Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31908 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31908 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19270/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in CREMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in CREMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE GIUST. TRIB. II GRADO PUGLIA n. 656/2023 depositata il 07/03/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Emessi avvisi di accertamento per le annualità di imposta 2011, 2012 e 2013, nei confronti delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in quanto partecipanti ad una frode IVA ed utilizzatrici di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, le due società proponevano ricorsi con cui deducevano di essere estranee al meccanismo fraudolento e di aver agito con prezzi di acquisto e margini assolutamente normali, senza potersi avvedere delle anomalie delle fornitrici che soltanto l’attività investigativa dell’Amministrazione aveva fatto emergere.
La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Bari accoglieva parzialmente i ricorsi riuniti, riducendo le sanzioni per l’anno di imposta 2012, e rigettava per il resto.
Le due società hanno proposto separati appelli e la Corte di giustizia tributaria (CGT) di secondo grado della Puglia, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato gli appelli riuniti, ritenendo sulla scorta del decreto di archiviazione emesso dal GIP di Trani nei confronti di NOME COGNOME amministratore delle ricorrenti, e di consulenza di CTU depositata in quel procedimento, che le fornitrici (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) avevano rivestito un ruolo di rilievo nell’ambito di una frode fiscale ai danni dell’Erario e che, sebbene non fosse provata la diretta partecipazione del legale rappresentante delle ricorrenti alla frode, vi era una situazione di conoscibilità da parte di questo: la stessa CTU, infatti, aveva rilevato la « totale assenza di strutture organizzative » delle cedenti; inoltre, secondo la CGT era emerso che i prezzi erano inferiori a quelli praticati da fornitori nazionali, quali la RAGIONE_SOCIALE. Per contro, le società appellanti non avevano dimostrato di aver adempiuto « all’ordinario medio dovere di diligenza », finalizzato ad assicurarsi della liceità delle operazioni effettuate o quantomeno di aver adottato tutte le precauzioni e utilizzato gli strumenti disponibili per escludere ragionevolmente la ricorrenza di una frode, ciò che avrebbe consentito di avere
contezza dell’inesistenza di strutture organizzative e di dipendenti in capo alle fornitrici.
Avverso tale pronuncia hanno proposto separati ricorsi per cassazione le due cessionarie, ciascuna delle quali si è affidata a cinque motivi.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
E’ stata depositata in data 16.11.2024 proposta di definizione accelerata (PDA) ex art. 380 bis c.p.c., notificata il 20.11.2023, e le ricorrenti hanno presentato in data 27.12.2023 istanze con cui hanno chiesto la decisione, allegando nuove procure speciali.
Le ricorrenti hanno anche depositato memorie.
CONSIDERATO CHE
Stante la piena sovrapponibilità dei motivi proposti, sostanzialmente coincidenti se non identici, può svolgersi una trattazione unitaria degli stessi.
1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c, violazione dell’art. 36, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, lamentandosi che la CGT, dopo aver ripercorso le prove emerse nel processo penale, tutte favorevoli alle contribuenti, aveva deciso, incongruamente e contraddittoriamente, confermando la sentenza di primo grado.
1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., violazione dell’art. 116 c.p.c., e dell’art. 36, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, perché la CGT «d opo aver enumerato le prove, che imporrebbero tutte la applicazione di una norma favorevole al contribuente, nega poi la sua applicazione ».
1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. laddove la CGT aveva ammesso in giudizio una prova « totalmente aliena alla causa ed al contribuente , utilizzandola poi in modo decisivo »; ci si duole dell’ utilizzazione degli esiti delle indagini della Guardia di finanza svolte nei confronti di soggetti terzi, in
particolare ai fini dell’accertamento della natura di ‘cartiere’ delle due società fornitrici, esiti « totalmente sconosciuti e ‘non conoscibili’ » dalle ricorrenti, rimaste totalmente estranee a quelle indagini.
