Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24818 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24818 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2025
ORDINANZA
n. 3056/2017 R.G.
COGNOME
Rep.
A.C. 10 aprile 2025
sul ricorso (iscritto al n. 3056/2017 R.G.) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata ‘ ope legis ‘ presso gli uffici di quest’ultima, siti in Roma, alla INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: EMAIL);
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, con sede in Olevano Romano (RM), alla INDIRIZZO in persona del legale rappresentante pro tempore ;
-intimata –
nonché
NOME COGNOME NOME COGNOME nato a Roma il 30 giugno 1978 (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, NOME COGNOME NOME COGNOME nato Ad Anagni (FR) il 7 agosto 1981 (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, NOME COGNOME NOME COGNOME nato a Roma il 17 aprile 1952 (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE) e COGNOME nata a Olevano Romano (RM) l’11 novembre 1951 (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, già soci della
RAGIONE_SOCIALE tutti elettivamente domiciliati in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio de ll’ avv. NOME COGNOME che, congiuntamente e disgiuntamente all’avv. NOME COGNOME li rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al controricorso (indirizzi p.e.c. dei difensori: ‘ EMAIL ‘ e ‘ EMAIL ‘);
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio (Roma) n. 4143/21/2016, pubblicata il 27 giugno 2016;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 10 aprile 2025, dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- In punto di fatto e limitando l’esposizione alle sole circostanze rilevanti in questa sede, si osserva che l ‘ Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE esercente commercio di autoveicoli, l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO per l’anno di imposta 2006, recuperando altresì con separati avvisi i maggiori redditi di partecipazione in capo ai soci.
La ripresa scaturiva dalle segnalazioni pervenute da verifiche compiute nei confronti di altre due imprese che risultavano infatti avere emesso, nell’anno 2006, fatture relative ad operazioni da ritenersi soggettivamente inesistenti, in quanto relative ad operazioni che le stesse non potevano avere realizzato.
Le fornitrici, infatti, non disponevano di alcuna attrezzatura o personale; rivendevano le auto a prezzi inferiori a quelli pagati per l’ acquisto e non avevano capacità finanziaria, tanto che le loro vendite si caratterizzavano per l ‘ anticipo immediato di tutto il prezzo da parte degli acquirenti italiani, sì da consentire loro di saldare l ‘ acquisto a monte. In definitiva, la loro remunerazione per l’operazione consisteva nell’incassare l’IVA .
In particolare, le fatture emesse nei confronti della RAGIONE_SOCIALE dalla prima di tali società (RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) ammontavano, per il regime IVA normale ad €. 146.150,00 (euro centoquarantaseimilacentocinquanta/00) e ad €. 16.500,00 (euro sedicimilacinquecento/00) per quanto riguarda il regime IVA del margine,
mentre la fattura emessa dalla seconda delle suddette società (RAGIONE_SOCIALE Di Palma RAGIONE_SOCIALE) ammontava ad € . 18.952,00 (euro diciottomilanovecentocinquantadue/00), imponibile IVA con aliquota 20%.
Conseguentemente, in capo alla società RAGIONE_SOCIALE veniva recuperato un maggiore imponibile complessivo di €. 201.602,00 (euro duecentounomilaseicentodue/00), per una maggiore IRAP di €. 11.004,00 (euro undicimilaquattro/00), nonché una maggiore IVA di € . 38.759,00 (euro trentottomilasettecentocinquantanove/00), oltre sanzioni ed interessi.
Il meccanismo in cui le operazioni si inserivano era dettagliatamente descritto nel p.v.c. redatto il 10 maggio 2006 dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Torino 3, congiuntamente con l’Agenzia delle Dogane (Circoscrizione Doganale di Torino) e dal p.v.c. del 15 ottobre 2009, redatto dalla Guardia di Finanza, Tenenza di Termoli: esso corrispondeva al classico fenomeno della cd. frode-carosello, con intermediazione fittizia nella vendita di veicoli senza versamento dell’IVA, apparente rivendita ad acquirente italiano a prezzo concorrenzialmente più vantaggioso e con fatturazione di IVA che poi veniva incassata dall’intermediario.
