Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22932 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22932 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/08/2025
Oggetto: Tributi
Operazioni soggettivamente
Inesistenti-
COGNOME–
Ripartizione onere della prova
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 12504 del ruolo generale dell’anno 2016, proposto
Da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo difensore, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che le rappresenta e difende;
-controricorrente – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 5843/02/2015, depositata in data 9.11.2015;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME di Nocera;
RILEVATO CHE
1. RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe con cui la Commissione tributaria regionale del Lazio aveva respinto l’appello proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 10007/25/2014 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma che, previa riunione, aveva rigettato i ricorsi proposti dalla suddetta società avverso avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio, a seguito di p.v.c. della Guardia di Finanza di Roma del 20.5.2010, aveva recuperato, per le annualità 2006-2008, costi indebitamente dedotti, ai fini Ires e Irap, e detratti, ai fini Iva, in relazione a fatture emesse da società italiane risultate c.d. cartiere, afferenti ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti. In particolare, dalle indagini era emerso in capo a RAGIONE_SOCIALE il ruolo di ‘ società filtro ‘ nell’ambito di una frode carosello nel commercio all’ingrosso di capi di abbigliamento di provenienza cinese, finalizzata alla creazione di fittizi crediti Iva utilizzati a compensazione di altre imposte dovute (secondo il meccanismo per cui una società residente a Malta fatturava merce nel settore abbigliamento a società italiane c.d. cartiere che la rivendevano a RAGIONE_SOCIALE; quest’ultima rivendeva la medesima merce a grossisti i quali la rifatturavano a società estere in esenzione di Iva, creando, in tal modo, fittizi crediti Iva di rilevante importo utilizzati a compensazione di altre imposte).
Resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate .
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. : 1) la violazione e falsa applicazione degli artt. 19,21, 26 del d.PR n. 600/73 ( rectius d.PR n. 633/72), 39, comma 2, 40 del d.PR n. 600/73 e 54 del d.PR n. 633/72, in combinato con gli artt. 2967 e 2729 c.c.; 2) la violazione e falsa applicazione degli artt. 168,178 e 203 della Direttiva Comunitaria 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, della VI Direttiva Iva, e dei principi affermati dalla Corte di Giustizia (sez. III, sentenza 31.01.2013, n. 642/11 in tema di detraibilità d ell’Iva); 3) la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, dello Statuto del contribuente, in combinato con l’art. 23 Cost. In particolare, ad avviso della ricorrente, la CTR avrebbe ritenuto assolto l’onere probatorio a carico dell’Amministrazione circa l’esistenza della frode carosello sulla base di elementi presuntivi privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza atteso che, sulla base delle ‘ mere asserzioni e allegazioni ‘ di cui al p.v.c. della G.d.F. del 20.5.2010, non poteva evincersi: 1) né il carattere di c.d. cartiera o societàfiltro in capo alla contribuente, essendo quest’ultima operante nel settore dell’abbigliamento da oltre quindici anni e presentando tutta la documentazione contabile formalmente in regola; 2) né il carattere di c.d. cartiere delle società clienti della GAP (ad es. la RAGIONE_SOCIALE, quale società manifatturiera, era operante per le più importanti griff italiane nel campo della moda e inserita da anni nel tessuto socio -economico della Province di Ancona e Macerata); 3) né il carattere di c.d. cartiere, in capo alle fornitrici di RAGIONE_SOCIALE, trattandosi di società tutte esistenti fino al 2015, operanti nel mercato, con regolarità degli adempimenti fiscali, per circa dieci anni rispetto ai fatti contestati; inoltre, nello stesso p.v.c., la GdF aveva rilevato, in modo illogico e contraddittorio, da un lato, che tutte le operazioni contestate potevano essere ritenute oggettivamente inesistenti e prive di giustificazione causale sul presupposto che RAGIONE_SOCIALE fosse una cartiera e, dall’altro, che GAP si fosse interposta quale ‘ società filtro ‘ in operazioni soggettivamente inesistenti, le quali, pertanto,
avrebbero dovuto ritenersi, ad avviso della ricorrente, effettivamente eseguite, con conseguente riconoscimento della detraibilità dell’Iva fatturata e pagata; l’erroneità della sentenza impugnata nella valutazione degli elementi indiziari sarebbe evidente, secondo la ricorrente, anche avuto riguardo ad altro procedimento definito con la sentenza n. 183/1/2010 (allegata al ricorso) nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, anch’essa ritenuta cartiera, essendo stat a, di contro, accertata, in tale sede, la materiale esecuzione delle operazioni contestate; peraltro, la CTR avrebbe ritenuto dimostrata dall’Amministrazione anche la consapevolezza della frode da parte della contribuente pur in mancanza di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti (in particolare, in mancanza di alcun indizio circa la qualità in capo a NOME COGNOME di amministratore, al contempo, di RAGIONE_SOCIALE, di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, nonché di amministratore della RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, risultando diversamente dalle allegate visure camerali); inoltre, era mancata la considerazione da parte del giudice di appello della sentenza n. 4754/2011 del Tribunale penale di Roma (allegata al ricorso), passata in giudicato, di assoluzione di NOME COGNOME dai reati ascrittigli in qualità di amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE per non essere emersa, sulla base degli indizi riscontrati dalla GDF, prova del suo coinvolgimento nell’amministrazione della RAGIONE_SOCIALE. Da qui anche la richiesta di rimessione della controversia alla Corte di giustizia euro pea laddove si riscontrasse un contrasto insanabile tra l’interpretazione resa dalla CTR e la disciplina comunitaria posta dalle Direttive Iva e dalla richiamata giurisprudenza.
Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità e/o inesistenza della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 1, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. avendo la CTR confermato la legittimità degli impugnati avvisi di accertamento con una motivazione apparente, contraddittoria e adottata per relationem alla sentenza di primo grado e al p.v.c. della GDF del 20 maggio 2010, senza che potesse essere desunto dalla stessa l’iter logico -giuridico seguito rispetto alle censure sollevate in appello e alla documentazione depositata in atti dalla contribuente.
3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., errores in procedendo per violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c., 2727, 2729 e 2697 c.c., 228 c.p.c. per avere la CTR confermato la legittimità degli impugnati avvisi di accertamento sulla base delle sole risultanze del p.v.c. della GdF , elevato a ‘prova principe’ dei fatti di causa, con pretermissione delle risultanze istruttore acquisite nei gradi di merito denotanti la oggettiva esistenza delle operazioni contabilizzate (piena operatività di RAGIONE_SOCIALE, quale società dotata di struttura amministrativa e di personale dipendente; esistenza e piena operatività sul mercato delle società fornitrici e dei clienti di GAP, dotati di una propria organizzazione aziendale; completa tracciabilità di tutte le operazioni finanziarie effettuate da GAP; regolare emissione delle fatture e tenuta, formale e sostanziale, delle scritture contabili; effettiva presenza della merce in magazzino e regolare pagamento delle imposte); peraltro, l’Amministrazione non aveva fornito alcuna prova che, all’epoca del contestato accertamento, il COGNOME fosse contemporaneamente amministratore di RAGIONE_SOCIALE, di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE di Malta come si evinceva dalla visura societaria della contribuente, essendo stato, peraltro, il COGNOME assolto con sentenza penale n. 4754/2011, passata in giudicato (allegata al ricorso) dai reati ascrittigli in qualità di amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE Peraltro, la CTR avrebbe, in violazione dell’art. 228 c.p.c., erroneamente attribuito alle prove testimoniali assunte dalla G.d.F. valore di confessione stragiudiziale nei confronti della ricorrente, sebbene si trattasse di dichiarazioni assunte da soggetti estranei al giudizio e non dal legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE
4.Il secondo motivo -da trattare logicamente in via prioritaria- è infondato.
4.1.La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche
congetture (Cass., 5 luglio 2022, n. 21302; Cass., 1 marzo 2022, n. 6758, Sez. 5, Ordinanza n. 6044 del 2024).
4.2. Peraltro, «In tema di processo tributario è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente priva dell’illustrazione delle censure mosse dall’appellante alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare per relationem alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, poiché, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento della decisione e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame.» ( Sez. 5, Sentenza n. 24352 del 2024;Cass. sez. 5, Ord. n. 21451 del 2021; Cass., sez. 5, 5/10/2018, n. 24452; Cass., sez. 5, 11/11/2020, n. 25325; Cass., sez. L, 14/02/2020, n. 3819; Cass., sez. L, 25/10/2018, n. 27112; Cass., sez. L, 5/11/2018, n. 28139, la quale ha stabilito che «La sentenza d’appello può essere motivata per relationem , purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame»).
4.3.Nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale
non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato (Sez. U, Sentenza n. 642 del 16/01/2015;Sez. 5, Sentenza n. 9334 del 08/05/ 2015;Sez. 5, Ord. n. 29028 del 06/10/2022).
4.4.Nella sentenza impugnata, la CTR lungi dall’aderire meramente alla motivazione del giudice di prime cure, ha illustrato chiaramente il percorso logico-giuridico posto a fondamento della sua decisione, rapportandosi ai motivi di appello concretantesi nella contestazione dell’ asserito ruolo in capo alla contribuente di ‘società filtro’ nell’ambito di una emersa frode carosello nel settore del commercio all’ingrosso di abbigliamento (v. pag. 1 della sentenza impugnata); al riguardo, la CTR ha osservato che: 1) l’Ufficio aveva dimostrato , con elementi presuntivi – ritenuti dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza – la frode Iva contestata e la consapevolezza da parte della contribuente del meccanismo fraudatorio finalizzato alla creazione di ingenti crediti Iva da utilizzare in compensazione con altre imposte; in particolare dal p.v.c. della G.d.F.- le cui risultanze sono state fatte proprie dal giudice di appello – era emerso che: a) i fornitori di GAP erano società italiane c.d. cartiere (prive di autonoma struttura e organizzazione, rappresentate da soggetti nullatenenti e, parzialmente, analfabeti, con identica sede legale inesistente, mancanza di dipendenti, con bilanci depositati e dichiarazioni regolari ma senza alcun versamento d’imposta);b) sussistevano comunanze tra la verificata e altra società (RAGIONE_SOCIALE) coinvolta nel medesimo contrabbando della merce di provenienza cinese (presenza di NOME COGNOME, quale amministratore di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE; coincidenza della sede legale delle due società presso il medesimo studio commerciale in Roma; utilizzo del medesimo formato di stampa delle fatture (anche negli errori); prosecuzione dei rapporti economici -intrattenuti fino al 2006 tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE– tra la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE dal 2006 al 2008) da cui desumere anche la conoscenza/conoscibilità del meccanismo fraudatorio da parte della contribuente; c) le fatture emesse da GAP nei confronti della principale cliente RAGIONE_SOCIALE riportavano la dicitura, quale
‘luogo di destinazione’ della merce, di una società di trasporti dichiarata fallita e successivamente di altra società la cui rappresentante legale era la figlia del rappresentante della società fallita; d) le fatture di acquisto venivano automaticamente ‘ribaltate’ da RAGIONE_SOCIALE nei confronti dei clienti esteri che avevano acquistato tutti in esenzione Iva; e) NOME COGNOME – quale fatto non opposto dalla contribuente -era contemporaneamente rappresentante legale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE di Malta – soci anche di RAGIONE_SOCIALE -a dimostrazione della conoscenza/conoscibilità delle operazioni soggettivamente inesistenti; a fronte dei suddetti elementi presuntivi della frode fiscale e della consapevolezza della stessa da parte della contribuente, quest’ultima che non aveva correttamente esibito la documentazione contabile, avendo dichiarato in primo grado di averla, in parte, persa nell’incendio del proprio stabilimento si era limitata a generiche affermazioni, non fornendo alcuna prova a contrario neanche con le scritture contabili e presentando prospetti dimostrativi di rapporti con la clientela rafforzativi dell’impianto accusatorio; né era fondata l’eccezione della contribuente circa l’irrilevanza delle dichiarazioni di terzi assunte nel p.v.c., essendo queste ultime assimilabili a prove confessionali ed essendo state ritenute legittime nel processo tributario dalla stessa Corte di cassazione con ordinanza n. 22616 del 2014. Risulta, pertanto, che le considerazioni svolte dalla CTR nella motivazione della sentenza, sono tali da disvelare chiaramente – in relazione ai motivi di impugnazione – quale sia la ratio decidendi e l’iter logico-giuridico seguito per pervenire al risultato enunciato.
I motivi primo e terzo- da trattare congiuntamente, per connessione – in parte, inammissibili e, in parte, infondati.
5.1. Sulla scia della giurisprudenza unionale (Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C- 277/14), questa Corte ha affermato il seguente condivisibile principio di diritto: ‘In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva
fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi» (cfr. Cass., 31 gennaio 2022, n. 2922; Cass., 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., 20 aprile 2018, n. 9851). Dunque, questa Corte, partendo dalla premessa che ai fini della ripartizione dell’onere della prova, occorre considerare che il diniego del diritto di detrazione segna un’eccezione al principio di neutralità dell’Iva che tale diritto costituisce, ha affermato che incombe, in primo luogo, sull’Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione e che, una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, citata).
5.2.Come chiarito da questa Corte (Cass., sez. 5, 20/04/2018, n. 9851), la prova che deve essere fornita dall’Amministrazione in caso di operazioni soggettivamente inesistenti si incentra su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale, ossia che il soggetto formale non è quello reale e che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione I.V.A. e, a tale ultimo fine, non è necessaria la prova della partecipazione all’evasione, ma è sufficiente e necessario che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole.
Con riguardo a tale ultima circostanza, secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia, deve essere soddisfatta l’esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se non sapeva o non avrebbe potuto sapere che l’operazione si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’I.V.A. (Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, COGNOME e NOME, C-80/11 e C-142/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14).
