Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33904 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33904 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 29826/2017 proposto da:
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce alla nomina di nuovo difensore e contestuale revoca del precedente mandato ad litem , dall’Avv.NOME COGNOME (Pec: EMAIL.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA n. 4317/17, depositata in data 12 maggio 2017, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso avente ad oggetto l’avviso di accertamento relativo alla illegittima detrazione Iva, per l’anno d’imposta 2011 , realizzata mediante l’acquisto dalla società RAGIONE_SOCIALE (società cartiera) di ingenti partite di telefoni cellulari provenienti da operatori economici esteri senza applicazione di Iva e la successiva rivendita di tali prodotti senza versamento dell’imposta do vuta sulle vendite.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno ritenuto che le argomentazioni rese dall’Ufficio non erano idonee a superare i profili, rilevati in maniera precisa e ben strutturata, di illegittimità dell’avviso impugnato, posto che non risultava fornita in maniera certa la prova, nemmeno per presunzioni, della connivenza dell’acquiren te nella frode del cessionario e che, di contro, la società aveva dedotto una serie di elementi idonei a consentire di ritenere non provata la condotta colpevole della società contribuente o la sua conoscenza dell’intento fraudolento delle operazioni contestate (minimi scostamenti di costo dei prodotti acquistati presso la RAGIONE_SOCIALE e quelli acquistati presso altri fornitori; effettivo versamento dell’Iva al fornitore RAGIONE_SOCIALE, mediante il saldo delle fatture con mezzi bancari; la mancata dimostrazione del concreto vantaggio economico della società ad operare in tal modo invece che acquisire i beni direttamente dal fornitore CEE e non dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE).
L ‘Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
La società RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo deduce, in relazione a ll’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, 2697 e 2727 cod. civ.. La sentenza impugnata era errata nella parte in cui non aveva valutato gli elementi presuntivi posti a base dell’accertamento, onerando l’Ufficio di un onere probatorio ulteriore e, nella parte in cui aveva ritenuto l’equivalenza tra esistenza delle fatt ure ed esistenza delle operazioni, considerando sufficiente la regolarità contabile e la stessa esistenza della fattura.
Il secondo motivo deduce, in relazione a ll’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. , l’omesso esame di fatti decisivi, ovvero che la frode era stata realizzata attraverso un numero ingente di vendite sotto costo di cellulari senza corresponsione di Iva da parte della RAGIONE_SOCIALE (società cartiera non dotata di dipendenti e di beni strumentali), con il vantaggio delle imprese acquirenti di pagare un prezzo più basso (con un abbattimento della base imponibile del 13,39%) e di potere vendere a prezzi più competitivi ; l’ insufficienza di strutture e di personale della società cartiera; l’incongruenza di un’attività da poco iniziata caratterizzata dall’acquisto di un numero ingente di cellulari e dalla rivendita degli stessi a prezzi di poco superiori a quello di acquisto e della conseguente antieconomicità; il vantaggio competitivo conseguito in tal modo sia dal venditore, che dagli acquirenti.
2.1 I motivi, che devono essere trattati unitariamente perché connessi, sono fondati.
2.2 In proposito, deve richiamarsi l’orientamento di questo Corte secondo cui « qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto » (cfr. Cass., 31 gennaio 2022, n. 2922; Cass., 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., 20 aprile 2018, n. 9851).
2.3 Dunque, questa Corte, partendo dalla premessa che ai fini della ripartizione dell’onere della prova, occorre considerare che il diniego del diritto di detrazione segna un’eccezione al principio di neutralità dell’Iva che tale diritto costituisce, ha affermato che incombe, in primo luogo, sull’Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione e che, una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, citata).