2.- La società contribuente e i suoi soci ricorrevano separatamente dinanzi alla CTP di Roma che accoglieva tutti i ricorsi affermando che mancassero sufficienti indizi di operazioni soggettivamente fittizie e che, quindi, i ricorrenti non potevano essere considerati a conoscenza della frode.
3.La CTR del Lazio (Roma), decidendo sugli appelli dell’amministrazione finanziaria, all’esito della riunione, li rigettava, osservando che: – i contribuenti si erano limitati ad acquistare gli autoveicoli dai fornitori che, a loro volta, li avevano acquistati in via intracomunitaria e li avevano, poi, rivenduti con uno sconto; – i contribuenti avevano versato regolarmente l’IVA; – i contribuenti non potevano sapere che i fornitori avrebbero omesso il versamento dell’IVA all’erario; – lo sconto non era elemento di sospetto perché trattavasi di pratica diffusa nel mercato; l’amministrazione finanziaria non aveva provato né aveva offerto elementi indiziari valevoli a ritenere che i contribuenti fossero stati informati o fossero comunque a conoscenza del fatto che i fornitori stavano praticando gli sconti perché contavano di recuperare le somme scontate o
non percepite, trattenendo l’IVA che non avrebbero versato all’erario; – i contribuenti non potevano nemmeno sapere che i fornitori italiani avevano venduto i veicoli ad un prezzo inferiore a quello di acquisto intracomunitario, in quanto non avevano alcun accesso né ai relativi contratti di acquisto né alle relative fatture; – era irrilevante che i fornitori non disponessero di organizzazione aziendale simile a quella propria dei concessionari di veicoli, in quanto si trattava di società di servizi la cui attività sembrava concretarsi nell’acquisto sul mercato comunitario, mediante trattative a distanza, di autoveicoli da rivendere in Italia.
4.- Avverso la menzionata sentenza d’appello, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo.
5.- La contribuente società RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata, mentre i soci COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con l’unico motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. e dei principi affermati dalla CGUE nella sentenza del 12 gennaio 2006 (C-354/2003, 355/2003 e 484/2003) e nella sentenza del 6 luglio 2006 (C-439/2004 e 440/2004).
Sostiene, al riguardo, che la CTR avrebbe fatto erronea applicazione dei principi emergenti dalla menzionata giurisprudenza unionale, affermando che: – « Nulla, pertanto, poteva condurre i Contribuenti a ‘prevedere’ (o a ‘scoprire’) che i predetti fornitori non avevano alcuna intenzione di versare (e che non avrebbero versato) all’Erario l’IVA (da essi regolarmente corrisposta) »; – « l’Amministrazione non ha in alcun modo provato – né ha fornito alcun indizio atto ad ingenerare il dubbio o il sospetto – che gli appellati Contribuenti (e gli acquirenti finali) fossero stati informati (o comunque fossero a conoscenza) del fatto che i loro fornitori (RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE) praticavano gli sconti perché contavano di “recuperare” le somme scontate (o non percepite) trattenendo (e dunque non versando) l’IVA per un corrispondente ammontare » (cfr., all’uopo, la sentenza impugnata, alla pag. 7), né che sapessero di acquistare i veicoli a un prezzo inferiore a quello pagato dal fornitore. E
ciò, in quanto, alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale di legittimità, in tema di IVA, nelle cd. frodi carosello – fondate sul mancato versamento dell’imposta incassata da società ‘ cartiere ‘ a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l’interposizione di una o più società filtro (buffer) -il meccanismo dell’operazione e gli scopi che la stessa si propone (acquisizione di materiali a prezzi più contenuti al fine di praticare prezzi di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato), fanno presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all’accordo simulatorio del beneficiario finale. L’IVA assolta dal beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell’intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari.
