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Frode carosello: onere della prova e diligenza

In un caso di presunta frode carosello, la Corte di Cassazione ha chiarito la ripartizione dell’onere della prova. Se l’Agenzia Fiscale dimostra, anche con presunzioni, che il fornitore è un soggetto fittizio (es. una società ‘cartiera’), spetta al contribuente provare di aver agito con la massima diligenza e di non essere stato a conoscenza della frode per poter detrarre l’IVA. La Corte ha cassato la decisione di merito che aveva posto l’intero onere probatorio a carico dell’amministrazione finanziaria, sottolineando l’importanza della diligenza professionale dell’acquirente.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode Carosello: l’Onere della Prova si Inverte per il Contribuente

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 34431/2024 offre un’importante chiarificazione su un tema cruciale del diritto tributario: la ripartizione dell’onere della prova in caso di frode carosello. Questa pronuncia stabilisce che, una volta che l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi presuntivi sull’inesistenza soggettiva del fornitore, spetta all’acquirente dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere a conoscenza della frode. Approfondiamo i dettagli di questa decisione.

I Fatti di Causa: dalla Verifica Fiscale al Ricorso in Cassazione

Una società operante nel settore plastico si è vista contestare la deducibilità di alcuni costi e la detrazione dell’IVA relativa all’anno d’imposta 2007. A seguito di una verifica fiscale, l’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che le operazioni fossero soggettivamente inesistenti, inserite cioè in un meccanismo di frode carosello.

Nei primi due gradi di giudizio, i giudici tributari avevano dato ragione alla società, valorizzando la sua buona fede e l’estraneità alla frode, elementi supportati anche da una sentenza di assoluzione in sede penale del legale rappresentante. Secondo i giudici di merito, l’onere di provare la partecipazione consapevole del contribuente alla frode gravava interamente sull’Ufficio. L’Agenzia delle Entrate, non condividendo questa interpretazione, ha presentato ricorso in Cassazione.

La Questione Giuridica: Chi Deve Provare Cosa?

Il cuore della controversia risiede nella corretta applicazione dell’articolo 2697 del codice civile, che disciplina l’onere della prova. L’Agenzia Fiscale sosteneva che i giudici di merito avessero errato nel richiederle la prova della ‘consapevole partecipazione’ dell’acquirente alla frode. Secondo la tesi erariale, una volta dimostrata l’assenza di una reale struttura imprenditoriale in capo al cedente (la cosiddetta ‘società cartiera’), l’onere di provare la propria buona fede e la genuinità dell’operazione dovrebbe spostarsi sul contribuente che ha detratto l’IVA.

Le Motivazioni della Suprema Corte: l’Onere della Prova nella Frode Carosello

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia Fiscale, cassando la sentenza impugnata e chiarendo i principi che regolano la materia.

L’Inversione dell’Onere della Prova: un Principio Consolidato

Richiamando la consolidata giurisprudenza nazionale ed europea, la Corte ha ribadito che il diritto alla detrazione dell’IVA, pur essendo un principio fondamentale, può essere negato se il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione fiscale.

Il percorso probatorio è stato così delineato:
1. L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare, anche tramite presunzioni semplici, l’esistenza di elementi oggettivi che caratterizzano la frode e l’assenza di una struttura operativa adeguata in capo al fornitore.
2. Il Contribuente, una volta che l’Ufficio ha fornito tale prova, ha l’onere di dimostrare il contrario. Non è sufficiente la mera regolarità formale della documentazione contabile. L’acquirente deve provare di aver agito con la ‘specifica diligenza professionale’ richiesta all’operatore economico, tenendo conto delle concrete modalità, del tempo e del luogo in cui si sono svolti i rapporti commerciali, per assicurarsi che l’operazione non fosse parte di uno schema fraudolento.

La Corte ha quindi censurato la sentenza di merito per aver invertito questo onere, richiedendo all’Ufficio una prova che non gli competeva.

L’Irrilevanza Relativa della Sentenza Penale

Un altro punto toccato dalla Corte riguarda il peso della sentenza penale di assoluzione. I giudici hanno chiarito che, data l’autonomia tra il giudizio penale e quello tributario, l’assoluzione in sede penale (in questo caso, peraltro, avvenuta in fase predibattimentale) non vincola automaticamente il giudice tributario. Quest’ultimo deve compiere una valutazione autonoma delle prove, che nel processo tributario possono includere presunzioni non sempre ammesse o sufficienti in ambito penale.

Le Conclusioni: Diligenza Professionale come Scudo contro le Frodi IVA

L’ordinanza in esame rafforza un principio fondamentale per tutti gli operatori economici: la diligenza non si ferma alla porta del proprio magazzino. Per tutelare il proprio diritto alla detrazione IVA, un’impresa deve adottare un approccio proattivo e prudente nella scelta dei propri partner commerciali. La mera apparenza di regolarità formale non è più uno scudo sufficiente. È necessario dimostrare di aver messo in atto tutte le cautele ragionevolmente esigibili per verificare l’affidabilità del fornitore e non essere, anche inconsapevolmente, l’anello di una catena fraudolenta. La sentenza rappresenta un monito per le imprese a rafforzare le proprie procedure di controllo interno e di ‘due diligence’ sui fornitori.

In una frode carosello, chi deve provare la buona fede dell’acquirente?
Inizialmente, l’Amministrazione Finanziaria deve fornire elementi, anche presuntivi, che indichino l’esistenza di una frode e la natura fittizia del fornitore. Una volta fornita questa prova, l’onere si sposta sul contribuente (acquirente), che deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza e di non essere stato a conoscenza, né di aver potuto conoscere, la frode.

La semplice regolarità delle fatture è sufficiente per dimostrare la buona fede in una frode carosello?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la mera regolarità della documentazione contabile non è sufficiente a provare la buona fede. Il contribuente deve dimostrare di aver adottato la specifica diligenza professionale richiesta a un operatore economico per accertarsi che la transazione non facesse parte di un’evasione fiscale.

Una sentenza di assoluzione in sede penale ha effetto automatico nel processo tributario?
No, non ha un effetto automatico. La Corte ha ribadito l’autonomia tra i due giudizi. Il giudice tributario deve effettuare una valutazione indipendente delle prove e può giungere a conclusioni diverse da quelle del giudice penale, basandosi anche su elementi presuntivi che potrebbero non essere sufficienti in sede penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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