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Frode carosello: la prova della buona fede del cessionario

La Corte di Cassazione ha chiarito la ripartizione dell’onere della prova in materia di frode carosello e operazioni soggettivamente inesistenti. L’Amministrazione finanziaria deve fornire indizi gravi, precisi e concordanti sulla consapevolezza dell’acquirente, il quale, a sua volta, deve dimostrare di aver usato la massima diligenza. La Corte ha cassato la decisione di merito che aveva valutato gli indizi in modo ‘atomistico’, ovvero isolato, senza considerarli nel loro complesso, ritenendo erroneamente che l’assenza di un prezzo anomalo fosse sufficiente a provare la buona fede dell’acquirente a fronte di numerosi altri campanelli d’allarme.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode carosello: come provare la buona fede per detrarre l’IVA?

L’acquisto di beni da un fornitore che si rivela essere una società ‘cartiera’ può costare caro all’imprenditore. In un caso di frode carosello, l’Amministrazione finanziaria può infatti contestare la detrazione dell’IVA, anche se la merce è stata effettivamente ricevuta e pagata. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi fondamentali sull’onere della prova, chiarendo che non basta un singolo elemento a favore dell’acquirente per dimostrarne la buona fede, ma occorre una valutazione complessiva di tutti gli indizi. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dai giudici.

I Fatti di Causa

Una società operante nel commercio di autoveicoli si vedeva recapitare un avviso di accertamento con cui l’Amministrazione finanziaria recuperava l’IVA indebitamente detratta per l’anno d’imposta 2011. Secondo l’Ufficio, le fatture contestate provenivano da una cosiddetta ‘società cartiera’ (o missing trader), un’entità priva di una reale struttura operativa, creata al solo scopo di evadere l’IVA nell’ambito di una frode carosello.

L’Amministrazione finanziaria aveva raccolto numerosi indizi a sostegno della propria tesi: il fornitore non presentava dichiarazioni, era privo di una sede operativa e di personale, e l’impresa acquirente aveva avuto contatti solo telefonici con persone di cui conosceva solo il nome di battesimo. Inoltre, le consegne degli autoveicoli avvenivano ‘al volo’ presso il deposito di una nota società di autonoleggio e una visura camerale, che l’acquirente stesso aveva acquisito, mostrava l’assenza di sedi operative.

Nonostante ciò, la Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello della società contribuente, ritenendo che la sua buona fede non fosse stata adeguatamente smentita. L’Amministrazione finanziaria proponeva quindi ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e la frode carosello

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, cassando con rinvio la sentenza della Commissione tributaria regionale. I giudici di legittimità hanno censurato la decisione impugnata per aver effettuato una valutazione ‘atomistica’ e contraddittoria degli elementi probatori. In sostanza, il giudice di secondo grado si era concentrato unicamente sul fatto che il prezzo delle vetture acquistate non fosse palesemente anomalo, trascurando tutti gli altri gravi indizi che avrebbero dovuto allertare un operatore commerciale diligente.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha ribadito i consolidati principi in materia di ripartizione dell’onere della prova nelle contestazioni di operazioni soggettivamente inesistenti. L’onere primario spetta all’Amministrazione finanziaria, che deve provare, anche tramite presunzioni, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche che l’acquirente ‘sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza’, di essere parte di un’evasione fiscale.

Una volta che l’Ufficio fornisce un quadro indiziario solido (come nel caso di specie), l’onere si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto nella frode carosello. La semplice regolarità formale della contabilità o dei pagamenti non è sufficiente.

L’errore capitale della Commissione regionale è stato quello di isolare un singolo elemento (il prezzo non anomalo) dal contesto generale, ritenendolo, del tutto apoditticamente, decisivo per escludere la consapevolezza della frode. La Corte di Cassazione ha invece sottolineato che gli indizi vanno valutati nel loro complesso. La stessa Commissione regionale, in modo contraddittorio, aveva ammesso che ‘la diligenza dell’acquirente si è arrestata su una soglia non particolarmente elevata’, riconoscendo implicitamente la presenza di segnali di allarme che erano stati colpevolmente ignorati.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa pronuncia rafforza un principio fondamentale per la tutela degli operatori economici onesti: la necessità di una scrupolosa due diligence sui propri partner commerciali. Non è sufficiente verificare la partita IVA o acquisire una visura camerale; è indispensabile valutare la sostanza economica del fornitore. La mancanza di una sede operativa, l’assenza di personale, modalità di contatto e consegna anomale sono tutti campanelli d’allarme che non possono essere ignorati. In un contenzioso tributario relativo a una frode carosello, il giudice deve valutare l’intero quadro probatorio e non può assolvere il contribuente basandosi su un singolo elemento favorevole, se questo è contraddetto da una pluralità di indizi di segno opposto. Per le imprese, la lezione è chiara: la prudenza e la verifica sostanziale dei fornitori non sono un optional, ma un requisito essenziale per evitare di essere coinvolti, anche inconsapevolmente, in complesse frodi fiscali con conseguenze patrimoniali gravissime.

In una frode carosello, chi deve provare la malafede dell’acquirente?
Inizialmente, l’onere della prova spetta all’Amministrazione finanziaria, che deve dimostrare, anche tramite presunzioni, l’esistenza della frode e gli elementi oggettivi dai quali si possa desumere che l’acquirente fosse a conoscenza o avrebbe dovuto conoscere, usando l’ordinaria diligenza, l’evasione fiscale. Una volta fornita questa prova, l’onere si sposta sul contribuente.

Cosa deve fare un’impresa per dimostrare la propria buona fede quando acquista beni?
L’impresa deve provare di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolta in un’operazione fraudolenta. La sola regolarità della contabilità e dei pagamenti non è sufficiente. È necessario dimostrare di aver effettuato controlli sostanziali sulla reale operatività del fornitore, specialmente in presenza di segnali anomali.

È sufficiente che il prezzo di acquisto di un bene non sia anomalo per escludere il coinvolgimento in una frode?
No. Secondo la Corte, l’assenza di un prezzo anomalo è solo uno degli elementi da valutare e non può, da solo, dimostrare la buona fede dell’acquirente se sono presenti numerosi altri indizi di segno contrario (es. fornitore senza sede operativa, contatti anomali). Gli indizi devono essere valutati nel loro complesso e non in modo isolato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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