Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13324 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13324 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 2407/2017 proposto da:
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
Indirizzo PEC: EMAIL
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta delega in atti, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
PEC: EMAIL
EMAIL
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA n. 5629/33/2016, depositata in data 14 giugno 2016, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso avente ad oggetto l’avviso di accertamento con cui era stata determinata una maggiore Iva, per l’anno d’imposta 2011, ritenuta non detraibile in quanto derivante da operazioni realizzate a seguito d ell’emissione di fatture soggettivamente inesistenti.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno ritenuto che:
-) i costi documentati e che risultavano inerenti all’attività imprenditoriale, relativi alle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, erano deducibili ai fini dell’Iva in quanto sussisteva, nel caso in esame, il requisito della «buona fede»;
-) incombeva al fisco l ‘ onere di provare sia gli elementi di fatto della frode attinenti il cedente, ovvero la sua natura di «cartiera», sia la partecipazione ad essa della società contribuente, ovvero la sua consapevolezza in quanto si contestavano detrazioni d ‘ imposta indebite, e, cioè, formalmente giustificate da documentazione contabile e finanziaria, ma in effetti corrispondenti ad acquisti effettuati o partecipando direttamente ad un ‘ organizzazione di imprese creata allo scopo di evadere il tributo col sistema della c.d. «frode carosello» o,
avvantaggiandosi consapevolmente dei risultati di siffatta organizzazione;
-) la predetta prova poteva essere data anche mediante presunzioni, dotate di gravità, precisione e concordanza, consistenti in elementi obiettivi tali da porre sull ‘ avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull ‘ inesistenza sostanziale del contraente;
-) la società ricorrente aveva provato la sua estraneità alla frode Iva e, comunque, la non consapevolezza della stessa; pertanto, la società aveva diritto alla detrazione dell’iva in quanto non si ravvisava un comportamento colposo della stessa e si riteneva che la contribuente avesse agito con la diligenza richiesta in relazione all ‘ attività svolta senza aver condiviso i vantaggi derivanti dalle operazioni soggettivamente inesistenti;
-) in particolare, la società RAGIONE_SOCIALE non poteva considerarsi una società inesistente o fittizia, emergendo invece dai bilanci prodotti dalla ricorrente e dalle visure del registro delle imprese, che essa aveva avuto numerose sedi legali (in Napoli e da ultimo in Roma) e secondarie (a Budapest) e soprattutto che, nel corso del triennio in rilievo, aveva avuto numerosi lavoratori dipendenti e alcuni depositi riportati nel certificato del registro delle imprese (in Formia e Casalnuovo di Napoli); tra le parti vi era un contratto regolarmente stipulato ed eseguito per oltre tre anni e i pagamenti della merce, con eccezione delle prime forniture, erano avvenuti sempre con bonifico bancario, tra i 15 e i 30 giorni dalla fornitura; la merce, inoltre, era stata consegnata per mezzo di uno spedizioniere, con sede in Casoria, e ad ogni spedizione risultava apposto timbro e firma dell’operatore addetto con indicazione del numero di targa dell’automezzo impiegato; infine, il prezzo di acquisto dei prodotti a marchio Nintendo, praticato dalla società RAGIONE_SOCIALE alla società RAGIONE_SOCIALE non era nettamente inferiore rispetto a quello che la stessa società RAGIONE_SOCIALE
otteneva dal distributore ufficiale della Nintendo in Germania perché il prezzo risultante da queste ultime fatture era al lordo delle decurtazioni che il distributore tedesco, comunque, praticava in seguito a titolo di contributi marketing, premi, rivalutazioni e sconti aggiuntivi applicati dalla Nintendo e fatturati dalla RAGIONE_SOCIALE, con la conseguenza che non vi erano sostanziali differenze rispetto agli acquisti effettuati presso la società RAGIONE_SOCIALE;
-) dalle prove presentate, dunque, appariva credibile che la società RAGIONE_SOCIALE si rifornisse presso la RAGIONE_SOCIALE, oltre che presso la società Nintendo, esclusivamente per soddisfare le richieste di mercato in quanto la Nintendo Germania non era in grado di soddisfarle completamente.
L’ Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato ad un motivo, cui resiste la società RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo ed unico motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 17, 19 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. . La CTR aveva erroneamente individuato la fattispecie in esame, che si caratterizzava per non essere una frode carosello, ma una operazione solo soggettivamente inesistente di tipo triangolare, in cui vi era un solo passaggio di merce, dal fornitore comunitario alla società interposta nazionale e da questa alla società in concreto accertata, la quale, invece, riceveva direttamente dal fornitore comunitario la merce stessa. In tale ipotesi, l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode (cedente comunitario e cessionario nazionale) i nduceva ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente, con
conseguente onere a suo carico di provare di non essere stato a conoscenza del fatto.
1.1 Il motivo è fondato.
1.2 . Va premesso che, in tema di operazioni soggettivamente inesistenti questa Corte, in coerenza con le plurime affermazioni della Corte di Giustizia (Corte di Giustizia UE, 6 settembre 2012, C-324/11; Corte di Giustizia UE, 22 ottobre 2015, C-277/14; Corte di Giustizia UE, 19 ottobre 2017, C-101/16 e, più di recente, Corte di Giustizia UE, 1 dicembre 2022, C-512/21) ha affermato che « qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto » (cfr. Cass., 16 febbraio 2025, n. 3949; Cass., 12 giugno 2024, n. 16361; Cass., 1 dicembre 2023, n. 33620; Cass., 31 gennaio 2022, n. 2922; Cass., 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., 20 aprile 2018, n. 9851).
1.3 Come chiarito da questa Corte, partendo dalla premessa che ai fini della ripartizione dell’onere della prova occorre considerare che il diniego del diritto di detrazione segna un’eccezione al principio di neutralità dell’Iva che tale diritto costituisce, sicché incombe, in primo
luogo, sull’Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione e che, una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente; inoltre, la prova che deve essere fornita dall’Amministrazione in caso di operazioni soggettivamente inesistenti si incentra su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale, ossia che il soggetto formale non è quello reale e che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione I.V.A. e, a tale ultimo fine, non è necessaria la prova della partecipazione all’evasione, ma è sufficiente e necessario che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, in motivazione).
1.4 Con specifico riguardo alla consapevolezza del contribuente, secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia, deve essere soddisfatta l’esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se non sapeva o non avrebbe potuto sapere che l’operazione si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’I.V.A. (Corte di Giustizia UE, 6 luglio 2006, C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia UE, 21 giugno 2012, C-80/11 e C142/11; Corte di Giustizia, 22 ottobre 2015, C-277/14).
1.5 Sul «tipo» di prova incombente sull’Amministrazione si è precisato che essa può ritenersi raggiunta se quest’ultima fornisce attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice e, dunque, non occorre la prova «certa» e incontrovertibile e che l’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario
deve essere ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta alla Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’I.V.A. e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, in motivazione). Pertanto, sebbene al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali ed operativi anomali dell’operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità ed ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell’imprenditore nel settore del mercato in cui opera e l’aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo (Cass., 2 dicembre 2015, n. 24490).
1.6 In via esemplificativa, poiché la valutazione va in ogni caso ancorata alla concreta vicenda, possono costituire elementi di rilevanza sintomatica: l’acquisto dei beni ad un prezzo inferiore di mercato; la limitatezza dell’eventuale ricarico; la presenza di una varietà e pluralità di soggetti promiscuamente indicati nella documentazione di trasporto e nella fatturazione; la scelta di operare secondo canali paralleli di mercato (che esige una più attenta e approfondita valutazione dei propri interlocutori, proprio per verificarne l’effettività), poco importa se giustificata da esigenze di accelerazione e di margini produttivi; la tempistica dei pagamenti, in ispecie se incrociati od operati su conti esteri a fronte di interlocutori nazionali, ovvero se effettuati in contanti; la qualità del concreto intermediario con il quale sono state intrattenute
le operazioni commerciali; il numero, la qualità e la durata delle transazioni, in ispecie a fronte di rapporti contigui e frequentazioni reiterate con i titolari della cartiera, ovvero nel caso in cui il contribuente abbia rapporti commerciali con una pluralità di soggetti aventi la qualità di cartiera (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, in motivazione).
1.7 Ne consegue che la sussistenza di indizi, che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni nella sfera dell’emittente, deve indurre l’operatore avveduto ad assumere le opportune informazioni sul soggetto dal quale intenda acquistare beni o servizi (Cass., 4 luglio 2022, n. 21072; Cass., 2 dicembre 2021, n. 38012; Cass., 16 novembre 2021, n. 34531). Il contenuto della massima diligenza esigibile nei confronti di un accorto operatore, al fine di non essere parte di una frode IVA, si incentra sulle opportune informazioni circa l’effettiva esistenza del fornitore, da acquisirsi direttamente (in relazione alla struttura organizzativa dello stesso), sia indirettamente, attraverso l’esame delle modalità con le quali si è estrinsecato il rappor to commerciale con l’emittente ( Cass., 27 settembre 2022, n. 28165).