3.- La censura è fondata.
Va premesso che, in tema di operazioni soggettivamente inesistenti questa Corte, in coerenza con le plurime affermazioni della Corte di Giustizia (Corte di Giustizia UE, 6 settembre 2012, C-324/11; Corte di Giustizia UE, 22 ottobre 2015, C-277/14; Corte di Giustizia UE, 19 ottobre 2017, C-101/16 e, più di recente, Corte di Giustizia UE, 1 dicembre 2022, C-512/21) ha affermato che « qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto » (cfr. , in tal senso ed ‘ ex permultis ‘ Cass. civ., Sez. T, ordinanza n. 3949 del 16 febbraio 2025, non massimata;
Cass. civ., Sez. T, ordinanza n. 13324 del 19 maggio 2025, in corso di massimazione; Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 15369 del 20 luglio 2020, Rv. 658429-01, secondo cui: « In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto. »).
Come chiarito da questa Corte, partendo dalla premessa che ai fini della ripartizione dell’onere della prova occorre considerare che il diniego del diritto di detrazione segna un’eccezione al principio di neutralità dell’IVA, incombe, in primo luogo, sull’Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione e che, una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente. Inoltre, la prova che deve essere fornita dall’Amministrazione, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, si incentra su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale, ossia che il soggetto formale non è quello reale e che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione IVA e, a tale ultimo fine, non è necessaria la prova della partecipazione all’evasione, ma è sufficiente e necessario che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 9851 del 20 aprile 2018, Rv. 647837-01, in motivazione).
Con specifico riguardo alla consapevolezza del contribuente, secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia, deve essere soddisfatta l’esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se non sapeva o non avrebbe potuto sapere che l’operazione si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’IVA (Corte di Giustizia UE, 6 luglio 2006, C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia UE, 21 giugno 2012, C-80/11 e C-142/11; Corte di Giustizia, 22 ottobre 2015, C-277/14).
Sul «tipo» di prova incombente a carico dell’a mministrazione si è precisato che essa può ritenersi raggiunta se quest’ultima fornisce attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice e, dunque, non occorre la prova «certa» e incontrovertibile e che l’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario deve essere ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta all ‘a mministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’IVA e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare (cfr. sempre Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 9851 del 20 aprile 2018, Rv. 647837-01, in motivazione).
Pertanto, sebbene al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali ed operativi anomali dell’operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità ed ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell’imprenditore nel settore del mercato in cui opera e l’aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 24490 del 2 dicembre 2015, non massimata).
In via esemplificativa, poiché la valutazione deve in ogni caso essere ancorata alla concreta vicenda, possono costituire elementi di rilevanza sintomatica: l’acquisto dei beni ad un prezzo inferiore di mercato; la limitatezza dell’eventuale ricarico; la presenza di una varietà e pluralità di soggetti promiscuamente indicati nella documentazione di trasporto e nella fatturazione; la scelta di operare secondo canali paralleli di mercato (che esige una più attenta e approfondita valutazione dei propri interlocutori, proprio per verificarne l’effettività), poco importa se giustificata da esigenze di accelerazione e di margini produttivi; la tempistica dei pagamenti, in ispecie se incrociati od operati su conti esteri a fronte di interlocutori nazionali, ovvero se effettuati in contanti; la qualità del concreto intermediario con il quale sono state intrattenute le operazioni commerciali; il numero, la qualità e la durata delle transazioni, in ispecie a fronte di rapporti contigui e frequentazioni reiterate con i titolari della cartiera, ovvero nel caso in cui il contribuente abbia rapporti commerciali con una pluralità di soggetti aventi la qualità di cartiera (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 9851 del 20 aprile 2018, Rv. 647837-01, in motivazione).