5.3. Con riguardo al ‘tipo’ di prova incombente sull’Amministrazione si è precisato che essa può ritenersi raggiunta se quest’ultima fornisce attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice e, dunque, non occorre la prova “certa” e incontrovertibile di ogni operazione e dettaglio: l’Amministrazione può assolvere al suo onere probatorio anche mediante presunzioni, come prevede per l’I.V.A. il D.P.R. n. 633 del 1973, art. 54, comma 2, e mediante elementi indiziari (Cass., sez. 5, 5/12/2014, n. 25778; Cass., sez. 5, 24/09/2014, n. 20059; Cass., sez. 6-5, 7/06/2017, n. 14237; Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C439/04 e C-440/14; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, COGNOME e NOME, C-80/11 e C-142/11) che il contribuente al momento in cui ha acquistato il bene o il servizio sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente, con l’emissione della relativa fattura, aveva evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei a “porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” (Corte di Giustizia, 6 dicembre 2012, Bonik, C285/11; Corte di Giustizia, Ppuh, C 277/14, par. 50). L’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario deve dunque essere ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta alla Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’I.V.A.
e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare (Cass. n. 9851 del 2018, cit .; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27566; Cass., sez. 5, n. 15369 del 2020). Pertanto, sebbene al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali ed operativi anomali dell’operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità ed ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell’imprenditore nel settore del mercato in cui opera e l’aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo (Cass., sez. 5, 2/12/2015, n. 24490). Ne consegue che la sussistenza di indizi, che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni nella sfera dell’emittente, deve indurre l’operatore avveduto ad assumere le opportune informazioni sul soggetto dal quale intenda acquistare beni o servizi (Cass., Sez. V, 4 luglio 2022, n. 21072; Cass., Sez. V, 2 dicembre 2021, n. 38012; Cass., Sez. V, 16 novembre 2021, n. 34531; Cass., Sez. VI, 3 giugno 2021, n. 15356; Cass., Sez. V, 3 marzo 2021, n. 5748; Cass., Sez. V, 5 dicembre 2014, n. 25779). Il contenuto della massima diligenza esigibile nei confronti di un accorto operatore, al fine di non essere parte di una frode IVA, si incentra sulle opportune informazioni circa l’effettiva esistenza del fornitore, da acquisirsi direttamente (in relazione alla struttura organizzativa dello stesso), sia indirettamente, attraverso l’esame delle modalità con le quali si è estrinsecato il rapporto commerciale con l’emittente (Sez. 5, Ordinanza n. 28165 del 2022). 5.4.Ancor più specificamente, questa Corte ha evidenziato che, quando l’operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano «L’onere probatorio dell’amministrazione ben può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (è,
cioè, una cartiera), costituendo ciò, di per sé, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poiché l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente» e che «Esclusa, infatti, una connotazione aprioristica e generalizzante di idoneità probatoria sul piano soggettivo alla sola qualità oggettiva di cartiera del soggetto interposto (in ciò superando il rigore dei citati precedenti), non può peraltro escludersi che l’effettività, suffragata da obbiettivi riscontri, dell’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti possa rientrare nel novero degli elementi, afferenti alla sfera del destinatario, su cui assolvere l’onere probatorio dell’Amministrazione» (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, in motivazione).
5.5.Raggiunta tale prova, incombe sul contribuente l’onere di dimostrare, oltre all’effettività del cedente, la propria buona fede, ossia di “avere agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto – secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a far insorgere il sospetto”, stante la inesigibilità di ulteriori verifiche (Cass. Sez. U, 12/09/2017, n. 21105; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27566; Cass., sez. 5, 20/07/2020, n. 15369; Cass., sez. 6-5, n. 13409 del 2021).
5.6. Il contribuente, in altri termini, può dimostrare sia l’anomalia degli elementi posti in evidenza dal Fisco, sia l’attività preventiva posta in essere da cui emergeva l’effettività ed operatività dell’impresa interposta. Risulta, invece, priva di rilievo tanto la prova sulla regolarità formale delle scritture e sulle evidenze contabili dei pagamenti, quanto sull’inesistenza di un dimostrato vantaggio, e ciò in quanto le prime circostanze sono già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, mentre l’ultima si riferisce ad un dato di fatto esterno alla fattispecie, inidoneo di per sè a dimostrare l’estraneità alla frode (Cass., sez. 5, 24/09/2014, n. 20059; Cass., sez. 5, 14/01/2015, n. 428; Cass., sez. 6-5, 5/12/2017, n. 29002; Cass., sez. 6-5, n.