2.4 In particolare, questa Corte, nella sentenza n. 9851 del 2018, citata, ha precisato che:
-) la prova che deve essere fornita dall’Amministrazione in caso di operazioni soggettivamente inesistenti si incentra su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale: l’alterità soggettiva dell’imputazione delle operazioni, ovvero il soggetto formale non è quello reale; il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione Iva, non è, dunque, necessaria la prova della partecipazione all’evasione ma è sufficiente, e necessario, che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole;
-) la prova può ritenersi raggiunta se l’Amministrazione fornisce attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice e, dunque, non occorre la prova «certa» e incontrovertibile di ogni operazione e dettaglio, ovvero l’Amministrazione può assolvere al suo onere probatorio anche mediante presunzioni, come prevede per l’Iva l’art. 54, secondo comma, d.P.R. n. 633 del 1972 e, per le imposte dirette, l’art. 39, primo comma, lett. d, d.P.R. n. 600 del 1973) e mediante elementi indiziari;
-) è sufficiente che gli elementi forniti dall’Amministrazione si riferiscano anche solo ad alcune fatture o circostanze rilevanti per la qualificazione della società interposta come cartiera (quali ad es. la mancanza di sede, la mancanza di iscrizione, l’omesso versamento delle imposte) ovvero a singole indicazioni significativamente riferibili alla sfera di conoscenza o conoscibilità dell’imprenditore;
-) l’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario va dunque ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta all’Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in una evasione all’Iva e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare ed afferenti alla sua sfera di azione.
-) raggiunta tale prova, è onere del contribuente dimostrare, oltre all’effettività del suo interlocutore, la propria buona fede, ossia, « di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto -secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto », non permettendo una diversa conclusione neppure gli accertamenti eventualmente effettuati ed attesa l’inesigibilità di ulteriori e più approfondite verifiche;
-) l’onere probatorio incombente sul destinatario può essere articolato su una pluralità di livelli e può investire sia l’asserito carattere di anomalia degli elementi posti in evidenza dal Fisco, sia l’attività conoscitiva preventiva eventualmente posta in essere da cui emergeva, in ordine all’effettività ed operatività dell’impresa interposta, un esito tranquillizzante, mentre non potevano essere esperibili, né tantomeno esigibili, accertamenti più incisivi;
-) è, invece, priva di rilievo tanto la prova sulla regolarità formale delle scritture, quanto sulle evidenze contabili dei pagamenti quanto, infine, sull’inesistenza di un dimostrato vantaggio perché i prezzi di vendita erano conformi o superiori alla media di mercato, perché si tratta di circostanze, le prime, già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente (e relative a dati e documenti facilmente falsificabili), e, l’ultima, perché riferita ad un dato di fatto esterno alla fattispecie tipica ed inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode.
2.5 Ancor più specificamente, questa Corte ha evidenziato che « L’onere probatorio dell’amministrazione ben può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (è, cioè, una cartiera), costituendo ciò, di per sé, elemento idoneamente sintomatico
della mancanza di buona fede del cessionario, poiché l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente » e che « Esclusa, infatti, una connotazione aprioristica e generalizzante di idoneità probatoria sul piano soggettivo alla sola qualità oggettiva di cartiera del soggetto interposto (in ciò superando il rigore dei citati precedenti), non può peraltro escludersi che l’effettività, suffragata da obbiettivi riscontri, dell’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti possa rientrare nel novero degli elementi, afferenti alla sfera del destinatario, su cui assolvere l’onere probatorio dell’Amministrazione » (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, in motivazione).
2.6 In tema di evasione dell’IVA a mezzo di frodi carosello, anche quando l’ operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, l’onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente-cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta (Cass., 21 aprile 2017, n. 10120; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27629).
2.7 E’ utile, in ultimo, precisare che l ‘operazione soggettivamente inesistente si configura, invero, sia quando l’emittente della fattura non sia un soggetto passivo di imposta, sia quando la falsità delle fatture riguarda operazioni avvenute tra soggetti diversi da quelli che appaiano nella documentazione; segnatamente, nel caso in cui
l’Amministrazione ritenga che la fattura attenga ad operazioni solo soggettivamente inesistenti, e cioè che la fattura sia stata emessa da soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa rappresentata (e della quale il cessionario o il committente sia stato realmente destinatario), la detraibilità dell’IVA deve essere, in linea di principio, esclusa, venendo a mancare lo stesso principale presupposto della detrazione, costituito dall’effettuazione di un’operazione ai sensi dell’art. 19, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, presupposto da ritenersi carente anche nel caso in cui i termini soggettivi dell’operazione non coincidano con quelli della fatturazione (Cass., 13 novembre 2009, n. 23987 del 2009; Cass., 12 marzo 2007, n. 5719).
