Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3077 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3077 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/02/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 546/2023 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura speciale in calce al ricorso (PEC: EMAIL;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell ‘Abruzzo n. 306/07/2022, depositata il 17.05.2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 novembre
2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Oggetto:
Tributi
La CTR dell ‘Abruzzo accoglieva l’ appello proposto dall ‘Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTP di Chieti, che aveva accolto il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE esercente l’attività di commercio al dettaglio di carburanti, avverso l’avviso di a ccertamento n. NUMERO_DOCUMENTO/2018, emesso per imposte dirette e IVA , per l’anno 2016;
dalla sentenza impugnata si evince, in sintesi e per quanto ancora qui rileva, che:
-la contribuente aveva impugnato l’avviso di accertamento solo con riferimento al rilievo riguardante l’indebita detrazione dell’IVA riferibile ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, per l’importo complessivo di euro 7.054.967,52;
-la RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato nell’anno 2016, in via quasi esclusiva e per ingenti importi, da società inserite in catene commerciali fraudolente che presentavano visibili anomalie amministrative e fiscali, praticavano prezzi di carburati (benzina e gasolio) sensibilmente inferiori a quelli industriali vigenti (rilevabili sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico , che costituiva l’unica rilevazione ufficiale del prezzo dei carburanti) ed erano soliti riconoscere premi sostanziosi sugli acquisti mensili, con conseguente ulteriore abbattimento dei prezzi applicati;
-a fronte degli elementi offerti dall’Amministrazione finanziaria (quali l’acquisto di merce a prezzi nettamente inferiori a quelli di mercato, mancanza di contratti e di documentazione scritta relativa ai rapporti commerciali tra cedente e cessionario, trattative condotte esclusivamente tramite posta elettronica e conseguente mancanza di conoscenza degli amministratori e dei dipendenti dei nuovi fornitori, utilizzo di canali paralleli in luogo della filiera ordinaria di approvvigionamento, mancanza di struttura commerciale e di una effettiva organizzazione aziendale del cedente, frequenti e reiterati
rapporti commerciali con le società fittizie), idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente, la contribuente non ha fornito alcuna prova contraria volta a dimostrare di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, atteso che non era contestato l’approvvigionamento del carburante, ma la riferibilità dei documenti emessi a soggetti diversi;
la società contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati con memoria;
-l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
– Con il primo motivo, la contribuente deduce , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., 116 cod. proc. civ., 19 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, per avere la CTR posto a fondamento della propria decisione fatti storici privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza; sostiene, in particolare, che il giudice di appello non ha considerato che il prezzo pubblicato dal MISE non poteva costituire, per vari motivi, richiamati nel ricorso, un termine di paragone, anche perché riguardava i prezzi medi praticati nella vendita al dettaglio, mentre la contribuente era un distributore che acquistava all’ingrosso; la natura fittizia delle società fornitrici poteva essere accertata solo a posteriori e con strumenti che non erano nella disponibilità della contribuente, anche in considerazione del fatto che la maggior parte delle società fornitrici erano state costituite nel 2015 e nel 2016; la decisione di approvvigionarsi da società neo-costituite e la medesima veste grafica delle fatture ricevute da tre delle società fornitrici costituivano circostanze irrilevanti, tenuto conto, rispettivamente, che nell’anno 2012 vi era stata la cd. liberalizzazione del mercato petrolifero e che i programmi informatici per la
fatturazione sono in libera vendita; il richiamo alla mancanza di una struttura aziendale non considerava la realtà dei fornitori di prodotti petroliferi, che non necessitano di strutture aziendali particolari, in quanto i depositi fanno capo a soggetti terzi; per la maggior parte delle società fornitrici sulla base degli indici elaborati dall’UIF -Banca d’Italia, allegati dalla contribuente , non vi era alcun elemento che lasciasse intendere la qualifica di cartiera delle società fornitrici, tale da allarmare la contribuente; anche la decisione di rivolgersi dal 2013 a nuovi fornitori non poteva essere considerata una condotta sospetta, ma era dovuta alla liberalizzazione del mercato petrolifero; anche le ulteriori circostanze evidenziate nella sentenza impugnata (la contrattazione era avvenuta a mezzo mail, non erano state chiarite le modalità di estrinsecazione delle trattative, i DAS non riportavano la società fornitrice, i rapporti con le società cartiere erano continui e reiterati) erano privi di rilievo;