1.8 Ed invero, l’o perazione soggettivamente inesistente si configura sia quando l’emittente della fattura non sia un soggetto passivo di imposta, sia quando la falsità delle fatture riguardi operazioni avvenute tra soggetti diversi da quelli che appaiano nella documentazione; segnatamente, nel caso in cui l’Amministrazione ritenga che la fattura attenga ad operazioni solo soggettivamente inesistenti, e cioè che la fattura sia stata emessa da soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa rappresentata (e della quale il cessionario o il committente sia stato realmente destinatario), la detraibilità dell’IVA deve essere, in linea di principio, esclusa, venendo a mancare lo stesso principale presupposto della detrazione, costituito
dall’effettuazione di un’operazione ai sensi dell’art. 19, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, presupposto da ritenersi carente anche nel caso in cui i termini soggettivi dell’operazione non coincidano con quelli della fatturazione (Cass., 13 novembre 2009, n. 23987; Cass., 12 marzo 2007, n. 5719). In tal caso, infatti, come evidenziato da questa Corte, l’imposta viene versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta, in quanto le fatture sono emesse da un soggetto che non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, da ritenersi “inesistenti” (Cass., 30 ottobre 2013, n. 24426). In sostanza, in caso di emissione di fattura per operazioni inesistenti, l’IVA versata (come previsto dall’art. 21, comma 7, d.P.R. 6 n. 633 del 1972) alla non genuina controparte, va considerata (proprio per le finalità del complessivo sistema IVA) come “fuori conto”, e cioè “isolata” dalla massa di operazioni effettuate ed “estraniata” dal meccanismo di compensazione tra IVA “a valle” ed IVA “a monte” che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass.,13 marzo 2013, n. 6229 e, più di recente, Cass., 20 luglio 2020, 15369).
1.9 Questa Corte ha, poi, precisato che, in tema di evasione di IVA a mezzo di frodi carosello, quando l’operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, l’onere probato rio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato
la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta (Cass., 21 aprile 2017, n. 10120; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27629; Cass., 20 dicembre 2023, n. 35591).
1.10 Raggiunta tale prova, incombe sul contribuente l’onere di dimostrare, oltre all’effettività del cedente, la propria buona fede, ossia di «avere agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto – secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a far insorgere il sospetto», stante la inesigibilità di ulteriori verifiche (Cass., 20 luglio 2020, n. 15369). Il contribuente, in altri termini, può dimostrare sia l’anomalia degli elementi posti in evidenza dal Fisco, sia l’attività preventiva posta in essere da cui emergeva l’effettività ed operatività dell’impresa interposta. Risulta, invece, priva di rilievo tanto la prova sulla regolarità formale delle scritture e sulle evidenze contabili dei pagamenti, quanto sull’inesistenza di un dimostrato vantaggio, e ciò in quanto le prime circostanze sono già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, mentre l’ultima si riferisce ad un dato di fatto esterno alla fattispecie, inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode ( Cass., 16 febbraio 2025, n. 3949). Nessun rilievo assume, poi, la riscontrata congruità dei prezzi e la regolarità formale delle operazioni, poiché il primo costituisce un elemento neutro ai fini della prova della buona fede, e la seconda è addirittura utilizzata proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., dicembre 2019, n.33915; Cass., 24 agosto 2022, n. 25192). Né, a tal fine, è sufficiente dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e la fattura, IVA compresa, effettivamente pagata, poiché trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante
un’operazione soggettivamente inesistente» (Cass., 9 settembre 2016, n. 17818), ovvero, « di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perché relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode » (cfr. Cass., 28 giugno 2018, n. 17153 del 2018).
1.11 Tanto premesso, nella vicenda in esame, la Commissione tributaria regionale non ha fatto piena e corretta applicazione dei principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali. I giudici di secondo grado, nella specie, a fronte della contestazione circa l’indebita detrazione Iva da parte d ella società RAGIONE_SOCIALE in relazione a fatture emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE, società cartiera che, nel periodo compreso tra il 2009 e il 1022, si era fittiziamente interposta come «filtro» negli acquisti praticati dalla società RAGIONE_SOCIALE, hanno escluso che l’Amministrazione avesse fornito elementi idonei a dimostrare la conoscenza e/o conoscibilità della frode Iva da parte della società contribuente, affermando genericamente che la società ricorrente aveva provato la sua estraneità alla frode Iva e, comunque, la non consapevolezza della stessa, in quanto non si ravvisava un comportamento colposo della stessa e che, in particolare, dalle prove presentate, appariva credibile che la società RAGIONE_SOCIALE si rifornisse presso la RAGIONE_SOCIALE, oltre che presso la società Nintendo, esclusivamente per soddisfare le richieste di mercato in quanto la Nintendo Germania non era in grado di soddisfarle completamente; ciò senza considerare che, come si evince dal ricorso per cassazione , l’Ufficio aveva posto in evidenza elementi obbiettivi e specifici verificabili, che, consentendo di sospettare l’esistenza di irregolarità e/o di evasioni nella sfera delle emittenti le fatture, dovevano indurre la società contribuente -usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta – ad assumere le
