Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 35097 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 35097 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13806/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in Roma INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso Sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto n. 1764/2015 depositata il 24/11/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
A seguito di PVC emesso dalla Guardia di Finanza, in esito di indagini penali relative ad una frode carosello che aveva coinvolto diversi soggetti economici, l’Agenzia delle entrate di Vicenza emetteva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE avviso di accertamento per gli anni d’imposta 2009 e 2010, contestando
l’emissione di fatture soggettivamente inesistenti nei confronti della società di diritto rumeno RAGIONE_SOCIALE
Allegava l’Amministrazione finanziaria che la RAGIONE_SOCIALE aveva simulato cessioni intracomunitarie mai avvenute, in quanto i beni venivano ceduti effettivamente e direttamente alla società RAGIONE_SOCIALE, stabilita nel territorio nazionale.
Il ricorso proposto dalla società contribuente avanti alla CTP di Treviso veniva accolto, ritenendo i giudici di prossimità non dimostrata la conoscenza della frode da parte della Complast. L’appello dell’Agenzia veniva accolto, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla CTR del Veneto.
Avverso detta sentenza ricorre la società contribuente con sei motivi e resiste con controricorso l’Amministrazione finanziaria.
Il Pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta, chiedendo il rigetto del ricorso.
Infine, in prossimità dell’adunanza, la ricorrente ha depositato memoria difensiva ex art. 380.1bis c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la società contribuente lamenta la «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per avere la CTR del Veneto ritenuto sufficientemente provati gli assunti dell’Ufficio sulla base di semplici congetture e di circostanze non portate in giudizio e sconosciute alla contribuente, risultando in tal modo viziata o solo apparente la motivazione della sentenza.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la «Violazione o falsa applicazione della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune sul valore aggiunto, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c. – Nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4, c.p.c.», per non avere la CTR del Veneto applicato il principio
per cui l’onere di fornire la prova che l’operazione rappresentata dalla fattura non è stata mai posta in essere incombe all’Amministrazione Finanziaria la quale adduca la falsità del documento e per aver la CTR del Veneto fondato la sentenza su fatti non provati, mere dichiarazioni di terze non suffragate da riscontri né da contradittorio con la parte contribuente e pure contradittorie rispetto allo scopo di prova prefissosi dall’Ufficio, con il risultato per cui la motivazione è solo apparente e contraddittoria rispetto ai fatti dichiarati come accertati.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la stretta connessione, essendo entrambi intesi a denunciare la violazione della disciplina in materia di prova da parte della CTR, sono in parte inammissibili e, comunque, infondati.
3.1. La disamina operata dalla CTR esclude la fondatezza delle doglianze della ricorrente, le quali, ancorché proposte in termini di violazione di legge, si risolvono in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. U, 25/10/2013, n. 24148).
3.2. Infatti, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere (Cass., Sez. 2, 21/3/2022, n. 9055), come invece sostanzialmente preteso oggi dalla ricorrente.
3.3. Peraltro, anche la selezione, tra gli indizi offerti dall’Amministrazione a dimostrazione delle pretese fiscali, di quelli reputati rilevanti rientra a pieno titolo nel meccanismo di
operatività dell’art. 2729 cod. civ., il quale, nel prescrivere che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla “prudenza del giudice” (secondo una formula analoga a quella che si rinviene nell’art. 116 cod. proc. civ. a proposito della valutazione delle prove dirette), si articola nei due momenti valutativi della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, volta a scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e a conservare viceversa quelli che, presi singolarmente, rivestono i caratteri della precisione e gravità, e della successiva valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, oltreché dell’accertamento della loro idoneità alla prova presuntiva se considerati in combinazione tra loro (c.d. convergenza del molteplice), essendo erroneo l’operato del giudice di merito il quale, al cospetto di plurimi indizi, li prenda in esame e li valuti singolarmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga a dignità di prova (da ultimo Cass., Sez. 2, 21/3/2022, n. 9054; Cass. n. 9336/2023; v. anche Cass., Sez. 3, 09/03/2012 n. 3703).