Ne consegue che la sussistenza di indizi, che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni nella sfera dell’emittente, deve indurre l’operatore avveduto ad assumere le opportune informazioni sul soggetto dal quale intenda acquistare beni o servizi (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 21072 del 4 luglio 2022, non massimata; Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 38012 del 2 dicembre 2021, non massimata; Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 34531 del 16 novembre 2021, non massimata). Il contenuto della massima diligenza esigibile nei confronti di un accorto operatore, al fine di non essere parte di una frode IVA, si incentra sulle opportune informazioni circa l’effettiva esistenza del fornitore, da acquisirsi sia direttamente (in relazione alla struttura organizzativa dello stesso), sia indirettamente, attraverso l’esame delle modalità con le quali si è estrinsecato il rapporto commerciale con l’emittente (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 28165 del 27 settembre 2022, non massimata).
Ed invero, l’operazione soggettivamente inesistente si configura quando l’emittente della fattura non sia un soggetto passivo di imposta, nonché quando la falsità delle fatture riguardi operazioni avvenute tra
soggetti diversi da quelli che appaiano nella documentazione; segnatamente, nel caso in cui l’amministrazione finanziaria ritenga che la fattura attenga ad operazioni solo soggettivamente inesistenti, e cioè che la fattura sia stata emessa da soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa rappresentata (e della quale il cessionario o il committente sia stato realmente destinatario), la detraibilità dell’IVA deve essere, in linea di principio, esclusa, venendo a mancare lo stesso principale presupposto della detrazione, costituito dall’effettuazione di un’operazione ai sensi dell’art. 19, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, presupposto da ritenersi carente anche nel caso in cui i termini soggettivi dell’operazione non coincidano con quelli della fatturazione (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 23987 del 13 novembre 2009, Rv. 610032-01; Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 5719 del 12 marzo 2007, Rv. 596605-01). In tal caso, infatti, come evidenziato da questa Corte, l ‘ imposta viene versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo di pagamento dell ‘ imposta, in quanto le fatture sono emesse da un soggetto che non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, da ritenersi dunque ‘ inesistenti ‘ (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 24426 del 30 ottobre 2013, Rv. 629419-01). In sostanza, in caso di emissione di fattura per operazioni inesistenti, l’IVA versata (come previsto dall’art. 21, comma 7, d.P.R. n. 633 del 1972) alla non genuina controparte, va considerata (proprio per le finalità del complessivo sistema IVA) come ‘ fuori conto ‘ , e cioè ‘ isolata ‘ dalla massa di operazioni effettuate ed ‘ estraniata ‘ dal meccanismo di compensazione tra IVA ‘ a valle ‘ ed IVA ‘ a monte ‘ che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 6229 del 13 marzo 2013, Rv. 625538-01 e, più di recente, Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 15369 del 20 luglio 2020, Rv. 658429-01).
Questa Corte ha, poi, precisato che, in tema di evasione di IVA a mezzo di frodi carosello, quando l’operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, l’onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa né assoggettato
all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 10120 del 21 aprile 2017, Rv. 644043-01; Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 26729 del 30 ottobre 2018, Rv. 651219-01; Cass. civ., Sez. T, ordinanza n. 35591 del 20 dicembre 2023, non massimata).
Raggiunta tale prova, incombe sul contribuente l ‘ onere di dimostrare, oltre all’effettività del cedente, la propria buona fede, ossia di « avere agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a far insorgere il sospetto », stante la inesigibilità di ulteriori verifiche (Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 15369 del 20 luglio 2020, Rv. 658429-01). Il contribuente, in altri termini, può dimostrare sia l’anomalia degli elementi posti in evidenza dal fisco, sia l’attività preventiva realizzata, da cui emergeva l’effettività e operatività dell’impresa interposta. Risulta, invece, priva di rilievo tanto la prova sulla regolarità formale delle scritture e sulle evidenze contabili dei pagamenti, quanto sull’inesistenza di un dimostrato vantaggio. E ciò, in quanto le prime circostanze sono già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, mentre l’ultima si riferisce ad un dato di fatto esterno alla fattispecie, inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode (Cass. civ., Sez. T, ordinanza n. 3949 del 16 febbraio 2025, in corso di massimazione). Nessun rilievo assume, poi, la riscontrata congruità dei prezzi e la regolarità formale delle operazioni, poiché il primo costituisce un elemento neutro ai fini della prova della buona fede, e la seconda è addirittura utilizzata proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 33915 del dicembre 2019, Rv. 656602-01; Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 25192 del 24 agosto 2022, non massimata). Né, a tal fine, è sufficiente dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e la fattura, IVA compresa,
effettivamente pagata, poiché trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 17818 del 9 settembre 2016, Rv. 640767-01), ovvero, « di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perché relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode » (cfr. Cass. civ., Sez. 5, ordinanza n. 17153 del 28 giugno 2018, non massimata).
