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Frode carosello: onere della prova e diligenza

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società coinvolta in una frode carosello. La decisione conferma che, una volta forniti dall’Agenzia delle Entrate elementi oggettivi che indicano la frode e il coinvolgimento dell’impresa, spetta a quest’ultima dimostrare di aver agito con la massima diligenza per evitare di essere partecipe dello schema illecito. La Corte ha ritenuto inammissibili i motivi di ricorso basati sull’omesso esame di fatti, applicando il principio della “doppia conforme”, e ha confermato la legittimità della riscossione immediata dell’intero importo a causa del fondato pericolo per le casse dello Stato.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode Carosello e Onere della Prova: La Cassazione Conferma la Responsabilità dell’Imprenditore

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce i rigorosi principi che regolano la ripartizione dell’onere della prova in caso di frode carosello, sottolineando come la semplice dichiarazione di buona fede non sia sufficiente a sollevare un’impresa dalla responsabilità. Quando l’Amministrazione Finanziaria fornisce indizi gravi, precisi e concordanti sulla partecipazione, anche inconsapevole, a uno schema fraudolento, spetta al contribuente dimostrare di aver adottato la massima diligenza per verificare la legittimità delle operazioni. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa: una Società al Centro di una Rete Fraudolenta

Il caso riguarda una società a responsabilità limitata unipersonale a cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato il ruolo di ‘società buffer’ (o ‘cuscinetto’) nell’ambito di una complessa frode carosello. L’accusa era quella di aver indebitamente detratto un’ingente somma a titolo di IVA per l’anno 2011, derivante da operazioni soggettivamente inesistenti.

Le indagini della Guardia di Finanza avevano messo in luce diversi elementi sospetti:

* La società vendeva beni a imprese appena costituite, spesso già in liquidazione o prive di una reale struttura organizzativa.
* Le vendite avvenivano a un prezzo inferiore a quello di acquisto, un’anomalia economica difficilmente giustificabile.
* In molti casi, le fatture di vendita erano state emesse prima ancora delle corrispondenti fatture di acquisto, suggerendo che la società vendeva beni di cui non aveva ancora la proprietà.
* La merce non transitava fisicamente per i magazzini della società, ma veniva spostata direttamente da un operatore logistico al destinatario finale, con passaggi di proprietà puramente documentali (‘cartolari’).

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano respinto i ricorsi della società, ritenendo provata la sua partecipazione, o quantomeno la sua colpevole negligenza, nello schema fraudolento.

L’Analisi della Corte: la Prova nella Frode Carosello

La società ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basandolo su sei motivi. La Corte Suprema ha però rigettato integralmente l’appello, confermando le decisioni dei giudici di merito. Vediamo i punti salienti della sua analisi.

L’Inversione dell’Onere della Prova

Il cuore della controversia risiede nella ripartizione dell’onere della prova. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: inizialmente, spetta all’Amministrazione Finanziaria provare, anche tramite presunzioni, l’esistenza di uno schema fraudolento e fornire elementi oggettivi che suggeriscano che il contribuente fosse a conoscenza della frode o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza.

Una volta che l’Agenzia ha assolto a questo compito, l’onere si inverte: tocca al contribuente dimostrare il contrario. Non basta negare il coinvolgimento, ma è necessario provare di aver agito con la ‘massima diligenza esigibile da un operatore accorto’, adottando tutte le cautele necessarie per assicurarsi che l’operazione non facesse parte di un’evasione fiscale. Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che l’Agenzia avesse fornito prove sufficienti (prezzi anomali, cronologia illogica delle fatture, ecc.) e che la società, di contro, non avesse fornito riscontri adeguati a dimostrare la sua incolpevole ignoranza.

La ‘Doppia Conforme’ e l’Inammissibilità del Ricorso

Alcuni motivi di ricorso, con cui la società lamentava che i giudici di appello non avessero esaminato specifici fatti decisivi, sono stati dichiarati inammissibili. La Corte ha applicato l’articolo 348-ter del codice di procedura civile, che impedisce il ricorso in Cassazione per questo specifico vizio quando le sentenze di primo e secondo grado giungono alla stessa conclusione basandosi sulla medesima valutazione dei fatti (la cosiddetta ‘doppia conforme’).

Riscossione Straordinaria: Quando il Fisco Può Chiedere Tutto e Subito

Infine, la Corte ha respinto la doglianza relativa alla negazione del beneficio della riscossione frazionata. Ha ritenuto legittima l’iscrizione a ruolo straordinario dell’intero importo del debito tributario, giustificata dalla notevole entità del credito e dalla natura della violazione (una frode carosello), che costituiscono un ‘fondato pericolo per la riscossione’ per le casse dello Stato.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione, nel motivare la propria decisione, ha sottolineato come i giudici di merito abbiano correttamente applicato i principi giurisprudenziali in materia di onere probatorio nelle frodi IVA. L’insieme degli elementi indiziari raccolti dall’Agenzia delle Entrate (vendite sottocosto, fatturazione illogica, passaggi meramente cartolari) costituiva una base presuntiva solida, sufficiente a invertire l’onere della prova. Di fronte a tale quadro, le giustificazioni fornite dalla società sono state giudicate insufficienti a dimostrare quella massima diligenza che avrebbe potuto escludere la sua responsabilità. La decisione si fonda sulla necessità di tutelare l’erario da complesse operazioni fraudolente, ponendo a carico degli operatori economici un dovere di vigilanza attiva e non di mera buona fede passiva.

Conclusioni: Diligenza Massima come Unica Difesa

Questa ordinanza è un monito per tutti gli imprenditori: nelle operazioni commerciali, specialmente quelle che presentano anomalie, la buona fede deve essere dimostrata con fatti concreti. Di fronte a indizi di una frode carosello, l’unica difesa efficace è provare di aver fatto tutto il possibile per verificare la serietà e l’affidabilità dei partner commerciali. L’ordinaria diligenza non basta; la giurisprudenza richiede un livello di cautela superiore, proporzionato al rischio di essere coinvolti, anche inconsapevolmente, in schemi di evasione fiscale.

In una frode carosello, chi deve provare la consapevolezza del contribuente?
Inizialmente, l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di fornire elementi oggettivi e presuntivi che dimostrino lo schema fraudolento e facciano sorgere il dubbio che il contribuente sapesse o avrebbe dovuto sapere della frode. Una volta fornita questa prova, l’onere si sposta sul contribuente.

Cosa deve fare un’impresa per dimostrare la propria buona fede in operazioni a rischio frode?
Non è sufficiente affermare di essere in buona fede. L’impresa deve dimostrare attivamente di aver adoperato la ‘massima diligenza esigibile da un operatore accorto’, ovvero di aver preso tutte le precauzioni ragionevoli per verificare la legittimità dell’operazione e l’affidabilità dei partner commerciali, tenuto conto delle circostanze concrete.

Quando è inammissibile un ricorso in Cassazione per omesso esame di un fatto decisivo?
È inammissibile quando le sentenze di primo e secondo grado sono giunte alla medesima conclusione basandosi sulla stessa ricostruzione dei fatti. Questo principio, noto come ‘doppia conforme’, impedisce un terzo esame del merito della vicenda.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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