2.8 In tal caso, infatti, come evidenziato da questa Corte, « l’imposta viene versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta, in quanto le fatture sono emesse da un soggetto che non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, da ritenersi “inesistenti” (Cass., 30 ottobre 2013, n. 24426). In sostanza, in caso di emissione di fattura per operazioni inesistenti, l’IVA versata (come previsto dall’art. 21, comma 7, d.P.R. 6 n. 633 del 1972) alla non genuina controparte, va considerata (proprio per le finalità del complessivo sistema IVA) come “fuori conto”, e cioè “isolata” dalla massa di operazioni effettuate ed “estraniata” dal meccanismo di compensazione tra IVA “a valle” ed IVA “a monte” che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass.,13 marzo 2013, n. 6229)» (Cass., 20 luglio 2020, n. 15369).
2.9 Anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, di recente, in materia di governo delle prove allegate dalle parti in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, ha affermato che: « 26. Come ricordato in più occasioni dalla Corte, la lotta contro evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva 2006/112. A tale riguardo, la
Corte ha stabilito che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione e che, pertanto, spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio del diritto a detrazione se è dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo (v., in tal senso, sentenze del 6 luglio 2006, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, C439/04 e C440/04, EU:C:2006:446, punti 54 e 55, nonché dell’11 novembre 2021, Ferimet, C-281/20, EU:C:2021:910, punto 45 e giurisprudenza ivi citata). 27. Per quanto riguarda l’evasione, secondo una giurisprudenza costante il beneficio del diritto a detrazione deve essere negato non solamente quando un’evasione dell’IVA sia commessa dal soggetto passivo stesso, ma anche qualora si dimostri che il soggetto passivo, al quale sono stati ceduti i beni o prestati i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto di tali beni e servizi, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA (v., in tal senso, sentenze del 6 luglio 2006, Kittel e RAGIONE_SOCIALE, C-439/04 e C-440/04, EU:C:2006:446, punto 59; del 21 giugno 2012, COGNOME e COGNOME, C-80/11 e C-142/11, EU:C:2012:373, pun to 45, nonché dell’11 novembre 2021, Ferimet, C-281/20, EU:C:2021:910, punto 46). 28. La Corte ha altresì ripetutamente precisato, con riferimento a casi in cui le condizioni sostanziali del diritto a detrazione erano soddisfatte, che il beneficio del diritto a detrazione può essere negato al soggetto passivo soltanto qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che questi sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto dei beni e servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, lo stesso partecipava a un’operazione che si iscriveva in una siffatta evasione commessa dal fornitore o da altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena delle cessioni o prestazioni (sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C -281/20, EU:C:2021: 910, punto 48 e giurisprudenza ivi citata). 29. A tale riguardo, la Corte ha infatti stabilito che non è compatibile con il regime del diritto a detrazione previsto dalla direttiva 2006/112 sanzionare con il diniego di tale diritto un soggetto passivo che non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore, o che un’altra operazione nell’ambito della catena delle cessioni, anteriore o posteriore a quella realizzata da detto soggetto passivo, era vizi ata da evasione dell’IVA, posto che l’istituzione di un sistema di responsabilità oggettiva andrebbe al di là di quanto necessario per garantire i diritti dell’Erario (sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C -281/20, EU:C:2021:910, punto 49 e giurisprudenza ivi citata). 30. Inoltre, secondo una giurisprudenza costante della Corte, poiché il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, incombe alle autorità tributarie
dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una simile evasione. Spetta poi ai giudici nazionali verificare se le amministrazioni finanziarie interessate abbiano dimostrato l’esistenza di detti elementi oggettivi (sentenza dell’11 novembre 2021, COGNOME, C -281/20, EU:C:2021:910, punto 50 e giurisprudenza ivi citata). 31. Poiché il diritto dell’Unione non prevede norme relative alle modalità dell’assunzione delle prove in materia di evasione dell’IVA, tali elementi oggettivi devono essere stabiliti dall’autorità tributaria secondo le norme in materia di prova previste dal diritto nazionale. Tuttavia, tali norme non devono pregiudicare l’efficacia del diritto dell’Unione (sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C -281/20, EU:C:2021:910, punto 51 e giurisprudenza ivi citata). 32. Dalla giurisprudenza rammentata ai punti da 27 a 31 della presente sentenza deriva che il beneficio del diritto a detrazione può essere negato a tale soggetto passivo solo se, dopo aver proceduto ad una valutazione globale di tutti gli elementi e di tutte le circostanze di fatto del caso di specie, effettuata conformemente alle norme in materia di prova del diritto nazionale, è accertato che quest’ultimo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento di tale diritto rientrava in una siffatta evasione. Il beneficio del diritto a detrazione può essere negato solo qualora tali fatti siano stati sufficientemente dimostrati con mezzi che non siano supposizioni (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C-281/20, EU:C:2021:910, punto 52 e giurisprudenza ivi citata). 33. Se ne deve de durre che l’autorità tributaria che intende negare il beneficio del diritto a detrazione deve dimostrare in modo adeguato, conformemente alle norme in materia di prova previste dal diritto nazionale e senza pregiudicare l’efficacia del diritto dell’Unione, sia gli elementi oggettivi che provino l’esistenza dell’evasione stessa dell’IVA, sia quelli che dimostrino che il soggetto passivo ha commesso tale evasione o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento di tale diritto rientrava in detta evasione » (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 1 dicembre 2022, in C-512/21, paragrafi 26 -33).
2.10 Ciò posto, il giudice tributario di merito, investito della controversia avente ad oggetto l’atto impositivo, deve previamente valutare, con giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, la sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degli indizi motivanti l’atto medesimo, esaminandoli sia singolarmente sia
nel loro complesso, ed esponendo adeguatamente l’esito di tale giudizio nella motivazione della sentenza. Quando egli ritiene, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità (non necessariamente di certezza), che detti indizi sono sufficienti a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, con riguardo, nel caso delle frodi carosello, all’esistenza dell’organizzazione fraudolenta, alla partecipazione ad essa del contribuente o, quanto meno, alla consapevolezza da parte sua di avvantaggiarsi della frode con danno dell’erario, la domanda dell’amministrazione deve ritenersi provata; con la conseguenza che si sposta a carico del contribuente, secondo la regola generale ricavabile dall’art. 2727 cod. civ. e ss., e dall’art. 2697, comma secondo, cod. civ., l’onere di provare eventuali fatti a suo favore; la mancata deduzione di idonea prova contraria, fin dall’atto introduttivo del giudizio, o l’insuccesso di essa, comportano l’accoglimento della pretesa del fisco fondata su valide presunzioni. In tale contesto, le dichiarazioni rilasciate da terzi; le risultanze delle indagini condotte nei confronti di altre società; gli atti trasmessi dalla guardia di finanza, risultanti dall’attività di polizia giudiziaria, senza esclusione di altri atti, se contenuti negli atti (come il processo verbale di constatazione) allegati all’avviso di rettifica notificato o trascritti essenzialmente nella motivazione dello stesso, costituiscono parte integrante del materiale indiziario e probatorio, che il giudice tributario di merito è tenuto a valutare dandone adeguato conto nella motivazione della sentenza.
