Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6169 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6169 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/03/2024
Oggetto: IRAP – IVA -Operazioni soggettivamente inesistenti
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20632/2015 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE IN FALLIMENTO, in persona del RAGIONE_SOCIALE rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa anche disgiuntamente dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. b.EMAIL), dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. EMAIL), dall’AVV_NOTAIO COGNOME (p.e.c. aEMAIL), ed elettivamente domiciliata presso lo RAGIONE_SOCIALE in Roma, INDIRIZZO;
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura RAGIONE_SOCIALE, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia -Romagna, n.167/13/2015 depositata il 27 gennaio 2015, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 25 gennaio 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell ‘Emilia Romagna è stato rigettato l’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Bologna n. 143/9/2013 avente ad oggetto l’ avviso di accertamento IRAP e IVA per l’ anno di imposta 2006, emesso nei confronti della contribuente, per operazioni soggettivamente inesistenti poste in essere con fornitori per far figurare operazioni di importazione come intracomunitaria.
In particolare, il controllo fiscale a carico della contribuente ha contestato il suo coinvolgimento all’interno della frode carosello quale interponente, a fronte di determinate società in funzione di missing trader riconducibili al sig. NOME COGNOME, la RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE La merce compravenduta non proveniva dalle società interposte, ma veniva prodotta una società italiana, la RAGIONE_SOCIALE, e il risultato delle frodi carosello era il mancato versamento dell’imposta armonizzata dovuta all’erario. 3. Il giudice di prime cure ha dismesso il ricorso introduttivo valu-
tando le risultanze processuali alla stregua del criterio di ripartizione
dell’onere della prova come determinato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
4. Il giudice d’appello ha confermato la decisione di primo grado, accertando che le società interposte, evasori totali, prive di qualsiasi struttura organizzativa, e con una situazione contabile gravata da ingenti passività ovvero non adempienti agli obblighi contabili. Il giudice ha concluso che l’Amministrazione ha fornito piena prova dell’esistenza della frode ed è stata ritenuta indubbia la partecipazione a tale meccanismo da parte della contribuente, mentre la contribuente non ha fornito argomentazioni convincenti circa la diligenza adottata in ordine alla propria attività commerciale e l’insussistenza di elementi anomali tali da richiedere quantomeno il reperimento di banali informazioni circa i propri fornitori (interposti).
Avverso la sentenza d’appello propone ricorso la contribuente, affidato a sei motivi, cui replica l ‘RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo la ricorrente – ai fini dell’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ. -lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., nonché violazione degli artt. 167 e ss. della Direttiva n. 2006/112 e dell’art. 19, d.P.R. 600/1973, per aver la CTR fatto malgoverno dei principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza interna e comunitaria in punto di onere della prova con riferimento all’elemento soggettivo della consapevolezza della frode fiscale sottesa alle contestate operazioni.
7. Il motivo è infondato. Va rammentato il principio di diritto secondo il quale in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza
in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. Sez. 5 – , Sentenza n. 9851 del 20/04/2018; conforme Sez. 5 – , Ordinanza n. 27555 del 30/10/2018).
7.1. Nel caso di specie la sentenza impugnata, previa l’individuazione del corretto riparto dell’onere della prova anche sulla scorta della giurisprudenza euronitaria, ha accertato l’esistenza del meccanismo frodatorio posto in essere dal COGNOME il quale, servendosi di società interposte, di fatto ha ceduto ingenti quantità di acciaio alla contribuente RAGIONE_SOCIALE. Il giudice ha inoltre stabilito che all’opera d ‘ intermediazione del COGNOME seguiva la fatturazione delle vendita da parte di società terze, evasori totali, prive di qualsiasi struttura idonea all’attività commerciale. Sulla base del compendio probatorio, la CTR ha concluso che l’Amministrazione finanziaria ha fornito piena prova non solo dell’esistenza della frode, ma anche della partecipazione a tale meccanismo da parte della contribuente. Tali accertamenti fattuali non sono ulteriormente revocabili in dubbio in sede di legittimità nei termini proposti.