13409 del 2021; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14, che afferma che “in circostanze del genere il soggetto passivo deve essere considerato… partecipante a tale evasione, e ciò indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle “). Nessun rilievo assume poi la riscontrata congruità dei prezzi e la regolarità formale delle operazioni , poiché il primo costituisce un elemento neutro ai fini della prova della buona fede, e la seconda è addirittura utilizzata proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. 19/12/2019, n.33915; Cass. sez. 5, n. 25192 del 2022). Né, a tal fine, è sufficiente dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e la fattura, IVA compresa, effettivamente pagata, poiché trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente » (Cass. n. 20059 del 2014; id. n. 10939 e n. 20060 del 2015, n. 17818 del 2016), ovvero, « di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perché relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode» (cfr. Cass. n. 17377 del 2009; id. n. 867 e n. 5912 del 2010; n. 12802 del 2011; n. 428 del 2015; Cass. sez. 5, n. 17153 del 2018).
5.7. E’ utile, in ultimo, precisare che l’operazione soggettivamente inesistente si configura, invero, sia quando l’emittente della fattura non sia un soggetto passivo di imposta, sia quando la falsità delle fatture riguarda operazioni avvenute tra soggetti diversi da quelli che appaiano nella documentazione; segnatamente, nel caso in cui l’Amministrazione ritenga che la fattura attenga ad operazioni solo soggettivamente inesistenti, e cioè che la fattura sia stata emessa da soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa rappresentata (e della quale il cessionario o il committente sia stato realmente destinatario), la detraibilità dell’IVA deve essere, in linea di principio, esclusa, venendo a mancare lo stesso principale presupposto della detrazione, costituito dall’effettuazione di un’operazione ai sensi dell’art. 19, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, presupposto da ritenersi carente anche nel
caso in cui i termini soggettivi dell’operazione non coincidano con quelli della fatturazione (S ez. 5, Ordinanza n. 33912 del 2024; Cass., 13 novembre 2009, n. 23987 del 2009; Cass., 12 marzo 2007, n. 5719). In tal caso, infatti, come evidenziato da questa Corte, l’imposta viene versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta, in quanto le fatture sono emesse da un soggetto che non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, da ritenersi “inesistenti” (Cass., 30 ottobre 2013, n. 24426). In sostanza, in caso di emissione di fattura per operazioni inesistenti, l’IVA versata (come previsto dall’art. 21, comma 7, d.P.R. 6 n. 633 del 1972) alla non genuina controparte, va considerata (proprio per le finalità del complessivo sistema IVA) come “fuori conto”, e cioè “isolata” dalla massa di operazioni effettuate ed “estraniata” dal meccanismo di compensazione tra IVA “a valle” ed IVA “a monte” che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass.,13 marzo 2013, n. 6229) (Cass., 20 luglio 2020, n. 15369 e, più di recente, cfr. anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 1 dicembre 2022, in C-512/21, paragrafi 26 -33).
5.8. Ciò posto, va ribadito il principio -relativo alla valutazione dei fatti noti addotti dall’Ufficio (gli elementi indiziari) – secondo cui spetta al giudice del merito apprezzare l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, i quali vanno valutati sia analiticamente (dando un adeguato peso ponderale a ciascun elemento), sia sinteticamente nella loro globalità, valutando se la combinazione di tali elementi sia in grado di fornire una valida prova presuntiva (Cass., Sez. V, 17 settembre 2020, n. 26802; Cass., Sez. V, 17 settembre 2020, n. 19353; Cass., Sez. V, 31 maggio 2019, n. 14980; Cass., Sez. VI, 23 giugno 2017, n. 15777; Cass., Sez. VI, 2 marzo 2017, n. 5374; Cass., Sez. V, 9 agosto 2016, n. 16719). La valutazione degli indizi, pur operata singolarmente e analiticamente dal giudice del merito (in relazione al peso ponderale dell’elemento indiziario), deve, comunque, essere operata anche sinteticamente, in modo che i vari elementi addotti consentano al giudice del merito di cogliere e apprezzare il qua dro complessivo (framework) che l’Amministrazione finanziaria ha inteso dare al coacervo degli stessi fatti indiziari, al fine di trarre la presunzione del
fatto ignoto (consapevolezza di partecipare a una frode IVA). Il giudizio sintetico o complessivo degli elementi addotti si nutre, pertanto, della valutazione dei singoli indizi -ove rilevanti (gravi e precisi) e concordanti rispetto all’oggetto della prova – al fine di cogliere il quadro complessivo che fonda la prova logica del fatto ignoto (la consapevolezza del cessionario nell’aver preso parte a una frode IVA) (Sez. 5, Ordinanza n. 22003 del 2022). Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia avente ad oggetto l’atto impositivo, deve previamente valutare, con giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, la sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degli indizi motivanti l’atto medesimo, esaminandoli sia singolarmente sia nel loro complesso, ed esponendo adeguatamente l’esito di tale giudizio nella motivazione della sentenza. Quando egli ritiene, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità (non necessariamente di certezza), che detti indizi sono sufficienti a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, con riguardo, nel caso delle frodi carosello, all’esistenza dell’organizzazione fraudolenta, alla partecipazione ad essa del contribuente o, quanto meno, alla consapevolezza da parte sua di avvantaggiarsi della frode con danno dell’erario, la domanda dell’amministrazione deve ritenersi provata; con la conseguenza che si sposta a carico del contribuente, secondo la regola generale ricavabile dall’art. 2727 cod. civ. e ss., e dall’art. 2697, comma secondo, cod. civ., l’onere di provare eventuali fatti a suo favore; la mancata deduzione di idonea prova contraria, fin dall’atto introduttivo del giudizio, o l’insuccesso di essa, comportano l’accoglimento della pretesa del fisco fondata su valide presunzioni. In tale contesto, le dichiarazioni rilasciate da terzi; le risultanze delle indagini condotte nei confronti di altre società; gli atti trasmessi dalla guardia di finanza, risultanti dall’attività di polizia giudiziaria, senza esclusione di altri atti, se contenuti negli atti (come il processo verbale di constatazione) allegati all’avviso di rettifica notificato o trascritti essenzialmente nella motivazione dello stesso, costituiscono parte integrante del materiale indiziario e probatorio, che il giudice tributario di merito è tenuto a valutare dandone adeguato conto nella motivazione della sentenza. Né in campo tributario sono previste limitazioni di
efficacia degli atti trasmessi dalla polizia giudiziaria per il fatto, in particolare, che il difensore del contribuente non abbia partecipato alla formazione della prova racchiusa nell’atto trasmesso; il contenuto di tale atto, d’altronde, costituisce semplice indizio nel processo tributario, ed il giudicante di merito è tenuto a prenderlo in considerazione, a vantaggio o contro il fisco, nel quadro delle complessive acquisizioni processuali, con piena facoltà d’intervento delle difese (Sez. 5, Ordinanza n. 33912 del 2024).
5.9. Tanto premesso, nella vicenda in esame, la CTR ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali, in quanto – a fronte della contestazione da parte dell’Ufficio dell’emerso ruolo in capo a RAGIONE_SOCIALE di ‘società filtro’ nell’ambito di una frode carosello nel commercio all’ingrosso di capi di abbigliamento di provenienza cinese (secondo il meccanismo per cui una società residente a Malta fatturava merce nel settore abbigliamento a società italiane c.d. cartiere che la rivendevano a RAGIONE_SOCIALE; quest’ultima rivendeva la medesima merce a grossisti i quali la rifatturavano a società estere in esenzione di Iva, creando, in tal modo, fittizi crediti Iva di rilevante importo utilizzati a compensazione di altre imposte dovute) -ha ritenuto assolto l ‘ onere probatorio a carico dell’Amministrazione, in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, circa gli elementi di fatto della frode e la consapevolezza della contribuente del meccanismo fraudatorio, in base ad elementi presuntivi, emersi in sede di indagine di cui al p.v.c. della GDF – stimati gravi, precisi e concordanti in base ad un apprezzamento di merito non sindacabile in sede di legittimità e in ossequio ai principi sopra richiamati in tema di formazione della prova presuntiva – quali: 1) il carattere di c.d. cartiere della società italiane dalle quali acquistava RAGIONE_SOCIALE (‘ risultate in sede di accertamento prive di qualsiasi autonoma struttura e organizzazione, le cui scritture contabili erano risultate distrutte o dolosamente occultate e rappresentate da soggetti nullatenenti e parzialmente analfabeti con identica sede legale inesistente, con bilanci depositati e regolarità di dichiarazioni pur senza alcun versamento d’imposta e dipendenti) ; 2) riscontrate comunanze con
altra società (RAGIONE_SOCIALE) coinvolta nel contrabbando di merce di provenienza cinese (presenza di NOME COGNOME quale amministratore di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE; coincidenza delle due società presso il medesimo studio commerciale in Roma; utilizzo del medesimo formato di fattura, ‘ anche negli errori ‘ ; prosecuzione dei rapporti economici ( precedentemente intrattenuti tra RAGIONE_SOCIALE e il cliente RAGIONE_SOCIALE) tra GAP e CPF negli anni 2006-2008); 4) fatture emesse da GAP nei confronti della principale cliente RAGIONE_SOCIALE riportanti la dicitura, quale ‘luogo di destinazione’ della merce, di una società di trasporti dichiarata fallita e successivamente di altra società la cui rappresentante legale era la figlia del rappresentante della società fallita; d) automatico ribaltamento delle fatture di acquisto da RAGIONE_SOCIALE nei confronti dei clienti esteri che acquistavano tutti in esenzione Iva; inoltre, la C.T.R. ha precisato che ‘ sul fatto che COGNOME NOME risultasse contemporaneamente rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE di Malta, che erano anche soci di GAP, a dimostrazione della conoscenza e conoscibilità delle operazioni soggettivamente inesistenti, la ricorrente nuova opposto ‘. Quanto alla censura concernente la mancata prova (anche indiziaria) da parte dell’Amministrazione del ruolo di COGNOME quale amministratore contemporaneamente di RAGIONE_SOCIALE di Malta, e, dunque, della consapevolezza da parte della contribuente del meccanismo fraudatorio – in disparte il riferimento, oltre alla visura societaria della ricorrente (asseritamente allegata all’atto di appello , v. pag. 22) a visure camerali (di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) allegate al ricorso, in ordine alle quale la contribuente non ha precisato, in difetto del principio di autosufficienza e specificità, in quale fase processuale fossero state prodotte e in quale fascicolo di parte si trovassero -la stessa si profila inammissibile perché mira a porre in discussione l’apprezzamento della sussistenza o della insussistenza della non contestazione compiuta dal giudice di merito (‘ sul fatto che il sig. COGNOME risulti contemporaneamente rappresentante legale… la ricorrente nulla oppone ‘). Tale apprezzamento esige l’interpretazione della domanda e delle deduzioni delle parti ed è perciò riservato al giudice di merito, essendo sindacabile in cassazione solo per difetto assoluto o apparenza
di motivazione o per manifesta illogicità della stessa. Sul punto, va ribadito il principio di diritto, secondo cui l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, quale contenuto della posizione processuale della parte, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione (Cass., Sez. 2 , Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Sez. L, n. 10182 del 03/05/2007; Sez. L, n. 27833 del 16/12/2005); spetta, infatti, solo al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass., Sez. 6 – 1, n. 3680 del 07/02/2019); peraltro, si profila inammissibile anche la doglianza (contenuta in entrambi i motivi) afferente al l’assunta mancata considerazione della sentenza penale (Cass. n. 4754/2011) del Tribunale di Roma (allegata al ricorso), passata in giudicato, di assoluzione di NOME COGNOME dai reati ascrittigli in qualità di amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE, atteso che, oltre ad investire il COGNOME, nella qualità di amministratore di fatto di una società diversa da quella oggetto di causa, trattasi di questione nuova senza che la ricorrente abbia assolto all’onere di dimostrare – tramite la riproduzione o quantomeno la sintesi contenutistica degli atti difensivi dei gradi di merito nelle parti di rilievo – di averla dedotta nei precedenti gradi; costituisce, infatti, principio consolidato quello per cui in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum dei precedenti gradi di giudizio, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass., Sez. 2, 9.8.2018, n. 20694, Rv. 650009-01; Cass. 27260 del 2023); si espone alla medesima inammissibilità per difetto di specificità e
autosufficienza, la doglianza (contenuta nel primo motivo) relativa alla assunta mancata considerazione da parte del giudice di appello della sentenza n. 183/01/2010 (allegata al ricorso) emessa nei confronti di altra società (RAGIONE_SOCIALE.
5.10. Quanto alla contestata valenza di assunta ‘prova principe’ del p.v.c. della GdF va ricordato quanto affermato da questa Corte secondo cui ‘In tema di accertamenti tributari, il processo verbale di constatazione assume un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità: a) il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi -e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi -esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore’ (Sez. 5 – , Ordinanza n. 24461 del 05/10/2018; Sez. 5, Ordinanza n. 10429 del 2025).
5.11.Ritenuto assolto l’onere probatorio in capo all’Amministrazione in ordine al meccanismo fraudatorio e alla consapevolezza dello stesso da parte della contribuente, la CTR ha correttamente invertito l’onere della prova ( a contrario ) in capo a quest’ultima [nel senso che quest’ultima avrebbe dovuto dimostrare
che «non avrebbe potuto sapere» pur avendo utilizzato la massima diligenza esigibile] ritenendolo -con un apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità -non assolto atteso che la società ‘ si limitata a contrastare i validi riscontri indiziari dell’Ufficio con generiche affermazioni non fornendo alcuna prova valida neanche con scritture contabili e presentando prospetti dimostrativi di rapporti con la clientela che rafforzavano l’impianto accusatorio ‘ ; alcun rilievo, alla luce della giurisprudenza sopra richiamata, assumono sul piano della prova a contrario la dedotta regolarità della contabilità, la tracciabilità delle operazioni, né tantomeno l’effettività dell’esecuzione delle prestazioni e dei relativi pagamenti, trattandosi di circostanza pienamente compatibile con la frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente.