1.4. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., 9 TUIR, avendo la CGT travisato le risultanze probatorie relative alle RAGIONE_SOCIALE, perché i documenti depositati avevano provato che le fatture contestate dall’Ufficio mostravano che i prezzi e le condizioni praticate dalle due società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE erano assolutamente normali ed in linea con quelli praticati da altri venditori del settore.
1.5. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione dell’art. 1176 c.c., in quanto la CGT aveva violato i canoni ermeneutici, espandendo il dovere di diligenza medio o ragionevole sino a configurare una responsabilità oggettiva a carico delle cessionarie, perché l’attività di verifica e controllo richiesta non avrebbe consentito di rilevare le anomalie delle ditte fornitrici, operanti da diversi anni nel settore, accertate solo ad esito delle indagini giudiziarie.
Con riferimento a tali motivi il Consigliere delegato ha formulato la seguente PDA: «Primi due motivi di entrambi i ricorsi (del tutto sovrapponibili), i quali possono essere esaminati congiuntamente, manifestamente infondati in conformità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la nullità della motivazione può essere predicata solo in caso di mancanza o di assoluta incomprensibilità del percorso logico che ha condotto alla decisione (Cass., Sez., U., 7 aprile 2014, n. 8053); non è, pertanto, invocabile una contraddizione tra premesse e conclusioni della sentenza impugnata (1° cpv. motivo 4.1 e 1° cpv. motivo 4.2) se non ove tale contraddizione infici nel suo complesso la comprensibilità del percorso logico seguito; nella specie il giudice di
appello, con motivazione compiuta, ha ritenuto -sulla base della perizia esperita in sede penale e degli ulteriori elementi acquisiti al giudizio (aventi ad oggetto la prova dell’acquisto di prodotti da società cartiere a valori tali che consentivano di praticare prezzi inferiori a quelli operati da altri operatori nazionali, avuto riguardo allo stesso stadio di commercializzazione) -che vi fossero elementi sufficienti a comprovare la compartecipazione delle società ricorrenti (ciascuna in relazione ai diversi periodi di imposta oggetto di accertamento) alla frode IVA consumata a monte e ha escluso la prova contraria della buona fede (in senso oggettivo) delle società attuali ricorrenti; terzo e quarto motivo di entrambi i ricorsi (da valutarsi congiuntamente) inammissibili (ricorso successivo sovrapponibile al precedente come per i superiori motivi), in quanto i ricorrenti, pur denunciando formalmente le norme in tema di onere e valutazione della prova, mirano a una rivalutazione del ragionamento decisorio che ha portato il giudice del merito, a ritenere sussistente un quadro indiziario di consapevolezza delle società contribuenti di prendere parte a una frode IVA; così facendo i ricorrenti, pur deducendo apparentemente, una violazione di norme di legge, mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., Sez. VI, 4 luglio 2017, n. 8758; Cass., Sez. I, 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., Sez. I, 14 gennaio 2019, n. 640; Cass., Sez. I, 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., Sez. V, 4 aprile 2013, n. 8315); quinto motivo di entrambi i ricorsi (identici) manifestamente infondato, posto che la prova contraria che deve fornire il contribuente coinvolto in un frode IVA attiene alla dimostrazione della propria buona fede avuto riguardo alla massima diligenza esigibile da un accorto operatore professionale (Cass., 14 dicembre 2022, n. 36684; Cass., Sez. V, 12 febbraio
2019, n. 4045), che induca la dimostrazione che il soggetto passivo non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si collocasse nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore nella catena a monte delle cessioni, viziata da evasione dell’IVA (CGUE, 22 ottobre 2015, PPUH, C-277/14, punto 49); buona fede che, per costante giurisprudenza, va valutata secondo standard oggettivi in relazione a criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, tenuto conto delle circostanze del caso concreto (Cass., 20 dicembre 2021, n. 40690; Cass., Sez. V, 17 agosto 2021, n. 22969; Cass., Sez. V, 3 agosto 2021, n. 22107; Cass., Sez. V, 20 luglio 