di diritto : Il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai
sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale.
2.4.Nella specie, la ricorrente, dietro la censura di travisamento della prova, mira a rimettere in discussione il ragionamento presuntivo dell’induzione della consapevolezza da parte del cessionario della frode IVA consumata a monte per effetto dell’esame congiunto di una numerosa serie di elementi indiziari, valorizzati ai fini della decisione (assenza di organizzazione , di sedi e di depositi di autoveicoli in capo ai fornitori, mancanza di prova della vantaggiosità dei prezzi quale contropartita di non provate ‘anticipazioni finanziarie’, rilevanza quantitativa degli acquisti dai fornitori fittizi diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, disinteresse della società contribuente per le immatricolazioni dei veicoli acquistati, onere delegato ai suoi fornitori; mancato controllo dell’effettivo assolvimento degli obblighi Iva da parte dei fornitori tramite richiesta copia del Modello F24); invero, non essendo, nella specie, configurabile- in base alla stessa prospettazione della ricorrente – un errore di percezione, cadente sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, la censura tende inammissibilmente alla rivisitazione dell’apprezzamento operato dal giudice di appello della fonte di prova – anche presuntiva – come dimostrativa (o meno) del fatto che si intende provare.
Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 della legge n. 212/2000 e 1, commi 9 e 10 del d.l. n. 262/2006 per avere la CGT di II grado ritenuto elemento indiziario della consapevolezza da parte della società della frode Iva la mancanza sui libretti di circolazione dei veicoli di alcun precedente passaggio di proprietà sebbene, in base alla normativa richiamata, nessuna nota potesse comparire sui libretti di circolazione prima dell’immatricolazione dei veicoli medesimi con conseguente legittimo affidamento e buona fede della contribuente.
3.1.Il motivo -volto a censurare l’inconsistenza dell’elemento indiziario della consapevolezza della frode costituito dalla mancanza di prova dei passaggi di proprietà ai cessionari intermedi, non essendo prevista prima dell’immatricolazione alcuna annotazione dei detti passaggi – è inammissibile per carenza di interesse atteso che, trattandosi di uno dei plurimi elementi indiziari valutati dalla CGT ai fini del ritenuto assolvimento dell’onere probatorio a carico dell’Ufficio, la contribuente non offre n el ricorso una valutazione alternativa di quale sarebbe stato l’esito della decisione senza
la valutazione di quell’elemento indiziario asseritamente indebitamente valorizzato dal giudice di appello.
4.Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la CGT di II grado omesso di pronunciare sul motivo di censura- formulato nei gradi di merito- concernente l’illegittima irrogazione delle sanzioni, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 472/97, in assenza di colpevolezza da parte della società contribuente; peraltro, il giudice di appello avrebbe omesso di pronunciare sulla dedotta assenza di alcun vantaggio economico e/o finanziario in capo alla società contribuente, quale elemento sintomatico di una materiale intraneità alla frode.
4.1.Il motivo è infondato.
4.2.Non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass 998 del 2024; 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n.2355). Infatti, «si deve ritenere “implicita la statuizione di rigetto ove l’eccezione non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia» (Cass., 11 settembre 2015, n. 17956; nello stesso senso, tra le tante, Cass., 26 gennaio 2016, n. 1360; Cass.,6 ottobre 2017, n. 23334; Sez. 5, Ordinanza, n. 10721 del 2024).Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass 998 del 2024; Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n.1537).
4.3.Nella specie, il giudice di appello- dopo avere riportato nella parte in fatto la specifica doglianza sollevata dalla contribuente , sotto il profilo della violazione dell’art. 112 c.p.c., con riguardo alla illegittimità della irrogazione delle sanzioni per difetto dell’elemento soggettivo nel rigettare l’appello , ha disatteso (implicitamente) tale censura nel riconoscere la responsabilità della società per il pagamento del tributo stante, oltre che la fittizietà dei fornitori, la riscontrata consapevolezza della frode Iva da parte della società; ciò in ossequio al principio secondo cui deve ritenersi che la responsabilità per violazione di obblighi tributari da parte del contribuente può escludersi solo quando sia del tutto esclusa la colpevolezza, ossia, con riguardo alla colpa, la negligenza o
l’imperizia o l’inosservanza di leggi e regolamenti (e sempre facendo salve le esimenti). Fuori da tale perimetro la colpa assume sempre rilevanza, e la verifica delle sue declinazioni, da lieve a grave, incide sulla modulazione della sanzione, quando ciò sia previsto, ma non sulla applicazione tout court della sanzione’ (Cass., Sez. 5, n. 24717/2020).
4.4 .Ugualmente va disattesa la (sub) censura di omessa pronuncia sull’eccezione sollevata in appello – di assenza di alcun vantaggio economico da parte della contribuente atteso che la CGT nel ritenere sussistenti, nella specie, plurimi elementi indiziari, non solo della fittizietà dei fornitori, ma anche della consapevolezza della frode da parte della contribuente, ha (implicitamente) disatteso tale eccezione, costituendo, peraltro, in base alla giurisprudenza sopra richiamata (Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14; Cass., sez. 5, 24/09/2014, n. 20059; Cass., sez. 5, 14/01/2015, n. 428; Cass., sez. 6-5, 5/12/2017, n. 29002; Cass., sez. 6-5, n. 13409 del 2021) il mancato vantaggio economico un elemento irrilevante riferendosi ad un dato di fatto esterno alla fattispecie, inidoneo di per sè a dimostrare l’estraneità alla frode.
5.Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. per avere la CGT di II grado condannato la società contribuente alle spese processuali di secondo grado senza considerare i mutamenti della giurisprudenza di merito sulle questioni dirimenti.