opportune informazioni sull’effettiva esistenza de l soggetto (fittiziamente) fornitore della merce (acquistata, per converso, direttamente, dal cedente comunitario): l’inesistenza della sede legale della società; la mancanza di lavoratori dipendenti e di una struttura predisposta al ricevimento delle merci; l’assenza di documentazione contabile ed extracontabile; l’incompleto censimento degli acquisti intracomunitari attraverso la presentazione degli elenchi riepilogativi INTRA 2 per l’anno 2011; le anomali e nei pagamenti delle fatture da parte dei clienti; i pagamenti della società RAGIONE_SOCIALE effettuati contestualmente ai pagamenti eseguiti dalla società RAGIONE_SOCIALE ai propri fornitori comunitari. Si tratta di elementi tipici (che danno luogo ad una presunzione di svolgimento di operazioni soggettivamente inesistenti) che comportavano l’inversione dell’onere della prova a carico della società contribuente, nel senso che quest’ultima avrebbe dovuto dimostrare che «non avrebbe potuto sapere» pur avendo utilizzato la massima diligenza esigibile; questi elementi, invece, sono stati (illegittimamente) trascurati dalla Commissione tributaria regionale, con il conseguente errore di diritto, correttamente censurato dall’Agenzia ricorrente. Va, infatti, ribadito che, trattandosi di operazioni soggettivamente inesistenti di tipo triangolare (acquisto delle merce da parte della società RAGIONE_SOCIALE direttamente dal fornitore comunitario tramite la società RAGIONE_SOCIALE) l’onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria sulla conoscibilità da parte della contribuente della partecipazione ad una frode Iva era soddisfatto dalla dimostrazione della fittizietà del soggetto interposto, ma la CTR, non facendo una corretta applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio, ha valorizzato elementi, tutti documentali, privi di rilievo (bilanci, visure del registro delle imprese, contratti, bonifici bancari, documentazione attestante le spedizioni), così ritenendo che la Cmnet RAGIONE_SOCIALE non fosse una società cartiera,
omettendo, tuttavia, di considerare un ‘ ulteriore varietà di elementi, introdotti dall’Agenzia in sede di accertamento e riproposti nella sede giudiziaria, sopra indicati, che riscontravano il coinvolgimento di più soggetti societari e tali, dunque, da comportare un evidente dubbio sulla regolarità delle cessioni oggetto delle fatture in contestazione, dimenticando, peraltro, che è l’indebita detrazione il maggior guadagno che consegue a tali operazioni. Inoltre, a fronte delle risultanze del verbale della Guardia di Finanza, ha concluso per l’effettiva operatività della società RAGIONE_SOCIALE in quanto società esistente sul mercato, con regolare sede legale e dipendenti, non tenendo conto che, in tema di accertamenti tributari, il processo verbale di constatazione, redatto dalla Guardia di finanza o dagli altri organi di controllo fiscale, è assistito da fede privilegiata ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., quanto ai fatti in esso descritti e che per contestare tali fatti è pertanto necessaria la proposizione della querela di falso e più in particolare che « In tema di accertamento tributario, il processo verbale di constatazione ha un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, assumendo così un triplice livello di attendibilità: a) ha fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che ha conosciuto senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale e quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale o alle dichiarazioni a lui rese; b) fa fede fino a prova contraria quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi ed anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi, che è fornita quando la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consente al giudice ed alle parti il controllo e la valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) è comunque un elemento di prova in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale,
che il giudice in ogni caso valuta, in concorso con gli altri elementi, e disattende solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, considerata la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore » (Cass.,5 luglio 2024, n. 18420; Cass., 5 ottobre 2018, n. 24461; Cass., 24 novembre 2017, n. 28060; Cass., 3 luglio 2014, n. 15191). È certo, in ogni caso, e salvo la pretesa di un maggior rigore probatorio a seconda del livello di complessità dell’organizzazione della frode, in base al riscontro di una catena più corta o più lunga rappresentativa del numero di società partecipanti all’illecito , che l’accertamento giudiziale del concreto atteggiarsi delle varie fattispecie è generalmente affidato all’allegazione di prove indiziarie, che il giudice è tenuto a vagliare secondo i principi posti a presidio del governo delle prove presuntive (Cass., 12 luglio 2023, n. 19981). Il procedimento logico-valutativo seguito dalla Commissione tributaria regionale non è, dunque, coerente con i criteri di ripartizione dell’onere probatorio come regolato dall’art. 2697 cod. civ. e con le regole di governo delle prove presuntive, poste dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., nei limiti in cui questa Corte, nell’esercizio della funzione nomofilattica, può controllare tale processo (Cass., 15 novembre 2021, n. 34248; Cass., 13 febbraio 2020, n. 3541).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania,
in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 23 aprile 2025.