Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30772 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30772 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19385/2021 R.G. proposto da :
NOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME NOMECODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ABRUZZO n. 8, depositata il 07/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/10/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo n. 8, pronunciata in data 17 dicembre 2020 e depositata il 7 gennaio 2021, con cui è stato rigettato l’appello proposto avverso la sentenza della Commissione Tributaria RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE n. 80/1/2020.
La controversia origina dall’istanza cautelare presentata dall’RAGIONE_SOCIALE, con cui è stata richiesta l’autorizzazione all’iscrizione di ipoteca su beni immobili intestati alla RAGIONE_SOCIALE e al sequestro conservativo di conti correnti intestati alla RAGIONE_SOCIALE, alla RAGIONE_SOCIALE, alla COGNOME e a NOME COGNOME.
L’istanza si fondava sui processi verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza di Ortona, dai quali era emerso un sistema di interposizione fittizia tra fornitori italiani e la RAGIONE_SOCIALE, mediante le società estere UAB Leonardo GEF Baltic GEF (Lituania) e RAGIONE_SOCIALE (Slovenia), al fine di ottenere indebiti vantaggi fiscali. Secondo l’Ufficio, gli utili realizzati in Italia sarebbero stati trasferiti all’estero e successivamente reinvestiti in Italia nella RAGIONE_SOCIALE SRAGIONE_SOCIALE.l.
La Commissione Tributaria RAGIONE_SOCIALE accoglieva l’istanza cautelare, ritenendo sussistenti i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora . L’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, dalla COGNOME, da COGNOME e dalla RAGIONE_SOCIALE veniva
rigettato dalla CTR dell’Abruzzo, che confermava la decisione di primo grado e condannava la parte appellante alla refusione RAGIONE_SOCIALE spese. A fondamento della decisione il giudice d’appello anzitutto rimarcava la sussistenza della prova della notifica dell’istanza cautelare sia alla RAGIONE_SOCIALE, sia a NOME COGNOME e a NOME COGNOME, i quali avevano comunque dimostrato piena conoscenza degli atti. La CTR sottolineava altresì, quanto al sequestro dei conti correnti di COGNOME e di COGNOME, le loro cointeressenze incrociate nelle società coinvolte e la consapevolezza degli illeciti compiuti, resa evidente dall’eliminazione dai conti di ogni significativa provvista. In relazione poi al fumus , la CTR evidenziava che, oltre a non esservi alcun motivo per triangolare le transazioni con le società estere facendo circolare solo formalmente merce che veniva prodotta ed acquistata in Italia e utilizzata dalla RAGIONE_SOCIALE sempre in Italia, era emerso che le società estere non erano munite di organizzazione materiale, di concrete attrezzature e, tantomeno, di personale dipendente. In relazione poi al periculum , specificava il giudice d’appello, l’ideazione della complessa articolazione RAGIONE_SOCIALE transazioni, la formazione di plurime società ad opera dei medesimi soggetti e l’eliminazione di provviste dai conti correnti costituiscono significativi indici di alta capacità evasiva ed elusiva senza contare che le somme che si assume essere state sottratte al Fisco sono di notevole entità.
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, articolando tre motivi, che illustra con memoria. L’RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1 e 2 del D.Lgs. n. 74/2000, nonché degli articoli 2697, 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3
c.p.c., per avere la CTR erroneamente qualificato le operazioni commerciali oggetto di attenzione come soggettivamente e oggettivamente inesistenti, senza che l’Ufficio abbia assolto l’onere probatorio.
Con il secondo motivo si contesta la nullità della sentenza per motivazione apparente, attesa la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. 36 del D.Lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per avere la CTR omesso di motivare adeguatamente la decisione, limitandosi a recepire acriticamente le tesi dell’Ufficio, senza considerare le argomentazioni e la documentazione prodotta dalla parte appellante.
Con il terzo motivo si denuncia la omessa valutazione di fatti decisivi.
Si deduce la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per avere la CTR trascurato di considerare fatti storici decisivi, tra cui la mancata determinazione dell’importo effettivo dei tributi contestati, l’assenza di prova del periculum in mora e la natura agricola dei beni oggetto di ipoteca.
Il primo motivo è infondato.