3.4. Se questo è il presupposto della violazione o errata applicazione dell’art. 2729 cod. civ., la deduzione del vizio, come già sostenuto da questa Corte, non può che estrinsecarsi nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione dei motivi per i quali il ragionamento del giudice di merito sia irrispettoso dei paradigmi della gravità, precisione e concordanza, risolvendosi altrimenti la critica al ragionamento presuntivo svolto, che si sostanzi nell’enunciazione di una diversa modalità della sua ricostruzione, nel suggerimento di un diverso apprezzamento della quaestio facti che si pone al di là della fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., atteso che il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni
difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., Sez., 1, 2/8/2016, n. 16056), e che la valutazione del compendio probatorio è preclusa a questa Corte, essendo riservata al giudice di merito al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass., 13/01/2020, n. 331; Cass.,04/08/2017, n. 19547; Cass., 04/11/2013, n. 24679; Cass., 16/12/2011, n. 27197; Cass., 07/02/2004 n. 2357).
3.5. Inoltre, i motivi non si confrontano con l’orientamento di questa Suprema Corte per cui le intercettazioni telefoniche legittimamente assunte in sede penale e trasmesse all’amministrazione finanziaria sono materiale probatorio pieno ed efficace ai fini del processo e degli accertamenti tributari in genere (cfr. Cass. 22 dicembre 2014, n. 27196; Cass. 10 dicembre 2019, n. 32185). Né il giudice dell’appello ha, diversamente da quanto prospetta parte ricorrente, attribuito valenza di prova piena e diretta alle dichiarazioni del terzo ma le ha ritenute, del tutto correttamente, quali meri elementi indiziari, non in sé vincolanti per il giudice ma suscettibili di formarne, insieme ad altri elementi, ivi compresi i movimenti bancari ricostruiti nella motivazione della sentenza impugnata, il convincimento (in tema di utilizzabilità della dichiarazioni del terzo, v. da ultimo Cass. 17/11/2023 n. 32009).
4. In particolare, nel caso di specie, e con specifico riguardo alla distribuzione dell’onere della prova nella materia controversa, i motivi sono anche infondati, dovendosi richiamare il consolidato orientamento di questa Corte per cui «ai fini della identificazione
del soggetto onerato della prova, nella ipotesi di contestazione formulata dall’Ufficio in ordine alla inesistenza, o parziale inesistenza, delle operazioni commerciali fatturate, la giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato in tema di Iva (ma i principi valgono per tutte le imposte accertabili mediante la contestazione della veridicità delle fatturazioni) che qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibile, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili» (Cass., n. 19352 del 2018; n. 29002 del 2017; n. 428 del 2015; n. 17977 del 2013; Cass., Sez. 5, 16 giugno 2020, n. 11624). In altri termini, «una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia” (Cass. Sez. 5, n. 286828 del 18/10/2021, Rv. 662471-01; Sez. 5, n. 17619 del 05/07/2018, Rv. 649610-01).
4.1. Ponendo mente al richiamo operato dalla ricorrente alla Direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune sul valore aggiunto, si rileva inoltre che, da ultimo, Cass. 2 agosto 2024, n.
21907 ha ulteriormente ribadito che, ai fini della non imponibilità delle cessioni intracomunitarie di cui all’art. 41 del D.L. n. 331 del 1993, il contribuente ha l’onere di dimostrare l’effettivo coinvolgimento di tre soggetti diversi stabiliti o identificati in tre differenti paesi dell’UE, nonché l’identificazione chiara del destinatario finale nel paese di destinazione. La mancata regolarizzazione dei modelli INTRA contenenti dati inesatti comporta l’impossibilità di avvalersi del regime di non imponibilità. Va ulteriormente evidenziato che l’onere di provare l’esistenza dello scambio intracomunitario è a carico del contribuente, anche in ragione del principio generale secondo il quale l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è sempre a carico di chi detta deroga invoca (v. Cass. 6 febbraio 2023, n. 3565).
4.2. Quanto osservato si pone nel solco dell’orientamento di questa Corte secondo cui (v. Cass. 26/03/2021, n. 8583, in motiv.; Cass. 25/09/2023, in motiv.), «In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto.» (Cass., Sez. 5 – Ordinanza n. 15369 del 20/07/2020).