– con il secondo motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., 112, 115 e 116 cod. proc. civ., 19 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, e omessa o insufficiente pronuncia su un punto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto erroneamente che la contribuente non avesse fornito alcun elemento atto a dimostrare la propria diligenza nella scelta dei fornitori, omettendo di considerare la documentazione prodotta dalla stessa, riguardante circostanze, quali le modalità di approvvigionamento della materia prima, il risparmio sui costi del personale, il sostenimento in proprio dei costi di trasporto, la velocità della rotazione del magazzino e delle vendite, l’automazione delle pompe di rifornimento, integrante la prova contraria rispetto ai fatti dedotti dall’Amministrazione finanziaria;
-entrambi i motivi, che vanno esaminati unitariamente per connessione, sono inammissibili;
-al riguardo occorre ribadire che, nel caso di operazione soggettivamente inesistente, l’IVA non è, in linea di principio, detraibile, perché è stata versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa e non assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta, in quanto la fattura è emessa da un soggetto che non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, da ritenersi “inesistenti” (Cass. 30.10.2013, n. 24426);
poiché il diniego del diritto di detrazione costituisce un’eccezione al principio di neutralità dell’IVA che tale diritto costituisce, incombe sull’Amministrazione finanziaria provare, anche sulla base di presunzioni, che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione (e segnatamente: che il soggetto emittente non era il reale cedente e che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta), mentre spetterà al contribuente, una volta raggiunta questa prova, fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente (Cass. 20.04.2018, n. 9851);
per quanto riguarda la consapevolezza del cessionario, invece, si deve evidenziare che, se a quest’ultimo non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell’operazione commerciale, tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione (Cass. 2.12.2015, n. 24490);
-con riferimento al tipo di prova incombente sull’Amministrazione, è stato poi condivisibilmente affermato che può trattarsi sia di prova logica (o indiretta) sia di prova storica (o diretta), consistente anche in indizi integranti una presunzione semplice (Cass. n. 28246 del 2020), potendo essere valorizzati, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione dell’operazione da parte del fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale adeguata alla predetta esecuzione, l’immediatezza dei rapporti fra cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente, la conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione (Cass. n. 5339 del 2020);
anche di recente è stato ribadito che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. n. 24471 del 2022);
il contenuto della massima diligenza esigibile nei confronti di un accorto operatore, al fine di non essere parte di una frode IVA, si incentra sulle opportune informazioni circa l’effettiva esistenza del
fornitore, da acquisirsi direttamente (in relazione alla struttura organizzativa dello stesso), sia indirettamente, attraverso l’esame delle modalità con le quali si è estrinsecato il rapporto commerciale con l’emittente (Cass. n. 28165 del 2022);
in tema di evasione IVA a mezzo di frodi carosello, quando l’operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, questa Corte ha precisato che l’onere probatorio a carico dell’Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente-cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta (Cass. n. 10120/2017; Cass. n. 35591 del 2023);
il giudice del gravame ha seguito i principi sopra indicati, avendo considerato il valore sintomatico di tutti elementi indicati dall’Amministrazione finanziaria nell’atto impositivo , richiamati nel dettaglio dalla sentenza impugnata, evidenziando che la contribuente non aveva fornito idonea prova contraria, atta a dimostrare la sua ‘ diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità ‘ e, quindi, la sua incolpevole ignoranza di partecipare a ‘catene frodatorie’, dovendosi considerare che la contestazione riguardava l’inesistenza soggettiva e non oggettiva delle operazioni;
le suddette censure sono, quindi, inammissibili perché mirano, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge e di omesso esame di un fatto decisivo, ad attingere il giudizio di fatto operato dal giudice di appello con riferimento alla valutazione delle prove;
occorre precisare, peraltro, che con l’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha modificato l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
si tratta di censura che, tuttavia, impone a chi la denunci di indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” ( ex multis , Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.);
resta fermo che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie ( ex plurimis , Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.);
la ricorrente non si è attenuta alle suddette prescrizioni, in quanto non ha trascritto nel ricorso, neppure in modo indiretto, nelle loro parti essenziali, ai fini della percezione della doglianza, gli atti dai quali risulterebbero l’allegazione di tali fatti e la loro discussione, e ha
censurato, nella sostanza, una insufficiente ed erronea motivazione della sentenza impugnata in ordine ad alcuni aspetti di valutazione della prove, con ciò attingendo, come si è prima detto, l’apprezzamento e l’articolata motivazione del giudice di merito, al fine di provocare un nuovo accertamento in fatto, non consentito in questa sede;
in conclusione, il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che si liquidano in euro 23.000,00, oltre alle spese prenotate a debito; dà atto, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art.
13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 21 novembre 2024