Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10051 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10051 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10526/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimato- per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 1226/2022, depositata il 3 novembre 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -All’esito del controllo effettuato a carico della RAGIONE_SOCIALE, emergeva che la stessa si manifestava con il ruolo di missing trader nell’ambio di un’attività fraudolenta consistente nell’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. Nella fattispecie, constatata l’assenza di qualsiasi adempimento dichiarativo da parte del soggetto ultimo riferito, nonché l’assenza d i una sede operativa o di una benché minima struttura, sia materiale che personale, finalizzata all’esercizio di attività di impresa, la stessa risultava effettuare ‘ingenti acquisti da fornitori residenti in sospensione di imposta, attraverso l’indebito utilizzo di lettere di intento … con successiva rivendita degli autoveicoli praticando il sottocosto ed omettendo di effettuare i dovuti versamenti Iva’. Nell’ambito di tale attività istruttoria emergeva che l’odierna contribuente, RAGIONE_SOCIALE, era cliente della predetta cartiera e che negli anni 2011 e 2012 aveva compiuto bonifici bancari in favore della medesima di centinaia di migliaia di euro. In base alla segnalazione compiuta dalla direzione regionale del Lazio, con processo verbale di constatazione del 21 ottobre 2016, l’Ufficio accertava che le operazioni documentate dalle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE erano soggettivamente inesistenti. In base a tale processo verbale di constatazione, con avviso di accertamento T8F030400256-2019, l’Ufficio ha recuperato la detrazione IVA indebitamente compiuta per l’anno d’imposta 2011.
La società ha proposto ricorso alla Commissione tributaria provinciale, sostenendo l ‘ effettività delle compravendite con la RAGIONE_SOCIALE e, comunque, la propria buona fede.
Ha resistito l’Ufficio, evidenziando i numerosi elementi di fatto da cui si desumeva la natura fittizia delle operazioni e la piena consapevolezza del coinvolgimento della contribuente nella frode fiscale.
Con sentenza n. 343/1/2019 la Commissione tributaria provinciale ha respinto il ricorso della contribuente.
-La società ha proposto appello.
L ‘Ufficio ha resistito in giudizio.
Con sentenza n. 1226/04/22, depositata il 3 novembre 2022, la Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello della società.
-L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La contribuente non ha svolto attività difensiva.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 19 e art. 54, comma 2 del d .P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e dell’art. 2697 c.c., in materia di operazioni inesistenti, in relazione all’art 360, 1 comma, n. 3 c.p.c. L ‘Ufficio ha disconosciuto la detrazione IVA in ragione dell ‘ inesistenza delle operazioni documentate con le fatture contestate e del coinvolgimento soggettivo della contribuente nella operazione fraudolenta. Le fatture emesse sono state ritenuta fittizie per una serie di elementi, quali il carattere antieconomico delle operazioni poste in essere, l’assenza di personale e strutture , il coinvolgimento della contribuente da una serie di fatti in parte richiamati nella stessa motivazione della sentenza impugnata (rapporti intercorsi soltanto telefonicamente con persone conosciute soltanto con il nome, consegne ‘al volo’ presso il deposi to della Maggiore a Fiumicino, persino acquisizione di visura camerale da cui il venditore risultava privo di sedi operative e personale). A fronte di tali elementi, la Commissione tributaria regionale ha ritenuto di escludere il disconoscimento dell’I VA sebbene la diligenza dell’acquirente si fosse arrestata su una soglia non particolarmente
elevata, in contrasto con il pacifico orientamento della Suprema Corte e di quella unionale.
Con il secondo motivo si deduce la violazione degli art. 2727 e 2729 c.c. e 116 c.p.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Secondo quanto dedotto, sarebbe pacifico che la ricostruzione operata dall’Ufficio era basata su molteplici elementi di fatto ed in particolare su una ricostruzione nel suo complesso. A tal fine vengono riportati alcuni stralci della motivazione dell’avviso di accertamento. Si evidenzia che il giudice del gravame, pur dando atto della ricostruzione, che sembrerebbe condividere, inspiegabilmente decide la causa esclusivamente sulla considerazione che le tre operazioni di compravendita addotte ad esempio nel processo verbale di constatazione non sarebbero avvenute a un prezzo insolitamente basso, tale da indurre in sospetto il compratore. La Commissione tributaria regionale si soffermerebbe soltanto su alcuni fatti singolarmente, omettendo di esaminarli nel loro complesso e di valutarne l’efficacia indiziante nell’insieme.
1.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono fondati.
In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non
essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass., Sez. V, 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27566).
L ‘Amministrazione finanziaria ha pertanto l’onere di provare l’oggettiva fittizietà del fornitore ed è tenuta a provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta. Va però precisato la prova può essere anche solo indiziaria e quanto alla ‘consapevolezza del destinatario’ l’oggetto specifico dell’onere incombente sull’erario non è costituito dalla prova della partecipazione del soggetto all’accordo criminoso né dalla prova della sua piena consapevolezza della frode ma solo che il contribuente ‘sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale’. In altri termini, non è richiesta la dimostrazione di un puntuale elemento volitivo o, anche, la coscienza e volontà della partecipazione e/o dell’esistenza della frode ma l’osservanza di un parametro di diligenza rapportato alla professionalità richiesta per l’attività svolta e al contesto.
Le modalità per assolvere a tale onere da parte dell’Ufficio non possono tradursi nel solo fatto che il fornitore sia fittizio, elemento che ha sì idoneità probatoria ma va suffragato da obbiettivi riscontri, quali, ad esempio, l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti.
Correlativamente, sorge in capo al contribuente l’onere della prova contraria, ossia che il fornitore non è fittizio e che egli ha agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale perché ha adoperato – per non essere coinvolto in una tale situazione – la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo
criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto.
Quali mezzi di prova utili è però escluso che siano invocabili la regolarità della contabilità, la regolarità e congruità dei pagamenti e la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi. Questo perché si tratta di circostanze – le prime – già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente (e relative a dati e documenti facilmente falsificabili), e l’ultima – perché riferita ad un dato di fatto esterno alla fattispecie ed inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode.
Nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale ha fatto malgoverno delle disposizioni richiamate, affrontando atomisticamente i fatti dedotti in giudizio, soffermandosi su tre vetture oggetto dell’accertamento, senza giungere a una lettura compiuta del quadro di insieme delle risultanze istruttorie. Dalla lettura della motivazione emerge altresì la contraddittorietà sulla questione della diligenza, affermandosi da un lato che « la diligenza dell’acquirente -oggi appellante- si è arrestata su una soglia non particolarmente elevata » -richiamando a sostegno di tale affermazione alcuni elementi che facevano dubitare della sua buona fede ( sede non ‘operativa’ risultante dalla visura catastale; contatti telefonici con persone conosciute solo per nome; numeri di telefono usati per le trattative che non sono risultati di pertinenza della ditta venditrice; consegne che avvenivano in “appoggio” a un deposito della RAGIONE_SOCIALE.p.a.) -ma ritenendo, in seguito, del tutto apoditticamente, che alla luce della circostanza dell’assenza di un prezzo anomalo delle tre vetture oggetto di compravendita, gli stessi indici rivelatori « non appaiono univocamente dimostrativi della consapevolezza del contribuente di partecipare ad una “frode carosello” ».
-La sentenza va dunque cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, per l’ulteriore esame.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione