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Frode Carosello: Prova e Onere del Contribuente

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7499/2025, interviene sul tema della frode carosello e delle operazioni soggettivamente inesistenti. Un’impresa era stata oggetto di accertamenti fiscali per aver acquistato beni da una società ‘cartiera’. La Commissione Tributaria Regionale aveva annullato gli atti, ritenendo non provato un ‘accordo collusivo’ tra le parti. La Suprema Corte ha cassato tale decisione, chiarendo che per contestare la frode carosello non è necessario provare l’accordo, ma è sufficiente dimostrare, anche tramite presunzioni, che il contribuente fosse a conoscenza della frode o avrebbe dovuto saperlo usando l’ordinaria diligenza. L’onere della prova contraria grava quindi sul contribuente.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode Carosello: la Cassazione definisce l’onere della prova del contribuente

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un tema cruciale del diritto tributario: l’onere della prova nei casi di frode carosello. La Suprema Corte ha chiarito quali elementi l’Amministrazione Finanziaria deve fornire per contestare operazioni soggettivamente inesistenti e quale livello di diligenza è richiesto al contribuente per dimostrare la propria buona fede. La decisione ribalta un verdetto di merito che aveva erroneamente richiesto la prova di un ‘accordo collusivo’ tra acquirente e venditore.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una ditta individuale operante nel commercio di autoveicoli, destinataria di tre avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2006, 2007 e 2008. L’Agenzia delle Entrate contestava maggiori imposte (II.DD, IRAP e IVA) derivanti da operazioni di acquisto di veicoli considerate soggettivamente inesistenti. Secondo la ricostruzione del Fisco, basata su verbali della Guardia di Finanza, l’impresa si era inserita in una cosiddetta frode carosello, acquistando beni da una società risultata essere una ‘cartiera’, creata al solo scopo di consentire l’evasione fiscale.

Il contribuente aveva impugnato gli atti impositivi. Mentre la Commissione Tributaria Provinciale aveva respinto i ricorsi, la Commissione Tributaria Regionale li aveva accolti, annullando gli accertamenti. La motivazione del giudice d’appello si fondava su un punto specifico: la mancata prova, da parte dell’Agenzia, di un ‘accordo collusivo’ tra la società fornitrice e l’impresa acquirente.

La Decisione della Corte sulla prova della frode carosello

L’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, l’errata applicazione delle norme sull’onere della prova e sulla valutazione degli elementi presuntivi. La Suprema Corte ha accolto i motivi centrali del ricorso, cassando la sentenza regionale e rinviando la causa per un nuovo esame.

Il punto focale della decisione è la critica alla tesi del giudice di merito. La Cassazione ha stabilito che, per contestare la deducibilità dei costi e la detraibilità dell’IVA in un contesto di operazioni soggettivamente inesistenti, non è necessario che l’Amministrazione Finanziaria dimostri l’esistenza di un patto fraudolento esplicito tra le parti. L’elemento cardine richiesto dalla giurisprudenza consolidata è un altro.

L’onere probatorio dell’Amministrazione Finanziaria e del contribuente

La Corte ha ribadito che l’onere della prova a carico dell’Agenzia delle Entrate si articola in due passaggi:
1. Dimostrare che il fornitore era un soggetto fittizio o una ‘cartiera’.
2. Provare, anche attraverso elementi presuntivi (indizi), che il destinatario della fattura (il contribuente) era consapevole della frode o avrebbe dovuto esserlo utilizzando l’ordinaria diligenza richiesta a un operatore economico.

Una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha assolto a questo onere, la palla passa al contribuente. Spetta a quest’ultimo fornire la prova contraria, dimostrando di aver agito con la massima diligenza possibile per non essere coinvolto in un’operazione evasiva. Non è sufficiente, a tal fine, la mera regolarità formale della contabilità e dei pagamenti.

Le Motivazioni

La motivazione della Cassazione si allinea a un orientamento ormai consolidato. I giudici hanno spiegato che pretendere la prova di un accordo collusivo equivale a imporre un onere probatorio eccessivo e non richiesto dalla normativa. Il fulcro della questione non è la partecipazione attiva alla frode, ma la consapevolezza (o la colpevole inconsapevolezza) di inserirsi in un’operazione illecita. L’imprenditore onesto e mediamente esperto deve essere in grado di riconoscere i segnali di allarme che indicano che una transazione è finalizzata all’evasione fiscale.

Nel caso specifico, la Commissione Regionale aveva completamente omesso di valutare gli elementi indiziari forniti dall’Agenzia, concentrandosi unicamente sull’assenza dell’accordo fraudolento. Così facendo, ha disapplicato i corretti principi in materia di ripartizione dell’onere probatorio, rendendo la sua decisione giuridicamente errata. La Corte ha quindi disposto che il giudice del rinvio dovrà riesaminare il caso applicando correttamente questi principi, valutando se il contribuente avrebbe dovuto, con la diligenza professionale richiesta, accorgersi della natura fittizia del proprio fornitore.

Conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un importante monito per tutti gli operatori economici. La lotta alla frode carosello e all’evasione IVA si basa non solo sulla repressione dei comportamenti dolosi, ma anche sulla promozione di un elevato standard di diligenza nelle transazioni commerciali. Le imprese devono adottare cautele adeguate nella scelta dei propri partner commerciali, andando oltre la mera apparenza formale. Essere consapevoli o, peggio, ignorare colpevolmente gli indizi di una frode può comportare conseguenze fiscali molto gravi, con il disconoscimento di costi e IVA. La prova della propria buona fede non è un dato di fatto, ma un onere da assolvere attivamente dimostrando di aver fatto tutto il possibile per operare nella legalità.

Per accusare un’azienda di frode carosello, l’Agenzia delle Entrate deve provare un accordo segreto con il fornitore?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che non è necessario dimostrare un ‘accordo collusivo’. L’Amministrazione Finanziaria deve provare che il fornitore era fittizio e che l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode.

Cosa deve dimostrare l’Agenzia delle Entrate in un caso di operazioni soggettivamente inesistenti?
Deve dimostrare, anche con indizi gravi, precisi e concordanti, che il fornitore era un soggetto fittizio (una ‘cartiera’) e che il contribuente acquirente era consapevole dell’inserimento dell’operazione in un meccanismo evasivo, o che avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza professionale.

Una volta che l’Agenzia fornisce questi indizi, cosa deve fare il contribuente per difendersi?
Il contribuente ha l’onere di fornire la prova contraria. Deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore economico accorto per non essere coinvolto nella frode. La semplice regolarità formale della contabilità e dei pagamenti non è considerata una prova sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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