5.12. Quanto all’apprezzamento da parte del giudice di appello dei fatti e delle prove va poi ribadito che con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Ci3ss. n. 29404 del 2017; Cass. n. 5811 del 2019; Cass. n. 27899 del 2020; Cass. 18611 e 15276 del 2021; Cass. 37623/22). Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 9554 del 09/04/2024;Cass. 4
novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357).Va altresì ricordato che, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. La doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è poi ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020).
5.13.Inammissibile è, da ultimo, la (sub) censura (contenuta nel terzo motivo) con la quale si denuncia la violazione dell’art. 228 c.p.c. per avere la CTR attribuito alle prove testimoniali assunte dalla G.d.F. nel p.v.c. valore di confessione stragiudiziale nei confronti della società contribuente pur trattandosi di dichiarazioni assunte da soggetti terzi estranei al giudizio; invero, premesso che, mentre le dichiarazioni rese alla Guardia di Finanza da terzi assumono, sul
piano probatorio, valenza indiziaria (Cass. 19/11/2018, n. 29757; nello stesso senso, ex plurimis , Cass. 05/10/2018, n. 24461; Cass. 16/03/2018, n. 6616; Cass. 24/11/2017, n. 28060; Cass. 07/04/2017, n. 9080; Cass. 09/08/2016, n. 16711) potendo concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice (Cass. civ., 16 maggio 2019, n. 13174; Cass. civ., 7 aprile 2017, n. n. 9080; Sez. 5 – , Ordinanza n. 28022 del 30/10/2024 ), quelle rese dal contribuente alla Guardia di finanza in sede di verifica fiscale integrano una confessione stragiudiziale, ai sensi dell’art. 2735 c.c., costituendo prova non già indiziaria ma diretta del maggior imponibile eventualmente accertato a carico del dichiarante, non abbisognevole, come tale, di ulteriori riscontri (Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 592 del 15/01/2021v. anche Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 22616 del 24/10/2014), nella specie, la contribuente, in difetto del principio di autosufficienza e specificità, non ha riprodotto in ricorso né effettuato ivi una sintesi contenutistica delle dichiarazioni rese ai verbalizzanti che sarebbero state poste dal giudice di appello erroneamente a fondamento della decisione con ciò impedendo al Collegio di vagliare la fondatezza della doglianza medesima.
5.14.Per quanto sopra esposto e in ragione del quadro sopra delineato, ricostruito in relazione alle intervenute pronunce della Corte di giustizia, in tema di diniego di detrazione di Iva nell’ipotesi di vendita effettuata da un soggetto considerato inesistente o di frode Iva di tipo carosello nonché di questa Corte sulla scia della giurisprudenza unionale (Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C277/14; Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 1 dicembre 2022, in C -512/21, paragrafi 26 -33), non sussistono i presupposti per il richiesto peraltro, in termini generici- rinvio pregiudiziale ex art. 267, secondo comma, TFUE, alla Corte di Giustizia, come invece sollecitato dalla società ricorrente nel ricorso per cassazione.
5.15. Infine, quanto alla deducibilità dei costi (ai fini Ires e Irap) per operazioni soggettivamente inesistenti in relazione alle contestate fatture, nel caso di specie non può farsi richiamo del principio generale in materia di ‘ ius superveniens ‘,
perchè la disciplina introdotta dal d.l. n. 16 del 2012, conv. con modificazioni dalla l. n. 44 del 2012, era già in vigore (dal 29 aprile 2012) all’epoca di pubblicazione della sentenza di primo grado (2014) e la contribuente avrebbe dovuto dimostrare di avere proposto la questione della sua applicabilità nelle controdeduzioni presentate nel giudizio di appello. I principi della rilevabilità, anche d’ufficio, dello ” ius superveniens ” e della sua applicabilità nei giudizi in corso, infatti, non operano indiscriminatamente, ma devono essere coordinati con quelli che regolano l’onere dell’impugnazione e le relative preclusioni, con la conseguenza che la loro operatività trova ostacolo nel giudicato interno formatosi in relazione alla questione su cui avrebbe dovuto incidere la normativa sopravvenuta (Cass. 17.03.2014, n. 6191; Cass. n. 4421 del 2023; Cass. sez. 5, Ordinanza n. 4908 del 2025).
6.In conclusione, il ricorso va rigettato.
7.Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 30.000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito;
Dà atto, ai sensi dell’art.13 comma 1-quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 26.6.2025