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Frode carosello: onere della prova e conoscibilità

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19318/2024, chiarisce l’onere della prova in materia di frode carosello. Per negare la detrazione IVA al cessionario, non è necessario che l’Amministrazione Finanziaria provi la sua partecipazione attiva alla frode (‘conoscenza’), ma è sufficiente dimostrare che, usando l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto esserne a conoscenza (‘conoscibilità’). La sentenza di merito è stata cassata per aver richiesto una prova più gravosa, errando nell’applicazione dei principi sulla ripartizione dell’onere probatorio.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode carosello: non serve la prova della malafede, basta la conoscibilità

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare luce su un tema cruciale del diritto tributario: la frode carosello e l’onere della prova per la detrazione dell’IVA. Con la decisione in esame, i giudici hanno ribadito un principio fondamentale: per negare il diritto alla detrazione, l’Amministrazione Finanziaria non deve necessariamente dimostrare la partecipazione consapevole dell’acquirente alla frode, essendo sufficiente provare che quest’ultimo, con la normale diligenza, avrebbe potuto accorgersene.

I fatti di causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento notificato a una società a responsabilità limitata, con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava l’IVA indebitamente detratta su acquisti di rottami ferrosi. Tali operazioni erano state qualificate come soggettivamente inesistenti, in quanto la società fornitrice era risultata essere una ‘cartiera’, inserita in un più ampio meccanismo fraudolento.

In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) accoglieva il ricorso della società, ritenendo che l’Amministrazione non avesse fornito prove sufficienti del coinvolgimento attivo dell’acquirente nella frode, il quale aveva invece dichiarato la propria buona fede.

Successivamente, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) confermava la decisione di primo grado, respingendo l’appello dell’Agenzia. Secondo la CTR, non era stata raggiunta la prova della ‘conoscenza’ o della ‘consapevolezza’ della frode da parte della società acquirente, definendo gli elementi a suo carico come ‘mere ipotesi’.

La decisione della Cassazione sulla frode carosello

L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione delle norme in materia di IVA e dell’onere della prova (art. 2697 c.c.). La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza della CTR e rinviando la causa a un nuovo giudizio.

Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra ‘conoscenza’ e ‘conoscibilità’ della frode. La Suprema Corte ha chiarito che il giudice di merito ha errato nel richiedere all’Amministrazione la prova di un accordo fraudolento o di una piena consapevolezza da parte dell’acquirente.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha ribadito il suo consolidato orientamento in materia. Nel contesto di una frode carosello, l’Amministrazione Finanziaria che intende negare il diritto alla detrazione dell’IVA deve provare due elementi:

1. L’esistenza della frode posta in essere dal cedente (la società fornitrice).
2. La circostanza che il cessionario (l’acquirente) sapesse o, usando l’ordinaria diligenza di un operatore commerciale accorto, avrebbe dovuto sapere di essere coinvolto in un’operazione fraudolenta. Questa ‘conoscibilità’ può essere dimostrata anche tramite presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.

Una volta che l’Amministrazione ha fornito questi elementi, spetta al contribuente dimostrare il contrario, cioè di aver agito con la massima diligenza possibile per non essere coinvolto nell’evasione. A tal fine, non sono sufficienti la regolarità formale della contabilità o dei pagamenti.

Nel caso specifico, la CTR ha commesso un duplice errore: ha richiesto all’Agenzia una prova più gravosa di quella prevista dalla legge (la ‘conoscenza’ invece della ‘conoscibilità’) e ha completamente trascurato di valutare gli indizi probatori forniti dall’Ufficio, che avrebbero potuto consentire a un operatore di normale avvedutezza di rendersi conto delle anomalie dell’operazione.

Conclusioni

Questa ordinanza è di fondamentale importanza pratica per tutti gli operatori economici. Essa sottolinea che la buona fede non può essere meramente presunta, ma deve essere supportata da un comportamento diligente e proattivo. Le imprese devono adottare adeguate misure di controllo sui propri partner commerciali, specialmente in settori a rischio frode. Ignorare segnali di anomalia o indicatori di rischio può costare caro, portando al disconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA, anche in assenza di una partecipazione diretta e volontaria al disegno fraudolento. La ‘conoscibilità’ della frode, e non necessariamente la ‘conoscenza’, diventa quindi il criterio determinante per stabilire la legittimità della detrazione.

Cosa deve provare l’Amministrazione Finanziaria per negare la detrazione IVA in una frode carosello?
L’Amministrazione Finanziaria deve provare l’esistenza della frode del fornitore e la circostanza che l’acquirente sapesse o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, di partecipare a un’operazione fraudolenta. Non è richiesta la prova di un coinvolgimento doloso.

È sufficiente per un’azienda dimostrare la regolarità formale delle fatture e dei pagamenti per avere diritto alla detrazione IVA?
No. Secondo la Corte, la mera regolarità della contabilità e dei pagamenti non è sufficiente a dimostrare la buona fede del contribuente, se l’Amministrazione ha fornito elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti sulla conoscibilità della frode.

Qual è la differenza tra ‘conoscenza’ e ‘conoscibilità’ della frode ai fini della detrazione IVA?
La ‘conoscenza’ implica una consapevolezza diretta e una partecipazione attiva alla frode. La ‘conoscibilità’, invece, si riferisce alla possibilità per un operatore commerciale accorto di rendersi conto delle anomalie dell’operazione attraverso indici e segnali di allarme, anche senza una prova diretta della sua malafede. La Corte ha stabilito che la ‘conoscibilità’ è sufficiente per negare la detrazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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