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Frode Carosello: onere della prova e sanzioni

Una società è stata accusata di aver partecipato a una frode carosello per operazioni soggettivamente inesistenti. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda, confermando la decisione dei giudici di merito. L’ordinanza chiarisce che spetta all’Amministrazione Finanziaria provare, anche tramite presunzioni, la consapevolezza del contribuente di partecipare alla frode. Una volta fornita tale prova, l’onere si inverte e il contribuente deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza. La Corte ha inoltre ritenuto legittima l’applicazione delle sanzioni massime a causa della reiterazione del comportamento illecito per diversi anni.

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Pubblicato il 22 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode Carosello e Onere della Prova: La Cassazione Chiarisce i Doveri dell’Imprenditore

Introduzione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare luce su un tema cruciale per le imprese: la Frode Carosello e la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente. Il caso riguarda una società a cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato l’indebita detrazione dell’IVA per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, ossia acquisti da società ‘cartiere’. La Suprema Corte, rigettando il ricorso dell’azienda, ha ribadito i principi fondamentali che governano la materia, sottolineando l’importanza della diligenza che ogni imprenditore accorto deve adottare per non essere coinvolto in meccanismi fraudolenti.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da avvisi di accertamento con cui l’Amministrazione Finanziaria recuperava l’IVA relativa agli anni d’imposta 2013 e 2014, contestando alla società contribuente di aver acquistato merci da fornitori fittizi. Secondo il Fisco, tali fornitori erano mere ‘cartiere’, prive di una reale struttura organizzativa, create al solo scopo di emettere fatture false per permettere a terzi di evadere l’imposta.
La Commissione Tributaria Regionale aveva già respinto l’appello della società, confermando la decisione di primo grado. I giudici di merito avevano ritenuto che l’Ufficio avesse fornito elementi sufficienti a dimostrare la consapevolezza o, quantomeno, la conoscibilità della frode da parte dell’acquirente. Tra gli indizi figuravano il prezzo di acquisto inferiore a quello di mercato e il fatto che i fornitori fossero privi di qualsiasi organizzazione aziendale. Di fronte a questi elementi, la società non era riuscita a fornire spiegazioni convincenti o a dimostrare di aver adottato le necessarie cautele.

La Decisione della Cassazione sulla Frode Carosello

La società ha quindi proposto ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. La violazione delle norme sull’onere della prova in materia di Frode Carosello, sostenendo che i giudici di merito avessero erroneamente addossato all’azienda l’onere di ‘discolparsi’ senza che l’Agenzia avesse prima fornito una prova piena e oggettiva della sua consapevolezza.
2. L’illegittima applicazione delle sanzioni in misura superiore al minimo edittale, ritenendo la motivazione della CTR incongrua e insufficiente.

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i motivi inammissibili e infondati, rigettando integralmente il ricorso e confermando la validità degli atti impositivi e delle sanzioni.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha colto l’occasione per riepilogare in modo chiaro e dettagliato i principi che regolano la materia delle operazioni soggettivamente inesistenti.

Sul primo punto, relativo all’onere della prova, i giudici hanno ribadito che spetta all’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione IVA. Tale prova, tuttavia, può essere fornita anche in via presuntiva, attraverso elementi oggettivi e specifici (i cosiddetti ‘indizi’) che facciano sorgere il sospetto di un’irregolarità. Nel caso di specie, elementi come la natura di ‘cartiera’ dei fornitori e i prezzi anomali erano stati correttamente valutati come sufficienti a fondare la presunzione di conoscenza della frode.

Una volta che l’Ufficio ha assolto a questo onere, la palla passa al contribuente. A quest’ultimo spetta la ‘prova contraria’, che non consiste nel dimostrare la mera regolarità formale delle scritture contabili o l’effettivo pagamento delle fatture. Piuttosto, l’imprenditore deve dimostrare di aver agito in buona fede e di aver adoperato la ‘massima diligenza esigibile da un operatore accorto’. Ciò significa aver assunto tutte le opportune informazioni sul fornitore per verificarne l’effettiva esistenza e operatività, soprattutto in presenza di indici di anomalia.

Sul secondo motivo, concernente le sanzioni, la Corte ha ritenuto la censura inammissibile. I giudici hanno affermato che la motivazione della CTR, seppur sintetica, era sufficiente. La decisione di applicare le sanzioni massime era stata giustificata dalla ‘reiterazione’ della condotta illecita: la società aveva utilizzato fatture da fornitori inesistenti per un lungo periodo, dal 2006 al 2014. Questa continuità nel comportamento fraudolento, secondo la Corte, costituisce un valido motivo per applicare una sanzione più severa, in quanto indice di una maggiore gravità della violazione.

Conclusioni

L’ordinanza in commento rappresenta un’importante conferma dei doveri di diligenza e cautela che gravano sugli operatori economici. La lotta alla Frode Carosello impone alle imprese di non limitarsi a un controllo formale dei propri partner commerciali. È necessario un approccio proattivo, volto a verificare la sostanza e l’affidabilità dei fornitori, specialmente quando le condizioni commerciali appaiono insolitamente vantaggiose. La sentenza chiarisce che la buona fede non si presume, ma va provata con fatti concreti che dimostrino l’adozione di tutte le precauzioni ragionevolmente esigibili per evitare di essere coinvolti, anche inconsapevolmente, in schemi di evasione fiscale.

Chi deve provare la consapevolezza del cessionario in una frode carosello?
L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare, anche tramite presunzioni basate su elementi oggettivi e specifici, che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione faceva parte di una frode all’IVA.

Cosa deve fare il contribuente per dimostrare la sua buona fede?
Il contribuente deve fornire la prova contraria, dimostrando di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto. Non è sufficiente provare la regolarità formale delle scritture o l’avvenuto pagamento, ma occorre dimostrare di aver adottato le opportune misure per verificare l’effettiva esistenza e affidabilità del fornitore.

Perché è stata applicata la sanzione nella misura massima?
La Corte ha ritenuto legittima l’applicazione della sanzione massima perché la condotta illecita (l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti) era stata reiterata per un lungo periodo di tempo, dal 2006 al 2014. Questa continuità è stata considerata un indice della gravità della violazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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