Dalla motivazione della sentenza impugnata si evince che la Commissione ha ravvisato sia il fumus boni iuris , sia il periculum in mora , esaminando il meccanismo allestito e reiterato.
In particolare, la mancanza di personale, di attrezzature e di magazzini RAGIONE_SOCIALE società estere ha indotto la Commissione a ritenere che tali entità fossero meri soggetti interposti, formalmente inseriti nella catena commerciale al solo fine di beneficiare di un regime fiscale più favorevole.
Inoltre, la Commissione ha evidenziato come le merci oggetto RAGIONE_SOCIALE operazioni risultassero acquistate in Italia da fornitori italiani, successivamente inviate all’estero senza subire alcuna trasformazione o lavorazione, e infine reintrodotte in Italia per essere utilizzate nei cantieri della società contribuente. Tale
schema, privo di una giustificazione economica plausibile, è stato interpretato come un meccanismo artificioso volto a generare costi fittizi e a trasferire all’estero gli utili effettivamente prodotti in Italia.
Ulteriore elemento valorizzato è stato il coinvolgimento diretto dei soggetti ricorrenti, NOME COGNOME e NOME COGNOME, i quali risultavano avere ruoli apicali e cointeressenze incrociate nelle società coinvolte. In particolare, la Commissione ha ritenuto che i proventi derivanti dalle operazioni fittizie fossero stati successivamente reinvestiti in Italia nella RAGIONE_SOCIALE, anch’essa riconducibile agli stessi soggetti, attraverso bonifici provenienti dalla società lituana.
Infine, la Commissione ha ritenuto significativo, ai fini della valutazione del periculum in mora , il fatto che dai conti correnti personali dei ricorrenti fossero state rimosse le provviste, interpretando tale condotta come un tentativo di sottrarsi all’azione esecutiva dell’Amministrazione finanziaria.
A fronte di questo accertamento di fatto, non viene dedotta una reale difformità dispetto al paradigma normativo, risolvendosi la censura nella sostanziale richiesta a questa Corte di un diverso sindacato sul merito della questione.
Il giudizio di merito condotto dai giudici di secondo grado sulla valutazione RAGIONE_SOCIALE prove, sia pure presuntive, non può essere revisionato in questa sede, tenuto conto del principio di diritto secondo cui: « Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo
logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione » (Cass., 26 ottobre 2021, n. 30042).
D’altronde, il meccanismo descritto dal giudice d’appello risponde in pieno a quello della frode carosello, in cui il fatturante è, quanto meno formalmente, il fornitore effettivo, ma l’operazione si iscrive -per quanto riguarda quel trasferimento o per quanto riguarda i passaggi precedenti -in una combinazione negoziale fraudolenta di cui l’acquirente era o partecipe o consapevole e che contempla l’avvalimento in vario modo da parte dei cessionari successivi del non versamento dell’IVA da parte di un cedente (da ultimo, in termini, Cass., 20 agosto 2025, n. 23622).
Più in particolare, la dimostrazione a carico dell’amministrazione finanziaria è raggiunta qualora siano forniti validi elementi che, alla stregua dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600/1973, e dell’art. art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633/1972, possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi, per affermare che le fatture sono state emesse per operazioni fittizie, ovvero che dimostrino in modo certo e diretto la inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati ovvero la inesattezza RAGIONE_SOCIALE indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione. Infatti, nell’ordinamento tributario, gli elementi indiziari, ove rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, danno luogo a presunzioni semplici le quali, proprio a mente degli univoci precetti dettati dalle sopra indicate previsioni normative, sono idonee, di per sé sole considerate, a fondare il convincimento del giudice. Assolto in tal guisa l’onere della prova incombente sull’amministrazione finanziaria, grava poi sul contribuente la dimostrazione dell’effettiva esistenza RAGIONE_SOCIALE
operazioni contestate. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione finanziaria, estrinsecando in motivazione i risultati del proprio giudizio; solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, a tanto onerato dall’art. 2697, comma secondo, cod. civ. (v. in particolare Cass., 18 ottobre 2021, n. 28628). Il che a maggior ragione vale in un’ipotesi, come quella in esame, in cui si discute di fumus boni iuris .