4.3. Nello stesso senso, si è detto che «In tema di detrazione dell’IVA correlata ad operazioni inesistenti, la prova che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione dei beni si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia (Corte giustizia 22 ottobre 2015, C-277/14), può essere fornita dall’Amministrazione anche mediante presunzioni – come espressamente prevede l’art. 54, comma 2, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 – valorizzando, nel quadro indiziario, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale adeguata alla predetta esecuzione, l’immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione.» (Cass., Sez. 5 -, Sentenza n. 5339 del 27/02/2020; conformi Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5873 del 28/02/2019; Cass., Sez. 5 -, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018; Cass., Sez. 5 -, Sentenza n. 9851 del 20/04/2018).
4.4. Nell’ambito del medesimo orientamento si è altresì argomentato che «Invero, per questa Corte, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’Amministrazione che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo ovvero in detrazione l’IVA pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquisto il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere (in tal senso anche Corte di Giustizia UE 22 ottobre 2015, causa C-277/14 PPUK; anche 15 luglio 2015, causa C-159/14 Koela -N; 15 luglio 2015, causa C123/14 Itales; 13 febbraio 2014 in causa C-18/13 RAGIONE_SOCIALE; 21 giugno 2012, in causa C-80/11 e C-142/11, COGNOME et David;), con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a
fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode. La dimostrazione può essere data anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, attraverso la prova che, al momento in cui ha stipulato il contratto, il contribuente è stato posto nella disponibilità di elementi sufficienti per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente il bene al concedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode (Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873).
4.5. Pertanto, in tema di Iva, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass., 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., 24 agosto 2018, n. 21104; Cass., 14 marzo 2018, n. 6291; Cass., 28 marzo 2018, n. 7613).» (Cass., 30 dicembre 2019, n. 34723, cit. in motivazione).
4.6. Ed ancora, a proposito delle modalità dell’onere imposto all’Amministrazione, è stato chiarito che «Quanto al “tipo” di prova, essa può ritenersi raggiunta se l’Amministrazione fornisce attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice e, dunque, non occorre la prova “certa” e incontrovertibile di ogni operazione e di ogni dettaglio di esse.» (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 21104 del 24/08/2018).
4.7. In ordine, poi, alla prova contraria offerta dal contribuente, è stato precisato che «Priva di rilievo è invece sia la prova sulla regolarità formale delle scritture e sull’effettività dei pagamenti, sia quella sull’inesistenza di un dimostrato vantaggio perché i prezzi di vendita erano conformi o superiori alla media di mercato, trattandosi le prime di circostanze già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perché riferita ad un dato di fatto esterno alla fattispecie tipica ed inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode (v. Cass. n. 20059 del 2014; Cass. n. 428 del 14/01/2015; Cass. n. 29002 del 05/12/2017; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14).» (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 21104 del 24/08/2018).
4.8. La possibilità che l’Amministrazione assolva all’onere della prova, in ordine alla circostanza che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione dei beni si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, anche mediante elementi indiziari, è stata dunque già affermata costantemente da questa Corte, anche in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia (cfr. i precedenti sinora citati, tra i quali in particolare Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 5339 del 27/02/2020, cit., in motivazione, al punto 14, con riferimento a Corte giustizia, 22 ottobre 2015, C-277/14; Cass., 30 dicembre 2019, n. 34723, cit., in motivazione, punto 3.2.; Cass., Sez. 5 – , Ordinanza n. 21104 del 24/08/2018, cit., in motivazione, al punto 3.2.; in generale, in ordine alla circostanza che l’art. 273 della direttiva CE
2006/112/CEE non esclude che l’imponibile Iva possa essere accertato ricorrendo a presunzioni semplici, dovendo gli Stati membri assicurare l’integrale riscossione del tributo armonizzato e l’efficacia della lotta contro l’evasione, cfr. Cass., 04/04/2019, n. 9453 e Cass. 02/04/2020, n. 7655, con riferimento a Corte giustizia, 05/10/2016, C.-576/15, NOME COGNOME; Corte giustizia, 20/03/2018, C.-524/15, NOME COGNOME Corte giustizia 21/11/2018, C.-648/16, NOME COGNOME).