2021, n. 20648; Cass., Sez. V, 8 luglio 2021, n. 19387; Cass., Sez. VI, 11 novembre 2020, n. 25426; Cass., Sez. V, 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., Sez. V, 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., Sez. V, 24 agosto 2018, n. 21104; Cass., Sez. V, 20 aprile 2018, n. 9851; Cass., Sez. V, 19 aprile 2018, n. 9721; Cass., Sez. U., 12 settembre 2017, n. 21105), come accertato in fatto dal giudice di appello; quinto motivo dei suddetti ricorsi inammissibile nella parte in cui denuncia l’irrilevanza dell’indagine sui sistemi di scambio informazioni VIES e l’inconsistenza dei riscontri dalle visure CCIAA dei fornitori (‘l’ulteriore attività ‘pretesa’ dalla C.G.T. non avrebbe affatto consentito di verificare ‘l’inesistenza di strutture organizzative’), la cui omissione il giudice di appello ha invece stigmatizzato a fondamento dell’omessa prova contraria (‘nella fattispecie il contribuente avrebbe potuto e in particolare dovuto comprovare di essersi, invece, attivato nell’adempimento del ‘dovere’ ut supra. Ossia di essersi procurato, con la dovuta diligenza visure camerali societarie dei fornitori citati, relativi bilanci depositati, ecc.’: pag. 5 sent. imp.), in quanto -in disparte l’omessa trascrizione dei documenti che le società ricorrenti intenderebbero come irrilevanti ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova contraria – motivo volto a una rivalutazione degli elementi di prova (di carattere
indiziario) operato dal giudice del merito, attività incensurabile in sede di legittimità;».
2.1. Ad avviso di questo Collegio il ricorso deve essere deciso in sostanziale conformità alla proposta, che non viene inficiata dagli argomenti proposti in memoria.
I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati.
3.1. Non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che « la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture » (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; v. anche Cass. n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente,
quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi in modo da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento).
3.2. In questo caso, come si desume dalla superiore espositiva in fatto, la motivazione attinge il minimo costituzionale, in quanto è chiaramente intelligibile e non presenta vizi di illogicità o contraddittorietà che pregiudichino la comprensione dell’ iter seguito. La CGT ha esaminato l’intero compendio probatorio, compresi gli elementi a favore delle ricorrenti, dando rilievo decisivo a quelli che conducevano ad affermare la fondatezza della pretesa impositiva: la CGT ha ritenuto che le due fornitrici, prive di strutture organizzative, fossero ‘cartiere’ e che se le cessionarie avessero acquisito « visure camerali societarie dei fornitori citati, relativi bilanci depositati, ecc., ovvero tutta la documentazione notoriamente di facile accesso e disponibilità pubblicistica erga omnes», avrebbero avuto «contezza dell’inesistenza di strutture organizzative, dell’inesistenza di dipendenti ecc ..».
3.3. Non ricorre contraddittorietà o illogicità laddove la sentenza dà atto degli elementi favorevoli alle contribuenti emersi in sede penale che escludevano « una consapevole partecipazione alla frode contestata » e « legami tra STIR (breviter) e le su citate asserite società filtro » perché la stessa CGT sottolinea l’« autonomia tra procedimento penale e procedimento amministrativo tributario » ed evidenzia che le risultanze del giudizio penale « costituiscono semplici elementi liberamente valutabili dal Giudice » e che « stante i relativi e ben noti sostanziali differenti regimi di prova » il contrasto tra due provvedimenti (penale e tributario) è « plausibile », in piena sintonia , tra l’altro, con la costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 8129 del 2012; Cass. n. 2938 del 2015; Cass. n. 16262 del 2017; Cass. n. 27814 del 2020; Cass. n. 38750 del 2021).
4. Il terzo motivo è inammissibile nella parte in cui tenta di rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice del merito (Cass., sez. un., n. 34476 del 2019), atteso che « una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione » (Cass. n. 6774 del 2022; Cass. n. 1229 del 2019; Cass. n. 27000 del 2016).