5.1.Il motivo è manifestamente infondato.
5.2.È utile premettere che la condanna alle spese non ha una natura sanzionatoria, né costituisce un risarcimento del danno, ma è un’applicazione del principio di causalità, per cui l’onere delle spese grava su chi ha provocato la necessità del processo. Il principio cardine che regola la materia è il criterio della soccombenza, di cui all’art. 15 del d.lgs. n. 546/1992, per il processo tributario, e alla norma generale di cui all’art. 91 c.p.c., laddove prevede che il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte socconnbente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa (Cass. n. 189/2017).
È stato affermato da questa Corte che la soccombenza non va esclusa neppure nel caso in cui il convenuto non si sia opposto alla pretesa dell’attore, posto che essa non va riferita all’espressa contestazione del diritto fatto valere in giudizio, che può anche mancare, ma al fatto oggettivo di aver provocato la necessità del processo. Né è ragione
adeguata e sufficiente per disporre la compensazione la contumacia della parte convenuta, permanendo, comunque, la sostanziale soccombenza della controparte che deve essere adeguatamente riconosciuta sotto il profilo della suddivisione del carico delle spese (Cass. 23 gennaio 2012, n. 901; Cass. 17 ottobre 2013, n. 23632). Al fine della distribuzione dell’onere delle spese del processo tra le parti, essenziale criterio rivelatore della soccombenza è stato rinvenuto nell’aver dato causa al giudizio, per cui la soccombenza non è stata esclusa dalla circostanza che, una volta convenuta in giudizio, la parte sia rimasta contumace o abbia riconosciuto come fondata la pretesa che aveva prima lasciato insoddisfatta, così da renderne necessario l’accertamento giudiziale (Cass. n. 13498/2018).
5.3.Quanto alla compensazione delle spese, il giudice può compensare, in tutto o in parte, le spese processuali a norma dell’art. 92, comma 2, c.p.c. Tale norma che è stata dapprima emendata dall’art. 2, comma primo, lett. a), legge n. 263 del 2005, come modificata dall’art. 39-quater legge n. 51 del 2006, poi è stata ulteriormente modificata dall’art. 45, II comma, della legge n. 69 del 2009 ed infine, dall’art. 13, comma I, d.1.12 settembre 2014 n.132 (applicabile ratione temporis alla fattispecie in oggetto).
Tale norma, che ammette la compensazione delle spese processuali in caso di soccombenza reciproca, specifica che deve trattarsi di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti (Cass. 11217/2016). Ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., pertanto, come risultante dalle modifiche introdotte dal dl. n. 132 del 2014 e dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte costituzionale, la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), soltanto nell’eventualità di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’articolo 92, comma 2 , c.p.c. (Cass., sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3977 del 2020).
5.4.Peraltro, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione,
neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. sez. 6-5, n. 18299/2022; Cass.Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11329 del 26/04/2019; Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005).
5.5. Nella sentenza impugnata il giudice di appello ha fatto corretta applicazione dell’art. 92 c.p.c., nel condannare la società contribuente al pagamento delle spese del grado di gravame (liquidate in euro 8.000,00 oltre accessori come per legge) in ossequio al principio della soccombenza non avendo implicitamente riscontrato, nella specie, i presupposti per la compensazione delle spese di lite e non essendo censurabileneanche sotto il profilo della mancanza di motivazione -il mancato uso di tale sua facoltà.
6.In conclusione, il ricorso va rigettato.
7.Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
8. Ai sensi del terzo comma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. « la Corte … quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 » (disposizione immediatamente applicabile anche ai giudizi in corso alla data del 1° gennaio 2023 per i quali a tale data non era stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio, come nella specie: cfr. Cass., Sez. U, Ordinanza n. 27195 del 22/09/2023; Sez. U, Ordinanza n. 27433 del 27/09/2023; Cass. n. 28318 del 2023). La norma sottende una valutazione legale tipica del legislatore delegato, in ragione della quale l’applicazione delle sanzioni di quelle del terzo comma come di quelle del quarto comma dell’art. 96 non è subordinata ad una valutazione discrezionale ma discende, «di default», dalla definizione del giudizio in conformità alla proposta (Cass. n. 27947/2023). La norma sottende una valutazione legale tipica del legislatore delegato, in ragione della quale l’applicazione delle sanzioni di quelle del terzo comma come di quelle del quarto comma dell’art. 96 non è subordinata ad una valutazione discrezionale ma discende, «di default», dalla definizione del giudizio in conformità alla proposta (Cass. n. 27947/2023). La novità normativa introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), d.lgs. 149/2022 contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna ad una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, terzo comma, c.p.c.) e di una ulteriore somma non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 a favore della Cassa delle ammende (art. 96, quarto
comma, c.p.c.). In tal modo, risulta codificata una ipotesi di abuso del processo , peraltro da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale (v. Cass., sez. 5, Ord. n. 27414 del 2024; sez . 1, Ordinanza n. 26385 del 2024; Cass. S.U. n. 27195 del 2023 anche per quanto riguarda la disciplina intertemporale).
9.La Corte fissa in euro 4.100 ,00 la sanzione ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., ed in euro 2.000,00 quella ai sensi del comma 4 della medesima disposizione, atteso il carattere pacifico dei principi giurisprudenziali applicati e la manifesta infondatezza del ricorso, per i motivi ampiamente esposti.
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 8.200,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
condanna il ricorrente a pagare l’ulteriore importo di euro 4.100,00 in favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c.;
condanna il ricorrente a pagare l’ulteriore importo di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 10 aprile 2025