Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22297 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22297 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17963/2024 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato DI NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO LAZIO n. 2840/2024 depositata il 29/04/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/06/2025 dal Consigliere COGNOME
Fatti di causa
La RAGIONE_SOCIALE impugnava un avviso di accertamento ai fini Iva 2016, notificatole il 20.12.2019, dell’importo di euro 9.101.273,60, basato su un p.v.c. della Guardia di Finanza del 4.12.2018 relativo al periodo 2014 -2017, con cui venivano contestate operazioni soggettivamente inesistenti. Nella prospettazione erariale la Società sottoposta ad accertamento, ed odierna appellante, avrebbe rivestito il ruolo di cd. ‘ buffer ‘ nell’ambito di una frode carosello perpetrata attraverso l’utilizzo di false fatture emesse da ‘missing trader’ nazionali, interposti al fine ultimo di evadere l’Iva. In particolare, venivano riscontrati in capo alla RAGIONE_SOCIALE l’aumento vertiginoso del volume d’affari, la mancanza di magazzini, l’irreperibilità della società presso la sede indicata, la presenza di cd. cartiere tra i suoi fornitori, la mancanza di una sede operativa e di personale nonché di attrezzature, l’omessa presentazione di dichiarazioni e l’antieconomicità delle vendite.
La società RAGIONE_SOCIALE impugnava l’atto impositivo. La CTP di Roma rigettava il ricorso. L’appello della contribuente veniva del pari respinto. Il ricorso per cassazione di RAGIONE_SOCIALE è affidato a quattro motivi. Resiste l’Agenzia con controricorso.
Ragioni della decisione
Co il primo motivo si contesta la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 c.p.c., in combinato disposto con l’art. art. 36 del D.Lgs. n. 546 del 1992. Motivazione apparente (in relazione all’art. 360, comma. 1, n. 4 c.p.c.).
Il primo motivo è infondato.
La Corte di secondo grado ha richiamato i principi esplicitati dalla giurisprudenza di legittimità in punto di operazioni soggettivamente inesistenti e li ha motivatamente calibrati sul caso di specie, in particolare osservando che ‘ nel pieno rispetto del principio di autosufficienza, l’Amministrazione finanziaria ha fornito molteplici e gravi elementi indiziari non solo concernenti la sostanziale inesistenza dei soggetti con i quali la società appellante ha intrattenuto rapporti commerciali (società cartiere riconducibili a soggetti coinvolti in frodi IVA), acquistando e rivendendo alle stesse la medesima, ma anche della consapevolezza della appellante della partecipazione alla frode. In ordine a tale ultimo presupposto va peraltro chiarito – come anche osservato dalla Agenzia appellata – che fatto impeditivo del diritto alla detrazione dell’IVA non è però soltanto la vera e propria consapevolezza dell’iscrizione dell’operazione, a fondamento del diritto a detrazione, in un’evasione a monte nella catena di prestazioni, ma anche il fatto che l’operatore, sulla base della diligenza esigibile dall’operatore accorto in relazione alle circostanze, avrebbe dovuto sapere dell’esistenza dell’evasione’.
In tal senso, nessuna motivazione apparente si individua, venendo in rilievo una sentenza che lascia cogliere in modo incisivo la propria ratio decidendi.
Con il secondo motivo si adombra la illegittimità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 2697 c.c. e più in generale delle regole giuridiche in tema di onere probatorio in materia di contestazioni aventi ad oggetto il diniego di detrazione dell’IVA relativa operazioni inesistenti (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.).
Il secondo motivo non coglie nel segno e va disatteso.
La CTR ha compiuto un accertamento di fatto, mettendo in risalto, nel proprio libero sindacato, gli elementi di prova che sono parsi ad essa più attendibili.
Come chiarito da questa Corte spetta unicamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante (Cass., 13 giugno 2014, n. 13485; Cass., 15 luglio 2009, n. 16499).
Giova anche evidenziare che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 n. 5 c.p.c.). (Cass. n. 13395 del 2018).
Sotto questo aspetto giova soggiungere che la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia riversato l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o
implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. n. 26769 del 2018).
Con il terzo motivo si lamenta l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. in combinato disposto con l’art. 54 del dpr 633/72 (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.).
Il terzo motivo non coglie nel segno e va disatteso.
Nel proprio apprezzamento di merito in giudice d’appello ha selezionato e valorizzato in un perimetro valutativo globale gli elementi indiziari e istruttori reputati conferenti rispetto alla definizione della causa.
Orbene, questa Corte ha chiarito che, in sede di legittimità è possibile censurare la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. solo allorché ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto controverso (Cass. n. 3541 del 2020).
In altri termini, la violazione delle norme sulle presunzioni è censurabile, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., solo ‘ se risulti che, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice si sia limitato a negare valore indiziario a singoli elementi acquisiti in giudizio, senza accertarne l’effettiva rilevanza in una valutazione di sintesi ‘ (Cass. n. 10973 del 2017).
Non è d’altronde previsto che la CTR sia tenuta rispondere punto su punto alle considerazioni e/o argomentazioni di parte ricorrente in
ordine alla maggiore affidabilità di un elemento probatorio in luogo di un altro. Una pretesa di tal fatta ambisce – al fondo – ad una rivisitazione preclusa del merito della controversia, invero preclusa in questa sede.
Con il quarto motivo si censura l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del DPR 633/72 e conseguente illegittimo diniego del diritto di detrazione IVA (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
Il quarto motivo è infondato.
La Corte di secondo grado ha fatto pedissequa applicazione dei principi espressi dalla nomofilachia, posto che ‘ In tema di detrazione dell’IVA, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi ‘ (Cass. n. 24471 del 2022). Inoltre, ‘ In tema d’IVA, è precluso al cessionario dei beni il diritto alla detrazione nel caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti anche solo sotto il profilo soggettivo, nonostante i beni siano entrati effettivamente nella disponibilità dell’impresa utilizzatrice, poiché l’indicazione mendace di uno dei
soggetti del rapporto determina l’evasione del tributo relativo alla diversa operazione effettivamente realizzata tra altri soggetti ‘ (Cass. n. 20060 del 2015; Cass. n. 15139 del 2020).
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8900,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 11/06/2025.