4.1. La censura è pure infondata laddove contesta l’utilizzabilità di atti di indagine svolti dalla Guardia di Finanza nei confronti di terzi soggetti. L’utilizzabilità di atti relativi a terzi si desume dall’art. 7 l. n. 212/2000 che prevede, con riferimento alla motivazione dell’atto impositivo, che « Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama » (ma secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’atto può essere anche solo riprodotto nella sua parte essenziale nell’avviso, c.d. motivazione per relationem , v., ultimamente, Cass. n. 21670 del 2024 in motivazione e altra giurisprudenza ivi citata); questa Corte ritiene, altresì, « legittima l’utilizzazione di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche acquisito in modo irrituale, ad eccezione di quelli la cui inutilizzabilità discende da specifica previsione di legge e salvi i casi in cui venga in considerazione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale» (Cass. n. 31779 del 2019) ; l’estraneità del contribuente all’attività di indagine da cui è scaturito l’atto non lo rende di per sé inutilizzabile nei suoi confronti, come affermato « in linea di principio » anche
dalla giurisprudenza unionale in tema di IVA (Corte giust., 16 ottobre 2019, C-189/18, Glencore ).
4.1.1. Quanto a ll’accesso del contribuente alle informazioni sottostanti l’emissione dell’atto impugnato , è la stessa giurisprudenza eurounitaria ad affermare che il rispetto del diritto di difesa non costituisce una prerogativa assoluta ma può essere assoggettato a restrizioni, in particolare in ambito tributario (Corte giust, 9 novembre 2017, C-298/16, Ispas , punto 35), ove occorre tutelare ulteriori interessi, come la vita privata di terzi e la stessa efficacia dell’azione repressiva, interessi meritevoli di tutela e che possano essere pregiudicati dall’accesso indiscriminato. E’ stato, quindi, affermato che «i l principio del rispetto dei diritti della difesa, in un procedimento amministrativo non impone quindi all’amministrazione finanziaria un obbligo generale di fornire un accesso integrale al fascicolo di cui dispone, ma esige che il soggetto passivo abbia la possibilità di ricevere, a sua richiesta, le informazioni e i documenti contenuti nel fascicolo amministrativo e presi in considerazione da tale amministrazione ai fini dell’adozione della sua decisione » (Corte giust., Glencore , cit., punto 56). In tal senso è anche la giurisprudenza di questa Corte, che ha di recente ribadito come in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il diritto di accesso alle informazioni sottostanti l’emissione dell’atto impugnato può essere esercitato solo se, e nella misura in cui, sia strumentale all’esercizio del diritto di difesa, che può dirsi violato ove il contribuente illustri come ed in che termini la tempestiva ostensione degli elementi di fatto a lui favorevoli, e non contenuti negli atti impositivi impugnati, avrebbe potuto influenzare l’esito dell’accertamento nei propri confronti (Cass. n. 36852 del 2022; Cass. n. 34044 del 2023).
5. Il quarto motivo è inammissibile perché anch’esso tende a rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito che ha ritenuto « comprovata la sussistenza di prezzi
inferiori a quelli rivenienti da RAGIONE_SOCIALE e altri operatori nazionali essendo irrilevante, in quanto mai dimostrata, a parere del Collegio la circostanza -pure addotta dal contribuente -che i listini RAGIONE_SOCIALE riferiscono prezzi di vendita in ‘condizioni specifiche e diverse’ dalla ricorrente RAGIONE_SOCIALE. Ovvero manca la prova della ‘loro diversità e specificità’ rispetto ai fornitori e rispetto alla stessa RAGIONE_SOCIALE»; La CGT ha ulteriormente argomentato osservando che appariva non pertinente o comunque non concludente il raffronto con le fatture d’acquisto da altri fornitori «in quanto inclusivo di molteplici operazioni intercorse con propri fornitori non nazionali, e che non equivalgono a valori assoluti di mercato e nemmeno smentiscono quelli valorizzati dal perito ».
5.1. A quanto già osservato in ordine alla inammissibile censura della valutazione degli elementi istruttori compiuta dal giudice di merito (v. supra n. 4), può aggiungersi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione ( ex multis Cass., n. 26110 del 2015); ancora si rileva che « Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione
fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione » (Cass. n. 9097 del 2017).
