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Frode carosello: l’onere della prova e la diligenza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3949/2025, ha rigettato il ricorso di un’azienda del settore petrolifero a cui era stata negata la detrazione IVA per operazioni soggettivamente inesistenti nell’ambito di una frode carosello. La Corte ha ribadito che spetta all’Amministrazione finanziaria provare, anche tramite presunzioni, non solo la fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza o la conoscibilità della frode da parte dell’acquirente. Una volta fornita tale prova, l’onere di dimostrare la propria buona fede e l’adozione della massima diligenza si sposta sul contribuente.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode Carosello: Onere della Prova e Diligenza Massima per non Perdere la Detrazione IVA

L’ordinanza n. 3949/2025 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione per tutte le imprese sulla gestione del rischio fiscale, in particolare riguardo alla frode carosello. La decisione chiarisce i confini dell’onere della prova a carico dell’Amministrazione Finanziaria e la diligenza richiesta all’imprenditore per non essere considerato complice, anche inconsapevole, di un meccanismo fraudolento.

I Fatti di Causa: una Contestazione per Operazioni Soggettivamente Inesistenti

Una società operante nel commercio di carburanti si è vista contestare dall’Agenzia delle Entrate l’indebita detrazione dell’IVA relativa all’anno 2015. L’accusa era di aver acquistato carburante da diverse società definite ‘cartiere’, ovvero entità fittizie interposte tra l’acquirente finale e il reale fornitore.

Secondo la ricostruzione dell’Ufficio, queste società cartiere acquistavano il carburante dal fornitore originario senza versare l’IVA, utilizzando false lettere d’intento, per poi rivenderlo a un prezzo inferiore a quello di mercato alla società ricorrente. Quest’ultima, quale destinataria finale, detraeva indebitamente l’imposta, realizzando così il cosiddetto ‘salto d’imposta’, elemento cardine della frode carosello.

La Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione all’Agenzia delle Entrate, ma la società ha deciso di ricorrere in Cassazione, sostenendo che l’Ufficio non avesse provato adeguatamente la sua consapevolezza della frode.

L’Onere della Prova nella Frode Carosello

Il cuore della questione giuridica ruota attorno alla ripartizione dell’onere della prova. Chi deve dimostrare cosa? La Corte di Cassazione, richiamando consolidati principi nazionali e unionali, ha ribadito che l’Amministrazione Finanziaria ha il compito di provare due elementi fondamentali:

1. La fittizietà oggettiva del fornitore: Deve dimostrare che la società cedente è una mera ‘cartiera’, priva di sostanza economica e operativa.
2. La consapevolezza del cessionario: Deve provare che l’acquirente sapeva, o avrebbe dovuto sapere usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’imposta.

È cruciale notare che questa seconda prova può essere fornita anche in via presuntiva, basandosi su ‘elementi oggettivi e specifici’ che avrebbero dovuto mettere in allarme un imprenditore accorto.

La Posizione della Corte di Cassazione

Una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha fornito indizi sufficienti su entrambi i fronti, l’onere probatorio si inverte. Spetta quindi al contribuente dimostrare la propria buona fede e, soprattutto, di aver adottato la ‘massima diligenza esigibile’ per non essere coinvolto nella frode. La Corte ha sottolineato che non è sufficiente una diligenza minima; è necessario un comportamento proattivo e scrupoloso, proporzionato alle circostanze del caso concreto.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto infondato il ricorso della società, confermando la decisione dei giudici di secondo grado. L’Agenzia delle Entrate aveva fornito numerosi elementi indiziari sulla natura fittizia dei fornitori: liquidazioni, mancate presentazioni di bilanci e dichiarazioni fiscali, dati contraddittori, e persino attività commerciali dichiarate non coerenti con la vendita di prodotti petroliferi. Questi erano tutti ‘campanelli d’allarme’ che un operatore mediamente esperto avrebbe dovuto cogliere.

A fronte di questo quadro probatorio, la società non è riuscita a fornire una ‘concreta prova a contrario’. La Cassazione ha specificato che la regolarità formale delle fatture e dei pagamenti, o l’assenza di un vantaggio economico diretto dalla rivendita, non sono elementi sufficienti a dimostrare la buona fede. Queste circostanze, infatti, sono spesso connaturate allo schema fraudolento stesso, che viene costruito per apparire formalmente ineccepibile. L’azienda avrebbe dovuto assumere informazioni aggiuntive sull’effettiva esistenza e operatività dei suoi fornitori, cosa che non ha provato di aver fatto con la necessaria scrupolosità.

Le Conclusioni: Cosa Insegna Questa Sentenza

Questa ordinanza è un monito per tutti gli operatori economici. La lotta alla frode carosello non si basa solo sulla repressione, ma anche sulla prevenzione e sulla responsabilizzazione degli attori di mercato. Per un’azienda, non è sufficiente ‘non sapere’; è necessario dimostrare di aver fatto tutto il possibile per sapere. Controlli superficiali non bastano. Occorre implementare procedure di due diligence sui propri partner commerciali, specialmente in presenza di condizioni anomale (come prezzi significativamente bassi o fornitori di recente costituzione), per verificare la loro reale struttura e operatività. In assenza di tali cautele, il rischio di vedersi disconoscere il diritto alla detrazione IVA e di essere considerati partecipi di una frode diventa estremamente concreto.

Chi deve provare la consapevolezza del contribuente in una frode carosello?
Spetta all’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, non solo la fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’imposta. Tale prova può essere fornita anche in via presuntiva, sulla base di elementi oggettivi e specifici.

Cosa deve fare un’azienda per dimostrare la propria buona fede e non essere coinvolta?
Quando l’Amministrazione fornisce la prova della frode e degli indizi di consapevolezza, grava sul contribuente la prova contraria di aver adoperato la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto nell’evasione. Questo implica assumere opportune informazioni sull’effettiva esistenza e struttura organizzativa del fornitore, specialmente in presenza di anomalie.

La regolarità formale dei pagamenti e delle fatture è sufficiente a provare la buona fede?
No. La Corte ha chiarito che la regolarità formale della contabilità e dei pagamenti non è sufficiente a dimostrare la buona fede, poiché queste circostanze sono spesso pienamente compatibili e anzi strumentali alla riuscita della frode fiscale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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