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Frode Carosello: onere della prova e consapevolezza

Una società operante nel settore automobilistico è stata accusata di aver partecipato a una frode carosello sull’IVA mediante l’interposizione di soggetti fittizi. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda, confermando l’avviso di accertamento. La Corte ha stabilito che l’Amministrazione finanziaria ha fornito prove sufficienti a dimostrare la frode e la consapevolezza della società, spostando correttamente su quest’ultima l’onere di provare la propria buona fede e la massima diligenza, prova che non è stata fornita.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode Carosello e Onere della Prova: La Cassazione definisce la consapevolezza del contribuente

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto tributario: la frode carosello e la ripartizione dell’onere della prova tra Amministrazione finanziaria e contribuente. La decisione chiarisce quali elementi sono necessari per dimostrare la consapevolezza dell’imprenditore di partecipare a un illecito fiscale e quali standard di diligenza sono richiesti per evitare di essere coinvolti.

I Fatti di Causa: una presunta frode carosello nel settore automobilistico

Il caso riguarda una società unipersonale operante nel commercio di autoveicoli, alla quale l’Agenzia delle Entrate aveva notificato un avviso di accertamento per l’IVA relativa all’anno 2014. L’accusa era grave: aver partecipato a una frode intracomunitaria attraverso l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti e la disapplicazione del regime del margine.
Secondo la ricostruzione dell’Ufficio, la società si sarebbe inserita in un meccanismo fraudolento, acquistando veicoli tramite l’interposizione di soggetti fittizi (le cosiddette ‘cartiere’), che le consentivano di evadere l’IVA.

Il Percorso Giudiziario e i Motivi del Ricorso

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione all’Agenzia delle Entrate, confermando la validità dell’accertamento. La Commissione Regionale, in particolare, aveva sottolineato che la regolarità formale delle operazioni era irrilevante di fronte alla comprovata esistenza di un’interposizione fittizia di terzi. Inoltre, le modalità operative della società (come l’acquisto di auto a prezzi eccessivamente concorrenziali tramite intermediari fittizi) dimostravano la sua piena conoscenza della frode in atto.
L’azienda ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. Motivazione apparente: la sentenza d’appello sarebbe stata viziata da una motivazione solo apparente, incapace di spiegare adeguatamente le ragioni della decisione sulla fittizietà dei fornitori.
2. Inversione dell’onere della prova: la Commissione Regionale avrebbe illegittimamente addossato alla società l’onere di dimostrare la non fittizietà dei fornitori e la propria inconsapevolezza dell’evasione.

La Decisione della Cassazione sulla frode carosello

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi di ricorso, confermando la sentenza impugnata.

Sulla Motivazione Apparente

I giudici hanno chiarito che una motivazione, per quanto essenziale, non è ‘apparente’ se è in grado di rendere palese la ratio decidendi, ovvero il percorso logico-giuridico seguito per arrivare alla decisione. Nel caso specifico, la Commissione Regionale aveva indicato chiaramente due punti chiave: a) gli acquisti erano avvenuti tramite l’interposizione di soggetti fittizi; b) le modalità operative della società inducevano a ritenerla consapevole della frode. Questo, per la Corte, costituiva una motivazione sufficiente e non meramente apparente.

Sull’Onere della Prova nella frode carosello

Questo è il punto centrale della pronuncia. La Corte ha ribadito il suo consolidato orientamento in materia di frode carosello. Spetta all’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare, anche tramite indizi, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario della fattura che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta.
Per ‘consapevolezza’ non si intende solo la conoscenza diretta, ma anche il ‘dover sapere’ con l’ordinaria diligenza. L’Ufficio deve dimostrare, sulla base di elementi oggettivi e specifici, che l’imprenditore disponeva di indizi tali da mettere in allarme qualsiasi operatore onesto e mediamente esperto.
Una volta che l’Amministrazione ha fornito questa prova, l’onere si sposta sul contribuente. Sarà lui a dover dimostrare di aver agito in assenza di consapevolezza e di aver adottato la massima diligenza possibile per non essere coinvolto nella frode. La mera regolarità contabile o dei pagamenti non è sufficiente a tal fine.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto che la Commissione Tributaria Regionale avesse correttamente applicato questi principi. L’Agenzia delle Entrate aveva fornito elementi concreti (come la mancanza di operatività effettiva dei soggetti interposti e le specifiche modalità di acquisto) che erano idonei a spostare l’onere probatorio sulla società. Quest’ultima, tuttavia, non era riuscita a fornire la prova contraria richiesta, ovvero di aver esercitato la massima diligenza per verificare l’affidabilità dei suoi partner commerciali. La valutazione dei giudici di merito su questo punto, essendo una valutazione di fatto basata sugli elementi acquisiti, non è sindacabile in sede di legittimità.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio di grande importanza pratica per tutte le imprese: la lotta all’evasione IVA, specialmente nelle complesse dinamiche della frode carosello, richiede un elevato standard di diligenza da parte degli operatori economici. Non è sufficiente fermarsi all’apparenza formale di una fattura. Un imprenditore accorto deve prestare attenzione a ‘campanelli d’allarme’ come prezzi anomali, modalità operative insolite o la scarsa consistenza economica dei partner commerciali. Ignorare tali indizi può costare caro, portando l’Amministrazione finanziaria a presumere una colpevole consapevolezza, con la conseguenza di dover poi faticosamente dimostrare in giudizio la propria totale estraneità e buona fede.

Chi deve provare la consapevolezza del contribuente in una frode carosello?
Inizialmente, spetta all’Amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare, anche con prove indiziarie, non solo la fittizietà del fornitore, ma anche che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione faceva parte di un’evasione fiscale.

Cosa deve fare il contribuente per difendersi dall’accusa di partecipazione a una frode carosello?
Una volta che l’Amministrazione finanziaria ha fornito elementi di prova, il contribuente deve fornire la prova contraria. Deve dimostrare di aver agito senza consapevolezza e di aver adoperato la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto, basandosi su criteri di ragionevolezza e proporzionalità rispetto alle circostanze.

Una motivazione breve in una sentenza è sempre considerata ‘apparente’ e quindi nulla?
No. Secondo la Corte, una motivazione, anche se sintetica, non è ‘apparente’ se permette di comprendere il ragionamento logico seguito dal giudice per formare il proprio convincimento. È nulla solo se le argomentazioni sono oggettivamente inidonee a far conoscere tale ragionamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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