Il quinto motivo è inammissibile e comunque infondato.
6.1. Come già stigmatizzato nella PDA, si censura l’apprezzamento degli elementi istruttori svolto dal giudice del merito, il quale ha rilevato che erano state depositate soltanto « interrogazioni camerali clienti RAGIONE_SOCIALE » ma non era stato provato che le cessionarie avessero adottato le precauzioni rientranti nell’ «ordinario medio dovere di diligenza» per «assicurarsi della liceità delle operazioni effettuate o quantomeno per escludere ragionevolmente » di partecipare ad una frode, concludendo che l’acquisizione di visure camerali societarie dei fornitori citati, di bilanci depositati, di tutta la documentazione notoriamente di facile accesso avrebbe, «da subito, consentito di avere contezza dell’inesistenza di strutture organizzative, dell’inesistenza di dipendenti ecc … .essendo più che notoria la pubblicità di tali elementi».
6.2. Così motivando, la CGT ha fatto buon governo dei principi in materia secondo cui, l addove si contesti al soggetto passivo IVA il compimento di operazioni soggettivamente inesistenti e si neghi il diritto alla detrazione dell’IVA assolta in rivalsa, come ben chiarito da questa Corte (Cass., n. 9851 del 2018), l’Amministrazione finanziaria deve provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di
partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (v. anche Cass. n. 2471 del 2022; Cass. n. 11873 del 2018; Cass. n. 27555 del 2018; Cass. n. 27566 del 2018; Cass. n. 5873 del 2019; Cass. n. 15369 del 2020).
6.3. Quindi, per andare esenti da responsabilità le cessionarie avrebbero dovuto dimostrare la propria buona fede avuto riguardo alla « massima diligenza esigibile da un accorto operatore professionale» (Cass., n. 36684 del 2022; Cass., n. 4045 del 2019), che si modula in rapporto alle circostanze del caso concreto (in particolare, sul tema, v. Cass. n. 9851 del 2018), ma in questo caso le ricorrenti, secondo quanto accertato dalla CGT, non avevano neppure acquisito la documentazione di più facile accesso relativa alle fornitrici presso il registro delle imprese .
La definizione del giudizio in conformità alla proposta ex art. 380bis c.p.c. comporta l’applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c., come testualmente previsto dal citato art. 380-bis ultimo comma c.p.c., che « mira a configurare uno strumento di agevolazione della definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l’individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi ex post prive di giustificazione, e quindi idonee a concretare, secondo una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato (d.lgs. n. 149 del 2022), un’ipotesi di abuso del diritto di difesa. Richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., l’art. 380 -bis cod. proc. civ. codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato, una ipotesi di abuso del processo, già immanente nel
sistema processuale, giacché non attenersi alla delibazione del Presidente che trovi poi conferma nella decisione finale, lascia presumere una responsabilità aggravata» (Cass. sez. un., n. 36069 del 2023).
7.1. Va peraltro esclusa una interpretazione della norma che conduca ad automatismi non in linea con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto, dovendo l’applicazione in concreto delle predette sanzioni rimanere affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso di specie: nell’ipotesi in esame non si rinvengono ragioni (stante la complessiva ‘tenuta’ della PDA) per discostarsi dalla suddetta previsione legale.
Sulla scorta di quanto esposto le ricorrenti soccombenti vanno condannate al pagamento, in favore dell’Agenzia controricorrente, delle spese di lite liquidate come in dispositivo ed altresì della ulteriore somma di euro 3.000,00 (valutata equitativamente, tenuto conto anche dell’oggetto della domanda), nonché ciascuna di esse al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di euro 500,00.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi; condanna le ricorrenti in solido al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; visto l’art. 380 bis ult. comma c.p.c., condanna le ricorrenti al pagamento della somma di euro 3.000,00 a favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96 terzo comma c.p.c., e ciascuna di esse al pagamento della somma di euro 500,00 a favore della cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96 quarto comma; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle
ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 29/05/2024.