È, d’altronde, sufficiente la dimostrazione che il cessionario poteva avere conoscenza dell’esistenza della frode fiscale e, conseguentemente, evitare di restarne coinvolto attraverso l’adozione di tutte le misure esigibili secondo l’ordinaria diligenza, mentre non è richiesta anche la prova della effettiva consapevolezza della frode, né, tanto meno, della partecipazione alla stessa da parte del cessionario medesimo.
In questo contesto, le valutazioni svolte dal giudice d’appello, calibrate, si ribadisce, sul fumus boni iuris , sono in pieno rispondenti ai principi dinanzi delineati.
Il secondo motivo è infondato.
Invero, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , solo quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., 5 luglio 2022, n. 21302; Cass., 1 marzo 2022, n. 6758).
È, quindi, nulla la sentenza che dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, contenga una motivazione che non consente di «comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato», non assolvendo in tal modo alla finalità di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi » (Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232).
Nella specie, tuttavia, si è veduto in sede d’esame del primo mezzo di ricorso, la CTR si è soffermata su plurimi profili e altrettanti ne ha argomentatamente valorizzato. In definitiva, la motivazione della sentenza ben lascia cogliere la ratio decidendi ad essa sottesa, assolvendo in misura adeguata al requisito di contenuto richiesto dalle disposizioni di legge di cui il ricorso lamenta la violazione, attesa l’esposizione RAGIONE_SOCIALE ragioni di fatto e di diritto della decisione, sufficiente ad evidenziare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione.
Il terzo motivo è inammissibile.
Ad avviso della ricorrente, la CTR avrebbe trascurato, quanto al requisito del periculum in mora , l’omessa determinazione dell’importo dei tributi, degli interessi e RAGIONE_SOCIALE sanzioni pretesi, laddove non sarebbero elementi rilevanti la destinazione agricola dei beni, la loro funzionalità rispetto all’oggetto sociale della RAGIONE_SOCIALE, e l’assenza di atti dispositivi idonei a frustrare la pretesa erariale. Tali omissioni comprometterebbero la correttezza della decisione impugnata.
In realtà col motivo in questione non si deduce l’omissione di un fatto storico, ma si contesta in diritto e sul piano dell’opportunità -là dove si sostiene l’inutilità dell’iscrizione ipotecaria -la valutazione
della sussistenza del periculum , a fronte, peraltro, dell’argomentata valutazione svolta dalla CTR, di cui si è dato conto in narrativa.
Ai sensi del nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., come modificato dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, d’altronde, il vizio di motivazione è oggi configurabile esclusivamente nei casi in cui ricorra un’omissione motivazionale tale da tradursi in una violazione di legge costituzionalmente rilevante. In particolare, è denunciabile in sede di legittimità soltanto l”anomalia motivazionale’ che si traduce in una sostanziale assenza di motivazione, rilevabile direttamente dal testo della sentenza, senza necessità di confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce in ipotesi tassative, quali: la mancanza assoluta di motivazione sotto il profilo materiale e grafico, la motivazione meramente apparente, il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e la motivazione perplessa o obiettivamente incomprensibile. È invece esclusa ogni rilevanza del semplice difetto di sufficienza o di logicità della motivazione.
Inoltre, il vizio è configurabile solo in presenza dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, che sia stato oggetto di discussione tra le parti e che rivesta carattere decisivo, nel senso che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia. Non sono invece sindacabili in sede di legittimità le valutazioni del giudice di merito circa l’attendibilità RAGIONE_SOCIALE prove, la scelta RAGIONE_SOCIALE fonti del proprio convincimento o la preferenza accordata a determinate risultanze istruttorie rispetto ad altre.
Ne consegue che non è ammissibile un ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione di un vizio motivazionale, miri in realtà a sollecitare una nuova valutazione del merito della causa, riservata esclusivamente al giudice di merito. In tal senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità, la quale ha ribadito che non è consentito alla Corte di cassazione procedere a una propria
autonoma valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze istruttorie, né sindacare l’apprezzamento dei fatti operato dal giudice di merito, salvo che ricorra una RAGIONE_SOCIALE ipotesi tassative sopra indicate (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415).
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente, nelle qualità indicate in epigrafe, alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di lite in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, liquidate in euro 4.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 -bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15/10/2025.
La Presidente
NOME–NOME COGNOME