Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34406 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34406 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10712/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, ex lege domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
– ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente – avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. SALERNO n. 10632/2015 depositata il 26/11/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024 dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
All’esito di una verifica fiscale condotta dal Nucleo di Polizia Tributaria di Salerno sugli anni di imposta 2007 e 2008 nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, veniva notificato atto impositivo con ripresa a tassazione a fini IRES, IRAP ed IVA per il 2008. Nello specifico, l’Amministrazione finanziaria disconosceva dei costi portati in deduzione, ritenendoli frutto di operazioni soggettivamente inesistenti, nell’ambito di una frode ‘a carosello’. Rimasta senza esito la procedura di accertamento con adesione, la società contribuente esperiva ricorso al giudice di prossimità, ove in contraddittorio con l’Ufficio, venivano abbandonate le riprese a tassazione a fini IRES ed IRAP, residuando solo la pretesa relativa all’IVA. La sentenza di primo grado era fa vorevole alla parte contribuente, sull’argomento della buona fede ed estraneità alla frode carosello, come dedotto anche dalla sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, con cui il legale rappresentate della società contribuente vedeva definita la propria posizione in sede penale.
Sull’appello dell’Ufficio, il collegio del gravame confermava la sentenza di primo grado, ritenendola scevra da vizi e di condivisibile motivazione. Donde spicca ricorso per cassazione l’Avvocatura generale dello Stato, affidandosi a due mezzi cassatori, cui replica la parte contribuente con tempestivo controricorso. In prossimità dell’adunanza, il patrono erariale ha altresì depositato memoria ad illustrazione delle proprie ragioni.
CONSIDERATO
Vengono formulati due motivi di ricorso.
Con il primo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione falsa applicazione dell’articolo 2697 del codice civile. Nello specifico la parte pubblica critica la sentenza in scrutinio laddove richiede all’Amministrazione di fornire la prova della consapevole partecipazione dell’acquirente alla frode. In altri termini, una volta
che l’Ufficio abbia dimostrato l’assenza di requisiti imprenditoriali in capo al cedente, spetta al contribuente che ha portato in detrazione l’IVA fornire la prova contraria che l’apparente cedente o prestatore non è un mero soggetto fittiziamente interposto e che l’operazione è stata realmente conclusa con esso senza che possa valere a tal fine la mera regolarità della documentazione contabile.
Il motivo è fondato nei termini che seguono.
1.1. La sentenza in scrutinio professa adesione alla sentenza di primo grado, senza riportarne i passi significativi che ritiene di condividere, donde non si comprende per quali ragioni, nel concreto, non debba ritenersi formata la prova presuntiva richiesta in capo all’Amministrazione finanziaria, attrice in senso sostanziale. Né per quali ragioni debba ritenersi -implicitamentesuperata la presunzione di soggetto interposto in capo a chi non ha le qualità imprenditoriali necessarie per svolgere l’attivit à che dichiara di aver svolto in fattura. Tali qualità ( recte , l’assenza di tali qualità) erano o dovevano essere conosciute dalla parte privata qui controricorrente, applicando l’ordinaria diligenza richiesta in ragione dello specifico settore merceologico-imprenditoriale. Donde deve ritenersi assolto l’onere di prova (presuntiva) a carico dell’Ufficio ed inverte l’onere probatorio la sentenza in scrutinio, integrando il lamentato vizio di violazione di legge.
