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Frode carosello: la Cassazione sui crediti IVA

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 29292/2025, si è pronunciata su un complesso caso di frode carosello, confermando l’indetraibilità dell’IVA per una società pienamente consapevole di partecipare a un sistema fraudolento. L’ordinanza chiarisce anche l’applicazione delle sanzioni per l’indebita compensazione di crediti IVA inesistenti, annullandole per un’annualità a seguito dell’annullamento definitivo dell’accertamento presupposto e rinviando alla commissione tributaria regionale per un’altra annualità, al fine di applicare il principio del ‘favor rei’, ovvero la sanzione più favorevole al contribuente tra quelle succedutesi nel tempo.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode carosello e crediti IVA: quando la consapevolezza costa caro

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata ad affrontare il tema della frode carosello, stabilendo principi chiari sulla responsabilità del contribuente e sulla detraibilità dei crediti IVA. Questa pronuncia è fondamentale per le imprese, poiché delinea i confini della diligenza richiesta per non essere considerati complici in schemi fraudolenti, con conseguenze fiscali e sanzionatorie molto pesanti.

I fatti di causa: una complessa operazione commerciale

Il caso esaminato riguarda una società a responsabilità limitata operante nel settore commerciale. Secondo l’Amministrazione Finanziaria, la società era coinvolta in un meccanismo di frode IVA basato su operazioni soggettivamente inesistenti. In sintesi, la società acquistava merce da un primo fornitore per poi rivenderla, in regime di sospensione d’imposta, ad altre società che si qualificavano come ‘esportatori abituali’ tramite dichiarazioni d’intenti. Queste ultime, a loro volta, rivendevano la stessa merce al fornitore iniziale, chiudendo il cerchio. L’Agenzia delle Entrate ha contestato la detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti, ritenendo la società un partecipante consapevole della frode.

La decisione della Cassazione sulla frode carosello

La Corte Suprema ha rigettato il ricorso della società relativo all’avviso di accertamento per l’IVA 2009. I giudici hanno confermato la ricostruzione dei tribunali di merito, secondo cui la società non era una vittima inconsapevole, ma un anello fondamentale dello schema fraudolento. La Cassazione ha sottolineato che la prova della partecipazione alla frode può essere desunta anche da elementi presuntivi, gravi, precisi e concordanti.

Nel caso specifico, sono stati considerati indizi schiaccianti:

1. La natura circolare delle operazioni, con la merce che tornava al venditore originario.
2. La mancata prova della consegna effettiva della merce.
3. L’assenza di verifica da parte della società sulla reale qualifica di esportatori abituali dei suoi acquirenti.
4. L’omessa indicazione in fattura degli estremi delle dichiarazioni d’intenti, un obbligo formale la cui violazione è stata interpretata come un segnale di malafede e di mancata diligenza.

Di conseguenza, la Corte ha stabilito che, essendo la società consapevole della frode carosello, non aveva diritto a detrarre l’IVA pagata al suo fornitore, poiché tale diritto viene meno quando l’operazione si inserisce in un contesto di evasione fiscale.

L’applicazione delle sanzioni e il principio del ‘favor rei’

La Corte ha poi esaminato un secondo ricorso, relativo alle sanzioni per l’indebita compensazione di crediti IVA inesistenti per gli anni 2008 e 2009. L’esito è stato diverso per le due annualità.

* Anno 2008: Poiché l’accertamento fiscale presupposto per il 2008 era stato definitivamente annullato con una precedente sentenza passata in giudicato, la Corte ha annullato anche le relative sanzioni. Senza l’accertamento del debito, non può esistere la sanzione.
Anno 2009: Dato che l’accertamento per il 2009 è stato confermato, le sanzioni erano astrattamente dovute. Tuttavia, la società aveva lamentato l’errata applicazione della norma sanzionatoria. La Corte ha accolto questo motivo, cassando la sentenza e rinviando il caso al giudice di merito. Il motivo è legato al principio dello ius superveniens (o favor rei*): nel tempo, le norme sulle sanzioni per crediti inesistenti sono cambiate. Il giudice del rinvio dovrà quindi stabilire quale sia la norma più favorevole tra quella originariamente applicata e quella successiva e applicare quest’ultima.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su consolidati principi del diritto tributario, sia nazionale che europeo. In primo luogo, il diritto alla detrazione dell’IVA non è assoluto. Esso presuppone che l’operatore economico agisca in buona fede. Quando il contribuente sa, o avrebbe dovuto sapere usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione in cui è coinvolto fa parte di una frode, perde tale diritto. La Corte ha ritenuto che la concatenazione degli indizi raccolti fosse sufficiente a dimostrare la ‘consapevole partecipazione’ della società al disegno fraudolento.

Per quanto riguarda le sanzioni, la motivazione si basa sul principio di legalità e di retroattività della legge più favorevole, un cardine del nostro ordinamento. Se una sanzione viene modificata dal legislatore in senso più mite, il contribuente ha diritto all’applicazione della nuova disciplina, anche se la violazione è stata commessa prima della sua entrata in vigore. La Corte ha quindi censurato la decisione del giudice di merito per non aver effettuato questa comparazione, demandandogli questo compito specifico in sede di rinvio.

Le conclusioni

L’ordinanza della Cassazione offre importanti spunti di riflessione per le imprese. In primo luogo, ribadisce che la lotta alle frodi IVA richiede un elevato standard di diligenza da parte di tutti gli operatori economici. Non è sufficiente adempiere formalmente agli obblighi (come ricevere una dichiarazione d’intenti), ma è necessario adottare tutte le ‘ragionevoli misure’ per accertarsi della legittimità delle operazioni e della buona fede della controparte, specialmente in presenza di schemi commerciali anomali. In secondo luogo, la pronuncia conferma la piena applicabilità del principio del favor rei in materia di sanzioni tributarie, garantendo che i contribuenti non subiscano trattamenti sanzionatori più gravosi di quelli previsti dalla normativa più recente.

Quando un’azienda perde il diritto alla detrazione dell’IVA?
Un’azienda perde il diritto alla detrazione dell’IVA quando partecipa a operazioni che sa, o avrebbe dovuto sapere utilizzando l’ordinaria diligenza, far parte di una frode fiscale, come una frode carosello. La consapevolezza esclude la buona fede necessaria per beneficiare della detrazione.

La sola ricezione di una dichiarazione d’intenti da un cliente è sufficiente a garantire la legittimità di una vendita in sospensione d’imposta?
No. Secondo la Corte, la semplice esistenza di una dichiarazione d’intenti, anche se formalmente comunicata all’Amministrazione Finanziaria, non è sufficiente. Il venditore ha un ‘onere di diligenza’ che impone di adottare tutte le ragionevoli misure per verificare la veridicità di tale dichiarazione e sospettare eventuali irregolarità, pena essere considerato partecipe della frode.

Se la legge sulle sanzioni fiscali cambia dopo che ho commesso una violazione, quale si applica?
Si applica il principio del ‘favor rei’ (o ‘ius superveniens’). Ciò significa che deve essere applicata la legge successiva se risulta più favorevole al contribuente. Il giudice è tenuto a confrontare la vecchia e la nuova disciplina sanzionatoria e ad applicare quella che prevede la sanzione più mite.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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