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Frode carosello: onere della prova e diligenza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 35097/2024, si è pronunciata su un caso di frode carosello, delineando i confini dell’onere della prova. L’Amministrazione finanziaria deve dimostrare, anche tramite presunzioni, che l’impresa sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode. Spetta poi all’impresa provare di aver agito con la massima diligenza. La Corte ha cassato la sentenza di merito solo per un vizio di motivazione relativo al calcolo degli interessi, confermando i principi sulla ripartizione probatoria.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode carosello e onere della prova: la Cassazione traccia la linea

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 35097 del 30 dicembre 2024, è intervenuta nuovamente sul tema della frode carosello, fornendo chiarimenti cruciali sulla ripartizione dell’onere della prova tra Amministrazione Finanziaria e contribuente. La decisione, pur accogliendo parzialmente il ricorso dell’impresa, ribadisce principi consolidati e di fondamentale importanza per chiunque operi in contesti commerciali, specialmente a livello intracomunitario. Vediamo nel dettaglio i fatti e le conclusioni dei giudici.

I Fatti del Contenzioso

Il caso nasce da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società per azioni (SPA) per gli anni d’imposta 2009 e 2010. L’accertamento scaturiva da indagini penali della Guardia di Finanza che avevano ipotizzato una complessa frode carosello.

Secondo l’accusa, la società aveva emesso fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, simulando cessioni intracomunitarie verso una società rumena. In realtà, i beni non avrebbero mai lasciato il territorio nazionale, ma sarebbero stati ceduti direttamente a un’altra società italiana. Questo meccanismo avrebbe consentito di evadere l’IVA.

Il percorso giudiziario è stato altalenante:
1. La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) ha inizialmente dato ragione alla società, ritenendo non provata la sua consapevolezza della frode.
2. La Commissione Tributaria Regionale (CTR), in sede di appello, ha ribaltato la decisione, accogliendo le tesi dell’Amministrazione Finanziaria.

La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su sei distinti motivi.

La ripartizione dell’onere probatorio nella frode carosello

Il cuore della decisione della Cassazione ruota attorno ai primi quattro motivi di ricorso, esaminati congiuntamente perché connessi alla violazione delle norme sulla prova (art. 2697 c.c.) e della direttiva IVA (2006/112/CE). La Corte li ha dichiarati inammissibili, cogliendo l’occasione per riaffermare la sua giurisprudenza consolidata in materia.

I giudici hanno chiarito che:

Onere dell’Amministrazione Finanziaria: Spetta all’ufficio fiscale fornire la prova che l’operazione commerciale è inesistente. Questa prova può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici, ovvero indizi gravi, precisi e concordanti che dimostrino l’oggettiva inesistenza dell’operazione o, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, la consapevolezza del contribuente di essere parte di un meccanismo fraudolento. L’Amministrazione deve quindi dimostrare, anche in via presuntiva, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere*, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta.

Onere del Contribuente: Una volta che l’Amministrazione ha fornito questi elementi, la palla passa al contribuente. Quest’ultimo ha l’onere di fornire la prova contraria. Non è sufficiente, a tal fine, dimostrare la regolarità formale delle scritture contabili o l’effettività dei pagamenti, poiché questi elementi sono spesso utilizzati proprio per mascherare l’operazione fittizia. Il contribuente deve invece dimostrare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto*, adottando tutte le cautele necessarie per non essere coinvolto nella frode.

L’irrilevanza della buona fede apparente

La Corte ha sottolineato come l’utilizzo volontario di documentazione fiscale non corrispondente alla realtà economica configuri una partecipazione a una frode carosello, impedendo al contribuente di invocare il principio della tutela del terzo in buona fede. La prova di aver agito diligentemente diventa quindi l’unico scudo difensivo efficace.

La Decisione della Corte di Cassazione

Analizzando i motivi specifici, la Corte ha:
Dichiarato inammissibili i motivi dal primo al quarto, in quanto tendevano a un riesame del merito dei fatti, non consentito in sede di legittimità.
Rigettato il quinto motivo, relativo alla presunta assenza di colpevolezza, ribadendo che spetta al contribuente dimostrare di essersi trovato in uno stato di ignoranza incolpevole e non superabile con l’ordinaria diligenza.
Accolto il sesto motivo, l’unico a superare il vaglio dei giudici. Questo motivo riguardava la motivazione con cui la CTR aveva giustificato l’applicazione degli interessi. La Cassazione ha ritenuto la motivazione “del tutto priva di giustificazione e solamente apparente”, in quanto si limitava a una affermazione generica senza un’analisi specifica.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di bilanciare la lotta all’evasione fiscale con la tutela dei contribuenti in buona fede. Il principio cardine è che l’onere della prova non può essere interpretato in modo rigido. L’Amministrazione Finanziaria può basarsi su un quadro indiziario solido per dimostrare l’esistenza di una frode carosello e il coinvolgimento del contribuente. A quel punto, non basta che il contribuente neghi; deve attivarsi per dimostrare di aver preso tutte le precauzioni ragionevoli per verificare l’affidabilità del proprio partner commerciale. Questa “diligenza massima” è il criterio che distingue l’operatore accorto da quello negligente o, peggio, complice.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza è stata cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, ma solo limitatamente alla questione degli interessi. Per tutto il resto, l’impianto accusatorio e i principi sull’onere della prova sono stati confermati. Questa ordinanza rappresenta un monito per tutte le imprese: la regolarità formale non è una garanzia contro le contestazioni di frode carosello. È indispensabile adottare procedure di controllo e verifica sui partner commerciali per poter dimostrare, in caso di contenzioso, di aver agito con la massima diligenza e di essere estranei a qualsiasi schema fraudolento.

In una frode carosello, chi deve provare cosa?
L’Amministrazione Finanziaria deve provare, anche tramite presunzioni basate su indizi gravi, precisi e concordanti, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza, di partecipare a un’evasione fiscale. Successivamente, spetta al contribuente dimostrare di aver adottato la massima diligenza per non essere coinvolto nella frode.

La regolarità formale delle fatture e dei pagamenti è sufficiente per dimostrare la buona fede in caso di accertamento per frode carosello?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la regolarità formale delle scritture contabili e l’effettività dei pagamenti non sono sufficienti a provare l’estraneità alla frode, poiché questi elementi vengono di regola utilizzati proprio per mascherare l’operazione fittizia.

Cosa deve fare un’impresa per dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolta in una frode carosello?
L’impresa deve dimostrare di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto. Ciò implica, secondo la giurisprudenza, l’adozione di cautele e verifiche sull’affidabilità dei partner commerciali, specialmente in presenza di indizi che possano far sospettare irregolarità o evasione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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