4.9. Del resto, la stessa Corte giustizia, 22 ottobre 2015, C277/14, nei punti 51 e 52, considera che la determinazione delle misure che, in una fattispecie concreta, possono essere ragionevolmente imposte ad un soggetto passivo che intenda esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA per assicurarsi che le sue operazioni non si iscrivano in un’evasione commessa da un operatore a monte dipende, essenzialmente, dalle circostanze di detta fattispecie, e quindi non esclude a priori che lo stesso soggetto passivo possa vedersi obbligato, quando disponga di indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione, ad assumere informazioni sull’operatore presso il quale intende acquistare beni o servizi, al fine di sincerarsi della sua affidabilità. La stessa pronuncia pertanto (ferma restando l’imputazione all’Ufficio dell’onere di dimostrare «senza esigere dal soggetto passivo verifiche che non gli incombono, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta cessione si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto») considera che, in relazione alla specifica fattispecie concreta, non sia irrilevante la presenza di indizi che consentivano al contribuente di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione.
4.10. È stato poi, in particolare, rilevato che «In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione è tenuta a provare che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione IVA, senza che sia necessaria la prova
della partecipazione all’evasione (v. Corte Giust. COGNOME, C-285/11; Corte Giust, Ppuh, C- 277/14); detta prova può ritenersi raggiunta qualora l’Amministrazione fornisca attendibili indizi, idonei ad integrare una presunzione semplice, come prevede per l’IVA l’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 (v. Cass. n. 14237 del 2017; Cass. n. 20059 del 2014; Cass. n. 10414 del 2011; Corte Giust. Kittel, C-439/04; Corte Giust. COGNOME e David, C-80/11 e C142/11);» (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 15369 del 20/07/2020, in motivazione, pag. 8 s.).
4.11. Ed è stato quindi concluso che «In tema di IVA, la volontaria utilizzazione di documentazione fiscale non corrispondente alla realtà economica, configurando nei confronti del contribuente a partecipazione ad una frode fiscale, gli impedisce di avvalersi del principio della tutela del terzo di buona fede, così come delineato dalla giurisprudenza unionale (cfr. CGCE 6 luglio 2009, in cause riunite C-439/04 e C-440/04) e preclude, quindi, la detraibilità dell’imposta risultante dalle fatture.» (Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 17335 del 19/08/2020; sull’indetraibilità, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, cfr. altresì Cass., Sez. 5 -, Sentenza n. 15288 del 17/07/2020).
Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la «Violazione o falsa applicazione degli artt. 42 del D.P.R. n. 600/73 e 56 del D.P.R. n. 633/72 nonché dell’art. 7 della L. n. 212/00, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c.», per non aver la C.T.R. del Veneto dichiarato che sussiste per l’Ufficio l’obbligo di allegare tutti gli atti richiamati nell’Avviso e che non era sufficiente fare riferimento ad estratti di dichiarazioni di terzi prescindendo del tutto dal fornire indicazione delle circostanze tutte in cui quelle dichiarazioni erano state rese.
5.1. Il motivo è inammissibile per la sua genericità, non spiegando l’incidenza del vizio sugli esiti del contenzioso e si risolve, in ultima analisi, in una censura alla motivazione della sentenza, che
esorbita dai limiti segnati dal novello n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c.
5.2. Inoltre, la puntuale ricostruzione del processo operata dalla CTR evidenzia chiaramente in sentenza che la questione, posta nel ricorso introduttivo, è stata rigettata dai giudici di primo grado e, nel giudizio di appello introdotto dall’Amministrazione, è stata riproposta dal contribuente, che tuttavia non ha proposto appello incidentale e si è costituito tardivamente. Per tali ragioni la CTR del Veneto ha ritenuto le eccezioni di nullità dell’atto impositivo inammissibili, pronunciandosi solo ad abundantiam sul merito delle stesse, e comunque non sullo specifico tema della mancata allegazione documentale, con una ratio decidendi che non è stata affatto presa in considerazione dalla ricorrente, il che rende, anche per tale ragione, inammissibile il motivo di ricorso.
