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Frode carosello: onere della prova e diligenza

Una società operante nel settore metallurgico è stata accusata di aver partecipato a una frode carosello IVA. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda, confermando l’accertamento fiscale. La sentenza ribadisce il principio sull’onere della prova: spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare l’esistenza della frode e la consapevolezza (anche presunta) del contribuente. A quel punto, l’onere si sposta sull’azienda, che deve provare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolta, prova che in questo caso è mancata.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode Carosello: Come la Cassazione Definisce l’Onere della Prova

In un contesto economico sempre più complesso, le imprese sono esposte a rischi fiscali significativi, tra cui il coinvolgimento, anche inconsapevole, in una frode carosello. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 6169/2024) fa luce su un aspetto cruciale di queste vicende: la ripartizione dell’onere della prova tra l’Amministrazione Finanziaria e il contribuente. La decisione sottolinea l’importanza della diligenza dell’imprenditore nel verificare i propri partner commerciali per evitare pesanti conseguenze fiscali.

I Fatti: Un’Azienda nel Vortice di una Frode Fiscale

Il caso riguarda una società del settore metallurgico che si è vista recapitare un avviso di accertamento per IRAP e IVA relativo all’anno d’imposta 2006. Secondo l’Agenzia delle Entrate, l’azienda era coinvolta in una frode carosello come parte interponente in operazioni soggettivamente inesistenti. In pratica, l’accusa era di aver acquistato merci da società interposte (definite ‘missing traders’), che erano in realtà delle mere ‘cartiere’ prive di struttura, create al solo scopo di evadere l’IVA. Queste società, riconducibili a un unico intermediario, fatturavano le vendite ma omettevano sistematicamente il versamento dell’imposta all’erario.

La società si è difesa sostenendo di essere vittima e non partecipe della frode, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale hanno dato ragione al Fisco, ritenendo provata non solo l’esistenza del meccanismo fraudolento, ma anche la piena partecipazione dell’azienda.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dalla società, confermando in via definitiva la validità dell’accertamento fiscale. I giudici hanno respinto tutti i motivi di ricorso, che vertevano su presunte violazioni delle norme sull’onere della prova, errori procedurali e vizi di motivazione della sentenza d’appello.

Le Motivazioni: Analisi dell’Onere della Prova nella Frode Carosello

Il cuore della decisione risiede nella chiara definizione dei principi che regolano l’onere della prova in materia di frode carosello. La Corte ha ribadito un orientamento ormai consolidato, sia a livello nazionale che europeo:

1. Onere dell’Amministrazione Finanziaria: Inizialmente, spetta all’Amministrazione Finanziaria provare, anche tramite presunzioni, due elementi fondamentali: l’oggettiva fittizietà del fornitore (ad esempio, dimostrando che si tratta di una società ‘cartiera’ senza struttura) e la consapevolezza del destinatario della fattura che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta. Questa consapevolezza non deve essere necessariamente una certezza, ma può consistere anche nell’aver ignorato, per negligenza, indizi evidenti.

2. Onere del Contribuente: Una volta che l’Amministrazione ha fornito questi elementi, la palla passa al contribuente. A quest’ultimo spetta l’onere di fornire la ‘prova contraria’, ovvero dimostrare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto nella frode. Non è sufficiente, a tal fine, esibire una contabilità formalmente regolare o la prova dei pagamenti.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la Commissione Tributaria Regionale avesse correttamente applicato questi principi. Era stata accertata l’esistenza del meccanismo fraudolento, il ruolo delle società interposte come evasori totali e la piena partecipazione della società contribuente, la quale, dal canto suo, non aveva fornito argomentazioni convincenti sulla diligenza adottata per verificare i propri fornitori.

La Diligenza dell’Imprenditore come Prova Contraria

La sentenza evidenzia che di fronte a elementi anomali (come l’interposizione di società sconosciute, prezzi non in linea col mercato o altre stranezze commerciali), l’imprenditore non può rimanere passivo. È tenuto a un dovere di verifica che va oltre il semplice controllo formale dei documenti. Avrebbe dovuto, ad esempio, reperire informazioni basilari sui propri fornitori, un’attività che nel caso di specie non è stata provata.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Imprese

La decisione della Cassazione rappresenta un monito importante per tutte le imprese. Per difendersi da accuse di coinvolgimento in una frode carosello, non basta dichiararsi in buona fede. È necessario poter dimostrare attivamente di aver adottato tutte le precauzioni ragionevoli per conoscere e verificare l’affidabilità dei propri partner commerciali. Questo include controlli sulla struttura aziendale dei fornitori, sulla loro regolarità fiscale e sulla coerenza delle operazioni commerciali. Ignorare segnali di allarme può essere interpretato dai giudici come un indice di consapevolezza o, quanto meno, di grave negligenza, con conseguenze fiscali devastanti.

In una frode carosello, chi deve provare cosa?
L’Amministrazione Finanziaria deve provare l’esistenza dello schema fraudolento e la consapevolezza, anche solo potenziale, del contribuente. Se ci riesce, spetta al contribuente dimostrare di aver adottato la massima diligenza per evitare di essere coinvolto.

Cosa deve fare un’azienda per dimostrare di non essere coinvolta in una frode carosello?
Deve provare di aver agito con la diligenza di un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità. Questo significa verificare i propri fornitori e non ignorare elementi anomali nelle transazioni. La sola regolarità formale della contabilità non è sufficiente.

È sufficiente che un’azienda non ottenga un vantaggio economico diretto per essere considerata estranea alla frode?
No. Secondo la giurisprudenza citata dalla Corte, la mancanza di un beneficio diretto dalla rivendita delle merci non è, di per sé, un elemento sufficiente per escludere il coinvolgimento e la consapevolezza della frode.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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