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Frode carosello: prova della consapevolezza del cessionario

In un caso di presunta frode carosello, la Corte di Cassazione ha confermato l’annullamento di un avviso di accertamento, stabilendo che la consapevolezza dell’acquirente di partecipare a un’evasione IVA non può essere presunta da normali pratiche commerciali. L’onere di fornire una prova rigorosa e circostanziata ricade sull’Amministrazione Finanziaria. La Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso dell’Agenzia Fiscale in quanto mirava a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode Carosello e Onere della Prova: La Consapevolezza Va Dimostrata

L’accusa di partecipazione a una frode carosello rappresenta uno degli scenari più complessi e delicati nel diritto tributario. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per negare il diritto alla detrazione dell’IVA a un acquirente, non è sufficiente che l’operazione faccia parte di un disegno fraudolento, ma è necessario che l’Amministrazione Finanziaria dimostri, con prove concrete, che l’imprenditore fosse consapevole della frode o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza. Analizziamo i dettagli di questa importante ordinanza.

Il Caso: Un Imprenditore e l’Accusa di Evasione IVA

La vicenda ha origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia Fiscale nei confronti di un’impresa individuale operante nel settore del commercio. L’Amministrazione contestava all’imprenditore l’indebita detrazione dell’IVA relativa all’anno 2011 per acquisti di beni informatici da tre società fornitrici. Secondo la tesi del Fisco, queste società erano delle mere ‘cartiere’ (missing traders), inserite in un meccanismo di frode carosello finalizzato a evadere l’IVA.

Inizialmente, la Commissione Tributaria Provinciale aveva dato ragione all’Agenzia. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva ribaltato la decisione, accogliendo l’appello del contribuente e annullando l’accertamento. Secondo la CTR, non vi erano elementi sufficienti a provare la consapevolezza dell’imprenditore riguardo alla natura fraudolenta delle operazioni. L’Agenzia Fiscale, non soddisfatta, ha quindi presentato ricorso in Cassazione, mentre il contribuente ha risposto con un ricorso incidentale contestando la compensazione delle spese legali decisa dalla CTR.

La Prova nella Frode Carosello: La Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato sia il ricorso principale dell’Amministrazione Finanziaria sia quello incidentale del contribuente, confermando di fatto la decisione favorevole all’imprenditore.

I giudici di legittimità hanno dichiarato inammissibile il ricorso dell’Agenzia, sottolineando come le censure mosse non riguardassero un errore di diritto, ma mirassero a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti e delle prove. Tale attività è preclusa alla Corte di Cassazione, il cui compito non è riesaminare il merito della controversia, ma verificare la corretta applicazione delle norme di legge.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto che la motivazione della CTR fosse logica e completa. I giudici regionali avevano attentamente esaminato gli indizi portati dall’Agenzia Fiscale, giungendo alla conclusione che non fossero sufficienti a dimostrare la colpevolezza del contribuente. In particolare, la CTR aveva stabilito che:

1. Le Pratiche Commerciali: La trasmissione degli ordini via email e il pagamento effettuato solo dopo la ricezione della merce erano state considerate pratiche conformi alla normale operatività di un’impresa di commercializzazione, che agisce spesso come intermediario tra fornitore e cliente finale.
2. Il Prezzo dei Beni: Non era emerso che i prezzi di acquisto fossero talmente vantaggiosi da dover insospettire un operatore diligente. Il basso margine di profitto dell’impresa era giustificato dalla natura dell’attività, che minimizzava i rischi pagando la merce solo dopo averla ricevuta.
3. L’Onere della Prova: Spetta all’Amministrazione Finanziaria fornire la prova della partecipazione, consapevole o colposa, del contribuente alla frode carosello. La semplice esistenza di un meccanismo fraudolento a monte non è sufficiente per trasferire automaticamente la responsabilità sull’acquirente finale.

Per quanto riguarda il ricorso incidentale del contribuente sulla compensazione delle spese, la Corte lo ha ritenuto infondato. La decisione della CTR di compensare le spese era stata adeguatamente motivata sulla base della “peculiarità della controversia” e della “complessità fattuale e degli aspetti controvertibili”, ragioni ritenute valide e sufficienti ai sensi della normativa processuale tributaria.

Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio cardine in materia di contenzioso tributario legato alle frodi IVA: la responsabilità non è oggettiva. L’imprenditore che agisce in buona fede è tutelato e l’onere di provare la sua malafede o grave negligenza spetta interamente all’Amministrazione Finanziaria. Gli indizi devono essere gravi, precisi e concordanti, e non possono basarsi su quelle che sono normali prassi operative nel settore di riferimento. Per le imprese, ciò significa che, pur mantenendo un adeguato livello di diligenza nelle relazioni commerciali, non sono tenute a svolgere complesse indagini investigative sui propri fornitori, a meno che non emergano palesi e inequivocabili segnali di allarme.

In una frode carosello, è sufficiente per l’Amministrazione Finanziaria dimostrare l’esistenza della frode per negare la detrazione IVA all’acquirente finale?
No, non è sufficiente. L’Amministrazione Finanziaria deve anche provare che l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando la normale diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’IVA. L’onere della prova della consapevolezza ricade sul Fisco.

Quali elementi possono essere considerati indizi della partecipazione a una frode carosello?
Elementi come prezzi di acquisto anormalmente bassi, modalità di pagamento irregolari o l’assenza di una struttura operativa del fornitore possono essere considerati indizi. Tuttavia, come chiarisce l’ordinanza, pratiche commerciali comuni come l’invio di ordini via email o il pagamento dopo la consegna della merce non costituiscono, di per sé, prova di consapevolezza.

Il giudice può decidere di compensare le spese di giudizio anche se una parte vince la causa?
Sì, ma solo in presenza di ‘gravi ed eccezionali ragioni’ che devono essere espressamente motivate nella sentenza. In questo caso, la Corte ha ritenuto legittima la motivazione basata sulla ‘peculiarità della controversia’ e sulla sua ‘complessità fattuale’, confermando la decisione di compensare le spese tra le parti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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