Con il quarto strumento di impugnazione, la ricorrente lamenta la «Violazione o falsa applicazione dell’art. 33 del D.P.R. n. 600/73, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c. – Nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4, c.p.c. – Nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1 n. 5, c.p.c. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti», non avendo la CTR del Veneto preso in alcuna considerazione l’eccezione della società contribuente in merito alla violazione delle disposizioni normative in tema di utilizzo di documentazione acquisita nel corso di indagini penali.
6.1. Il motivo è affetto da plurimi profili di inammissibilità.
6.2. In primo luogo, la società contribuente propone le proprie critiche mescolando profili di impugnazione diversi (nullità della sentenza, violazione di legge, vizio di motivazione), richiedendo in tal modo a questa Corte regolatrice di selezionare le sue critiche, qualificarle, e quindi valutarne la fondatezza, il che non è evidentemente consentito.
6.3. Il motivo è, inoltre, per altro profilo inammissibile, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874) e ciò anche a volere accogliere l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), alla condizione che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto.
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta la «Violazione o falsa applicazione dell’art. 5 del D.Lgs. n. 472/ 1997 nonché del combinato disposto degli artt. 7, 16 e 17 del D. Lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c.», per non avere la sentenza impugnata dichiarato che il soggetto che ha commesso una violazione non può essere punito se non è possibile muovere allo stesso alcun rimprovero per avere commesso la violazione, non potendosi prescindere dalla colpevolezza dell’agente.
7.1. Si richiama l’orientamento di questa Corte (v. di recente Cass. 28 giugno 2024, n. 17948) per cui, in tema di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, l’onere della prova dell’assenza di colpa grava sul contribuente, il quale deve dimostrare di essersi trovato in uno stato di ignoranza incolpevole non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza.
A tale riguardo si è osservato che, se da un lato non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, ma è richiesta anche la consapevolezza del contribuente, a cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente, dall’altro lato è, tuttavia, sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, presunta fino alla prova della sua assenza, che, come si è detto, deve essere offerta dal contribuente e che va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e non superabile con l’uso della normale diligenza (Cass. 30 gennaio 2020 n. 2139).
7.2. Comunque, nel caso di specie le sanzioni irrogate sono una diretta conseguenza dei fatti accertati, che evidenziano, come puntualmente motivato dai giudici di appello, la consapevolezza dei soggetti agenti per conto della società del sistema finalizzato all’evasione dell’Iva.
Con il sesto motivo di ricorso si lamenta la «Violazione o falsa applicazione dell’art. 6 del D.M. del 21.05.2009, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c. – Nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4, c.p.c.», per aver la C.T.R. del Veneto giustificato l’applicazione e l’ammontare degli interessi da parte dell’Ufficio in maniera illegittima ed erroneamente determinata, con una motivazione, oltretutto, del tutto priva di giustificazione e solamente apparente.
8.1. Il motivo, per quanto formulato con riguardo a differenti vizi di legittimità, si risolve in una censura di apparenza della motivazione in merito alla questione richiamata; pertanto, è ammissibile, ed è inoltre fondato.
8.2. La società ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza, ha dimostrato nel ricorso di aver tempestivamente
sollevato la questione dell’applicazione e dell’ammontare degli interessi nel primo grado e di averla riproposta in appello.
8.3. La Commissione provinciale sul punto non si è pronunciata, neppure implicitamente, avendo accolto il ricorso, nel merito, per insussistenza della pretesa erariale.
8.4. La censura, inoltre, non rientra tra i capi dei quali la CTR ha ritenuto inammissibile la riproposizione, offrendo una risposta apodittica e generica, laddove ha affermato che «Da ciò discende anche, come naturale conseguenza, l’irrogazione delle correlate sanzioni e l’addebito, da parte dell’erario degli interessi sia sulle somme evase che sulle sanzioni (dalla data del loro accertamento)».
In conclusione, accolto il sesto motivo di ricorso, dichiarati inammissibili i motivi dal primo al quarto, e rigettato il quinto, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nel rispetto dei principi sopra illustrati, nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso, dichiara inammissibili i motivi dal primo al quarto e rigetta il quinto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 28/11/2024.