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Frode carosello: l’onere della prova del contribuente

La Corte di Cassazione ha chiarito la ripartizione dell’onere della prova in un caso di frode carosello. Se l’Amministrazione Finanziaria dimostra che il fornitore è una società fittizia (cartiera), spetta al contribuente provare di aver agito con la dovuta diligenza e di essere stato in buona fede, non potendo fare affidamento sulla sola regolarità formale dei documenti contabili. La Corte ha inoltre specificato che un’assoluzione penale predibattimentale non è sufficiente a provare la buona fede nel processo tributario.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode Carosello: Come si Ripartisce l’Onere della Prova tra Fisco e Contribuente

L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame affronta un tema cruciale per le imprese: la detrazione dell’IVA nel contesto di una frode carosello. La decisione chiarisce in modo netto la ripartizione dell’onere della prova tra Amministrazione Finanziaria e contribuente, stabilendo che la semplice regolarità formale dei documenti non è sufficiente a salvarsi dalle conseguenze di operazioni fraudolente.

I Fatti di Causa

Una società si è vista notificare un atto impositivo che negava la deduzione di alcuni costi e la detrazione della relativa IVA, in quanto ritenuti frutto di operazioni soggettivamente inesistenti. Tali operazioni si inserivano, secondo l’Amministrazione Finanziaria, in una complessa frode carosello.
Nei primi gradi di giudizio, la società aveva ottenuto ragione. I giudici di merito avevano considerato provata la sua buona fede e l’estraneità alla frode, valorizzando anche una sentenza di assoluzione penale ottenuta dal legale rappresentante della società perché “il fatto non costituisce reato”. L’Agenzia delle Entrate, non condividendo tale impostazione, ha proposto ricorso per Cassazione.

La Questione Giuridica: Chi Deve Provare Cosa?

Il cuore della controversia verteva sull’articolo 2697 del codice civile, che disciplina l’onere della prova. L’Agenzia sosteneva che, una volta dimostrato con presunzioni che il fornitore era una società fittizia (una “cartiera” priva di requisiti imprenditoriali), l’onere di provare la propria buona fede e la reale esistenza dell’operazione si spostasse sul contribuente. Quest’ultimo, secondo il Fisco, non poteva limitarsi a esibire fatture e documentazione contabile formalmente corrette.

La Decisione della Cassazione sull’onere della prova nella frode carosello

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ribaltando la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno riaffermato un principio consolidato a livello nazionale ed europeo: il diritto alla detrazione dell’IVA non è illimitato. Può essere negato se il contribuente sapeva, o avrebbe dovuto sapere con l’uso dell’ordinaria diligenza professionale, che l’operazione si inseriva in un’evasione fiscale.

La Corte ha chiarito la dinamica probatoria:
1. L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere iniziale di provare, anche tramite presunzioni semplici, gli elementi di fatto che caratterizzano la frode.
2. Tale onere può ritenersi assolto quando il Fisco dimostra che il cedente (il fornitore) è un soggetto fittizio, privo della struttura operativa e commerciale necessaria per l’attività dichiarata.
3. A questo punto, l’onere si inverte e passa al contribuente (l’acquirente). Spetta a quest’ultimo dimostrare di non essere stato a conoscenza della frode e di aver agito con la massima diligenza, adottando tutte le cautele ragionevolmente esigibili da un operatore economico accorto. La mera regolarità contabile non è sufficiente a superare questa prova.

L’Irrilevanza dell’Assoluzione Penale

La Corte ha inoltre precisato che la sentenza di assoluzione penale, nel caso specifico, non era determinante. Essendo stata emessa al termine di un’udienza preliminare e non di un dibattimento completo, non poteva avere efficacia vincolante nel giudizio tributario, che gode di autonomia probatoria e valutativa. I giudici tributari devono quindi condurre una valutazione indipendente degli elementi di prova, senza essere legati all’esito del processo penale.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla necessità di bilanciare il principio fondamentale della neutralità dell’IVA con l’esigenza di contrastare le frodi fiscali. Negare la detrazione a chi, pur non partecipando attivamente alla frode, ha colpevolmente omesso i controlli necessari per accorgersene, è una misura indispensabile per proteggere l’integrità del sistema fiscale. La diligenza richiesta non è generica, ma specifica e professionale, adeguata al settore di mercato, alle condizioni e alle modalità concrete in cui si sono svolti i rapporti commerciali. Di fatto, si chiede all’imprenditore di essere un guardiano attivo della legalità nelle proprie transazioni commerciali.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un monito importante per tutte le imprese. Per garantire il diritto alla detrazione dell’IVA, non basta assicurarsi che le fatture siano formalmente corrette. È fondamentale adottare procedure di verifica e controllo sui propri partner commerciali, specialmente in presenza di condizioni anomale (prezzi troppo bassi, modalità di pagamento inusuali, etc.). In caso di contestazione per frode carosello, dimostrare di aver agito con la massima diligenza professionale diventa l’unica via per difendere la propria posizione e non subire le gravi conseguenze economiche derivanti dal disconoscimento dell’IVA a credito.

In una frode carosello, chi deve provare la malafede del contribuente?
Inizialmente, l’Amministrazione Finanziaria deve provare gli elementi della frode, ad esempio dimostrando che il fornitore è una società fittizia. Una volta fornita questa prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza e di non essere stato a conoscenza (o di non aver potuto conoscere) della frode.

La semplice regolarità delle fatture è sufficiente per dimostrare la buona fede e detrarre l’IVA?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la mera regolarità della documentazione contabile non è sufficiente a provare la buona fede quando vi sono prove presuntive di una frode. Il contribuente deve dimostrare di aver adottato una diligenza professionale specifica per verificare la sostanza dell’operazione e l’affidabilità del fornitore.

Una sentenza di assoluzione in sede penale ha automaticamente effetto nel processo tributario?
Non necessariamente. La Corte ha chiarito che, soprattutto se l’assoluzione avviene in una fase predibattimentale, questa non ha efficacia vincolante nel giudizio tributario. I due processi sono autonomi e il giudice tributario deve condurre una propria valutazione indipendente delle prove.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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