8. Con il secondo motivo di ricorso, la società -ex art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ. -denuncia la nullità della sentenza per omessa in violazione dell’art.112 cod. proc. civ.. Secondo la contribuente, la sentenza non si sarebbe pronunciata sulla seguente domanda: « Dalla copiosa memoria depositata dalla Società in sede di verifica emerge chiaramente come la RAGIONE_SOCIALE, più che artefice debba essere ritenuta vittima della frode stessa. A corroborare tale conclusione, peraltro, vi è il fatto che né i verificatori, né la
DRE, sono mai riusciti a descrivere in modo compiuto, e tantomeno a provare, il vantaggio che dalla presunta partecipazione alla frode la Società avrebbe tratto. Giova, infatti, sin da subito evidenziare come nella fattispecie in esame i prezzi che venivano praticati alla RAGIONE_SOCIALE dai suoi fornitori nazionali, rectius società legate al sig. NOME COGNOME, erano pienamente in linea con quelli praticati da altri operatori del medesimo mercato e del tutto conformi all’andamento di mercato del nickel (…). In breve mancando la prova di una retrocessione alla RAGIONE_SOCIALE dell’IVA versata ai proprio fornitori, anche in via indiretta attraverso un minor prezzo di mercato dei prodotti acquistati, non si vede come possa desumersi una sua partecipazione alla frode, anche e soprattutto alla luce dell’ampia documentazione offerta dalla Società a dimostrazione della sua estraneità con la memoria del 21 aprile 2011. In carenza di tale prova, l’IVA detratta nel periodo di imposta considerato non può che ritenersi pienamente spettante, in quanto la RAGIONE_SOCIALE ha effettivamente versato il relativo importo ai suoi fornitori in via di rivalsa ».
8.1. Con il terzo motivo la ricorrente, in relazione all’art.360 primo comma n.5 cod. proc. civ., ripropone le doglianze di cui al motivo precedente, lamentando l’omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
8.2. Con il quinto motivo di ricorso, -ex art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ. -la società lamenta la nullità della sentenza, sempre per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe preso in esame e valutato le deduzioni relative all’impossibilità di trattare direttamente con la società olandese dovendo accettare l’intermediazione del signor COGNOME, elemento da cui scaturirebbe l’estraneità alla frode da quest’ultimo perpetrata.
I tre mezzi, connessi per concezione secondo una medesima logica, possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili.
9.1. Quanto al secondo motivo e al quinto motivo, il Collegio ribadisce che l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente una singola domanda o eccezione, ma piuttosto una circostanza di fatto, nel primo caso l’ assenza di alcun beneficio derivante dalla partecipazione alla frode e nel secondo caso l’assenza di alternative all’intermediazione del signor COGNOME, e ciò esclude su di un piano logico qualunque violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ai fini dell’art.112 cod. proc. civ..
9.2. Il terzo motivo è inammissibile per doppia conforme con riferimento al paradigma del prospettato vizio motivazionale. Infatti, l’abrogazione dell’art. 348-ter cod. proc. civ., già prevista dalla legge delega n.206/2021 attuata per quanto qui interessa dal d.lgs. n.149/2022, ha comportato il collocamento all’interno dell’art. 360 cod. proc. civ. di un terzo comma, con il connesso adeguamento dei richiami, il quale ripropone la disposizione dei commi quarto e quinto dell’articolo abrogato e prevede l’inammiss ibilità del ricorso per cassazione per il motivo previsto dal n. 5 dell’art. 360 citato, ossia per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Parte ricorrente non ha dimostrato che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello sono state tra loro diverse.
Con il quarto motivo di ricorso, ai fini dell’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ., la ricorrente richiede la declaratoria di nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 4 cod. proc. civ. e l’omessa ed apparente motivazione con riferimento al seguente capo della decisione: « Sul punto, deve rilevarsi che la contribuente non ha fornito argomentazioni convincenti circa la diligenza adottata in ordine alla propria attività commerciale e l’insussistenza di elementi
anomali tali da richiedere quantomeno il reperimento di banali informazioni circa i propri fornitori (interposti) ».
11. Il motivo è infondato. La Corte ricorda che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232).
Nella fattispecie in esame, il presunto vizio motivazionale lamentato dalla società ricorrente non è riscontrabile nel testo della sentenza, nella cui motivazione viene esattamente individuato il thema decidendum e sono precisamente e coerentemente esposte le argomentazioni in fatto e in diritto poste a fondamento della decisione.
12. Con la sesta censura, viene prospettato l’o messo esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., nella parte in cui la CTR ha affermato che « Non si può, pertanto, affermare che la contribuente abbia acquistato dalle società cartiere in assoluta buona fede e che non vi erano elementi per dubitare della genuinità dei fornitori. La contribuente, inoltre, ha sempre avallato l’esistenza dei rapporti – commerciali – con l’intermediario ma non ha fornito, oltre le ragioni di privacy commerciale, alcuna ragionevole spiegazione circa i motivi per cui avrebbe legittimamente comunque inconsapevolmente – acquistato da veri e propri sconosciuti dai quali, in definitiva si limitava soltanto a ricevere una fattura di vendita ».
13. Anche il sesto mezzo di impugnazione è inammissibile per doppia conforme, per le considerazioni già sopra svolte in dipendenza del terzo motivo.
14. Il ricorso è conclusivamente rigettato. Le spese di lite sono regolate come da dispositivo e seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 12.000,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso il 25.1.2024