2.11 Tanto premesso, nella vicenda in esame, la Commissione tributaria regionale non ha fatto piena e corretta applicazione dei principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali. Ed invero, dalla lettura del ricorso per cassazione, che, sul punto, rispetta il principio di autosufficienza, in quanto in parte trascrive e in parte riporta il contenuto dell’avviso di accertamento in esame, oltre che del p.v.c. redatto nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, emerge
che l’Ufficio ha fondato il recupero delle imposte, relativamente alle operazioni soggettivamente inesistenti sulla scorta di elementi presuntivi gravi precisi concordanti, riportati integralmente alle pagine 1-6 del ricorso per cassazione: 1) la società RAGIONE_SOCIALE era una società cartiera non dotata di dipendenti e di beni strumentali; 2) la società RAGIONE_SOCIALE aveva fatto rilevanti acquisti di materiale di telefonia (telefoni cellulari) per euro 580.404,74 nell’anno 2010 e per euro 194.802,07 nell’anno 2011 dalla società RAGIONE_SOCIALE ma in realtà ceduti da operatori economici stranieri; 3) le vendite erano state effettuate sottocosto con un abbattimento del 13,39%; 4) erano stati commercializzati volumi molto elevati di telefonini (acquistati prevalentemente dalla Romania) nonostante il breve periodo di attività; 5) era stato omesso dall’1 aprile 2009 al 20 settembre 2011 qualsiasi versamento dell’imposta sul valore aggiunto; 6) il vantaggio economico derivante alla società RAGIONE_SOCIALE di avere acquistato prodotti ad un prezzo inferiore a quelli di mercato. Si tratta di elementi tipici (che danno luogo ad una presunzione di svolgimento di operazioni soggettivamente inesistenti) che comportavano l’inversione dell’onere della prova a carico della società contribuente, nel senso che quest’ultima avrebbe dovuto dimostrare che «non avrebbe potuto sapere» pur avendo utilizzato la massima diligenza esigibile: questi elementi, invece, sono stati (illegittimamente) trascutati dalla Commissione tributaria regionale, con il conseguente errore di diritto, correttamente censurato dall’Agenzia ricorrente. Nella specie, la Commissione tributaria regionale ha affermato che le argomentazioni dell’Ufficio, tese ad affermare l’assunto che la società RAGIONE_SOCIALE fosse a conoscenza della funzione di cartiera della società RAGIONE_SOCIALE e che fra di esse esistesse un accordo finalizzato alla emissione e alla ricezione di fatture soggettivamente false, non erano giuridicamente rilevanti
per sorreggere l’accertamento e che non vi era alcuna prova che le operazioni intercorse tra le suddette società fossero soggettivamente inesistenti nel senso che la società RAGIONE_SOCIALE fosse o non potesse non essere a conoscenza che la RAGIONE_SOCIALE svolgesse attività di cartiera, onde non sussisteva il presupposto per invocare l’inversione dell’onere della prova a carico della società RAGIONE_SOCIALE, né potevano valere i rilievi dell’Ufficio, per quanto sopra rilevato, che attenevano alla società RAGIONE_SOCIALE, con riferimento alla presunta inesistenza di mezzi di organizzazione, autorizzazioni e quant’altro utile all’esercizio della specifica attività . Per contro, la sentenza ha valorizzato elementi privi di rilievo, quali i minimi scostamenti di costo dei prodotti acquistati presso la RAGIONE_SOCIALE, l’effettivo versamento dell’Iva al fornitore RAGIONE_SOCIALE mediante il saldo dell e fatture con mezzi bancari; la mancanza di vantaggio economico in capo alla società RAGIONE_SOCIALE dimenticando che è l’indebita detrazione il maggior guadagno che consegue a tali operazioni. È certo, e salvo la pretesa di un maggior rigore probatorio a seconda del livello di complessità dell’organizzazione della frode, in base al riscontro di una catena più corta o più lunga rappresentativa del numero di società partecipanti all’illecito, che l’accertamento giudiziale del concreto atteggiarsi delle varie fattispecie è generalmente affidato all’allegazione di prove indiziarie, che i l giudice è tenuto a vagliare secondo i principi posti a presidio del governo delle prove presuntive (Cass., 12 luglio 2023, n. 19981) e che il procedimento logicovalutativo seguito dalla Commissione tributaria regionale non è coerente con i criteri di ripartizione dell’onere probatorio come regolato dall’art. 2697 cod. civ. e con le regole di governo delle prove presuntive, poste dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., nei limiti in cui questa Corte, nell’esercizio della funzione nomofilattica, può controlla re tale processo (Cass., 15 novembre 2021, n. 34248; Cass., 13 febbraio 2020, n. 3541).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa deve essere rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 4 dicembre 2024.