Tanto premesso, nella vicenda in esame, la CTR non ha fatto piena e corretta applicazione dei principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali. I giudici di secondo grado, nella specie, a fronte della contestazione circa l’indebita detrazione IVA da parte della società RAGIONE_SOCIALE in relazione a fatture emesse dalle società fornitrici indicate in ricorso che si erano fittiziamente interposte come « filtro » negli acquisti di autoveicoli praticati dalla contribuente, hanno escluso che l’ amministrazione avesse fornito elementi idonei a dimostrare la conoscenza e/o conoscibilità della frode IVA da parte della società contribuente, affermando genericamente che la società ricorrente aveva provato la sua estraneità alla frode IVA e, comunque, la non consapevolezza della stessa, in quanto non si ravvisava un comportamento colposo della stessa. Ciò senza considerare che, come si evince dal ricorso per cassazione, l’ amministrazione finanziaria aveva evidenziato elementi obbiettivi e specifici verificabili, che, consentendo di sospettare l’esistenza di irregolarità e/o di evasioni nella sfera delle emittenti le fatture, dovevano indurre la società contribuente – usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta – ad assumere le opportune informazioni sull’effettiva esistenza del soggetto (fittiziamente) fornitore della merce (acquistata, per converso, direttamente, dal cedente comunitario): la mancanza di lavoratori dipendenti e di una struttura predisposta al ricevimento delle merci; l’assenza di capacità finanziarie, desumibile, in particolare, dal fatto che l’acquisto da l fornitore comunitario avveniva dopo che il cliente nazionale aveva anticipato tutto l’importo e vendendo automobili ad un prezzo inferiore a quello d’acquisto, con margine di guadagno per l’interposto dato solo dal mancato versamento dell’IVA all’erario, presupposto
imprescindibile della frode. Si tratta di elementi tipici (che danno luogo ad una presunzione di svolgimento di operazioni soggettivamente inesistenti) che comportavano l’inversione dell’onere della prova a carico della società contribuente, nel senso che quest’ultima avrebbe dovuto dimostrare che « non avrebbe potuto sapere » pur avendo utilizzato la massima diligenza esigibile, per un avveduto operatore commerciale del settore di riferimento. Tali elementi, invece, sono stati (illegittimamente) trascurati dalla CTR, con il conseguente errore di diritto, correttamente censurato dall’amministrazione finanziaria odierna ricorrente. Va, infatti, ribadito che, trattandosi di operazioni soggettivamente inesistenti di tipo triangolare (acquisto delle merce da parte della società RAGIONE_SOCIALE direttamente dal fornitore comunitario tramite le imprese cartiere indicate in ricorso ) l’onere probatorio a carico dell ‘a mministrazione finanziaria sulla conoscibilità da parte della contribuente circa la partecipazione ad una frode IVA era soddisfatto dalla dimostrazione della fittizietà del soggetto interposto, mentre la CTR, non facendo una corretta applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio, ha valorizzato elementi circostanziali del tutto irrilevanti e, al contempo, ha omesso di attribuire agli elementi di prova offerti dall’amministrazione finanziaria , la natura di indizi valevoli a generare sospetto circa la realizzazione di operazioni soggettivamente inesistenti con conseguente onere, gravante a carico della contribuente, di fornire dimostrazione circa la propria buona fede derivante dall’utilizzo della massima diligenza esigibile da un accorto operatore commerciale. In particolare, come già sopra chiarito, è irrilevante l’affermazione secondo cui i contribuenti avrebbero regolarmente versato l’IVA , posto che l’IVA assolta dal medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell’intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari (cfr., in tal senso, Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 10167 del 20 giugno 2012, Rv. 623098-01, in motivazione); è apodittica l’affermazione secondo cui i contribuenti non potevano sapere che i fornitori avrebbero omesso il versamento dell’IVA all’erario , giacché era onere proprio dei contribuenti offrire al giudice del merito elementi