Ed infatti, in consonanza con gli arresti eurounitari (cfr. e pluribus CGCE C-285/2011 del 6 dicembre 2012), questa Suprema Corte di legittimità -con orientamento consolidato da cui non si vede qui ragione per discostarsi- ha affermato che in tema di IVA, il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune europeo – come ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenze 6 luglio 2006, in C-439/04 e C-440/04, 6 dicembre 2012, in C-285/11, 31 gennaio 2013, in C-642/11) – e non è suscettibile, in linea di principio, di limitazioni. Ne consegue che l’Amministrazione
finanziaria, ove ritenga che il diritto debba essere negato attenendo la fatturazione ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, nella seconda ipotesi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore, fermo restando che, nelle ipotesi più semplici (operazioni soggettivamente inesistente di tipo triangolare), detto onere può esaurirsi, attesa l’immediatezza dei rapporti, nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale, mentre in quelle più complesse di “frode carosello” (contraddistinta da una catena di passaggi, in cui sono riscontrabili fatturazioni per operazioni sia oggettivamente che soggettivamente inesistenti, con strumentali interposizioni anche di società “filtro”) occorre dimostrare gli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente (cfr. Cass. V, n. 24426/2013), affinando l’orientamento con il principio per cui in tema di IVA, in virtù degli artt. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 17 della Direttiva UE 17 maggio 1977, n. 388, osta al riconoscimento del diritto alla relativa detrazione da parte del cessionario, non soltanto la prova del suo coinvolgimento nella frode fiscale, ma anche quella della mera conoscibilità dell’inserimento dell’operazione in un fenomeno criminoso, volto all’evasione fiscale, la quale sussiste ove il cessionario, pur essendo estraneo alle condotte evasive, ne avrebbe potuto acquisire consapevolezza mediante l’impiego della specifica diligenza professionale richiesta all’operatore economico, avuto riguardo alle concrete modalità e alle condizioni di tempo e di luogo in cui si sono svolti i rapporti commerciali, mentre non occorre anche il conseguimento di un effettivo vantaggio (così Cass. V, n. 13803/2014; altresì n. 17818/2016; n. 9851/2018).
Vanno apprezzate, in questo senso, le ragioni esposte dal patrono erariale nella propria memoria illustrativa, ove mira a distinguere la violazione di legge, come inquadramento della fattispecie astratta, rispetto al vizio di motivazione che attiene alla sussunzione del fatto concreto nello schema archetipico.
Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357).
Il primo motivo è quindi fondato e merita accoglimento.
Con il secondo motivo si prospetta ancora censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 654 del codice di procedura penale. Nella sostanza si lamenta che la sentenza in scrutinio abbia fatto leva su ll’assoluzione in sede penale del legale rappresentante della società contribuente in violazione dell’autonomia probatoria e di valutazione che separa i due plessi giurisdizionali.
Il motivo non attinge ad una vera e propria ratio decidendi della sentenza in scrutinio, ma si tratta di uno degli aspetti che andranno integralmente valutati dal collegio di merito nel giudizio di rinvio.
In limine , va rilevato non potersi applicare al caso in esame, definito con sentenza del G.U.P., la novella legislativa che vuole importate nel giudizio tributario -anche di legittimità- le pronunce favorevoli del giudice penale all’esito del dibattimento con una delle formule “di merito” previste dal codice di rito penale: perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso. Ed infatti, l’art. 21-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal d.lgs. n. 87 del 2024, che riconosce efficacia di giudicato nel processo tributario alla sentenza penale dibattimentale irrevocabile di assoluzione, è applicabile, quale ius superveniens , anche ai casi in cui detta sentenza è divenuta irrevocabile prima della operatività di detto articolo e, alla data della sua entrata in vigore, risulta ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli è stato irrevocabilmente assolto, in esito a giudizio dibattimentale, con una delle formule “di merito” previste dal codice di rito penale, perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso (cfr. Cass. T., n. 23570/2024, ma vedasi anche Cass. T., n. 9900/2024).
Nel caso in esame, come già detto, il collegio d’appello ha dedotto argomenti dalla sentenza di assoluzione predibattimentale, ponendoli in bilanciamento con il compendio probatorio generale.
In definitiva il ricorso è fondato per le ragioni attinte dal primo motivo, mentre resta assorbito il secondo, donde la sentenza dev’essere cassata con rinvio al giudice di merito perché si attenga ai principi sopra richiamati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per la Campania -Sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 16/10/2024.