probatori valevoli a dimostrare la propria buona fede e l’utilizzo della massima diligenza di cui si è già sopra ampiamente detto, ai fini della menzionata conoscibilità; è errata l’affermazione secondo cui l’amministrazione finanziaria non aveva provato né aveva offerto elementi indiziari valevoli a ritenere che i contribuenti fossero stati informati o fossero comunque a conoscenza del fatto che i fornitori stavano praticando gli sconti perché contavano di recuperare le somme scontate o non percepite, trattenendo l’IVA che non avrebbero versato all’erario , giacché, come già sopra ampiamente chiarito, l’onere d ella prova circa l’utilizzo della massima diligenza esigibile da un accorto operatore commerciale del settore ai fini della conoscibilità della frode IVA era a carico dei contribuenti e non già dell’amministrazione finanziaria ; è apodittica ed errata l’affermazione secondo cui i contribuenti non potevano nemmeno sapere che i fornitori italiani avevano venduto i veicoli ad un prezzo inferiore a quello di acquisto intracomunitario, in quanto non avevano alcun accesso né ai relativi contratti di acquisto né alle relative fatture, giacché, oltre a risultare in contrasto con la ripartizione degli oneri probatori già sopra delineata, nemmeno chiarisce quali fossero gli elementi offerti dai contribuenti e dai quali potesse desumersi siffatta circostanza.
Infine, anche l’affermazione secondo cui sarebbe stato irrilevante che i fornitori non disponessero di organizzazione aziendale simile a quella propria dei concessionari di veicoli, poiché si trattava di società di servizi la cui attività sembrava concretarsi nell’acquisto sul mercato comunitario, mediante trattative a distanza, di autoveicoli da rivendere in Italia, risulta errata in quanto la CTR non ha tenuto conto dei p.v.c. che attestavano l’inesistenza sul mercato delle società fornitrici, omettendo così di considerare che, in tema di accertamenti tributari, il processo verbale di constatazione, redatto dalla Guardia di finanza o dagli altri organi di controllo fiscale, è assistito da fede privilegiata ai sensi dell’art. 2700 c.c., quanto ai fatti in esso descritti e che, per contestare tali fatti, è pertanto necessaria la proposizione della querela di falso e, più in particolare, che « In tema di accertamento tributario, il processo verbale di constatazione ha un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, assumendo così un triplice livello di attendibilità: a) ha fede
privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che ha conosciuto senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale e quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale o alle dichiarazioni a lui rese; b) fa fede fino a prova contraria quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi ed anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi, che è fornita quando la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consente al giudice ed alle parti il controllo e la valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) è comunque un elemento di prova in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, che il giudice in ogni caso valuta, in concorso con gli altri elementi, e disattende solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, considerata la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore » (Cass. civ., Sez. T, ordinanza n. 18420 del 5 luglio 2024, Rv. 671441-01).
4.Dalle considerazioni finora sviluppate, deriva, dunque, l’accoglimento del ricorso.
Deve, conseguentemente, disporsi, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., la cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia uniformandosi ai principi di diritto sopra richiamati e provvedendo, altresì, a statuire sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria,