Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 29292 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 29292 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19391/2017 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, domicilio digitale EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA RAGIONE_SOCIALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA, che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA CAMPANIA n. 277/28/17 depositata il 16/01/2017.
e sul ricorso riunito iscritto al n. 4941/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, domicilio digitale EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA RAGIONE_SOCIALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA, che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA CAMPANIA n. 5913/13/17 depositata il 27/06/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 277/28/17 del 16/01/2017, la Commissione tributaria regionale della Campania (di seguito CTR) rigettava l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) avverso la sentenza n. 12445/30/15 della Commissione tributaria provinciale di Napoli (di seguito CTP), che aveva a sua volta rigettato il ricorso della società contribuente nei confronti di un avviso di accertamento per IVA relativa all’anno d’imposta 2009.
1.1. Come emerge dalla sentenza impugnata, l’avviso di accertamento era stato emesso in ragione dell’emissione, da parte di PC, di fatture per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti. In particolare, PC avrebbe acquistato da RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) un rilevante quantitativo di merce, poi rivenduto in sospensione d’imposta, in ragione del rilascio di false dichiarazioni d’intenti, ad altre società fisicamente molto vicine alla sede di EOS. Le società acquirenti a loro volta avevano ceduto la merce nuovamente ad EOS.
1.2. La CTR respingeva l’appello della società contribuente evidenziando che: a) non vi era prova della effettiva consegna della merce compravenduta; b) non vi era alcuna indicazione in fattura
delle dichiarazioni d’intenti rilasciate dalle acquirenti e nessuna verifica aveva compiuto PC in ordine alla effettiva possibilità di effettuare cessioni in esenzione o sospensione d’imposta, così garantendosi un cospicuo vantaggio fiscale; c) PC era consapevolmente partecipe della frode IVA perpetrata, avendovi un interesse patrimoniale e compiendo operazioni fittizie sempre uguali (acquisto di merce in blocco da EOS).
RAGIONE_SOCIALE impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis .1 cod. proc. civ.
NOME resisteva con controricorso.
Con altra sentenza n. 5913/13/17 del 27/06/2017, la Commissione tributaria regionale della Campania (di seguito CTR) rigettava l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) avverso la sentenza n. 13285/28/16 della Commissione tributaria provinciale di Napoli (di seguito CTP), che aveva a sua volta rigettato il ricorso della società contribuente nei confronti di un atto di contestazione sanzioni concernenti l’utilizzazione in compensazione di crediti IVA inesistenti.
4.1. Come emerge dalla sentenza impugnata, l’atto di contestazione sanzioni era stato emesso, ai sensi dell’art. 27, comma 18, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, conv. con modif. nella l. 28 gennaio 2009, n. 2, in ragione dell’utilizzazione in compensazione di un credito IVA inesistente. In particolare, il vantato credito IVA si era formato negli anni 2008 e 2009 ed era stato oggetto di recupero da parte dell’Ufficio.
4.2. La CTR respingeva l’appello della società contribuente evidenziando che: a) quanto all’istanza di sospensione, NOME aveva depositato «copia della sentenza di rigetto dell’appello proposto dalla contribuente avverso i provvedimenti di recupero dell’IVA per
operazioni ritenute soggettivamente inesistenti»; b) l’atto di contestazione sanzioni era legittimo in quanto la ricorrente aveva utilizzato in compensazione un credito inesistente; c) il contraddittorio non era necessario in quanto le sanzioni conseguivano a due accertamenti in cui la società contribuente aveva potuto far valere le proprie ragioni e, comunque, quest’ultima ben conosceva l’inesistenza dei crediti portati in compensazione.
RAGIONE_SOCIALE impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis .1 cod. proc. civ.
NOME resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va pregiudizialmente disposta la riunione del ricorso n. 4941/2018 R.G. al ricorso n. 19391/2017 R.G. per evidenti ragioni di connessione, incidendo la definizione di quest’ultimo procedimento sulla definizione del primo.
Va, dunque, esaminato preventivamente il ricorso n. 19391/2017 R.G.
Con il primo motivo di ricorso PC deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 6 e 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (decreto IVA), nonché dell’art. 1510 cod. civ. e dell’art. 1 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per non avere la CTR considerato la prova dell’esistenza delle operazioni fatturate dalla società contribuente e per avere quest’ultima, conseguentemente, il diritto di detrarre l’IVA corrisposta ad EOS.
3.1. Il motivo è inammissibile.
3.2. La CTR ha ricostruito i fatti di causa nel senso che le operazioni tra EOS e PC siano soggettivamente inesistenti, con conseguente insussistenza del diritto di PC di detrarre l’IVA versata ad EOS.
3.3. La prospettazione della società contribuente mira a mettere inammissibilmente in discussione, con la proposizione di una censura di violazione di legge, i fatti accertati dal giudice di appello (e, prima di quest’ultimo, dalla CTP). In buona sostanza, il ricorrente, pur deducendo apparentemente, una violazione di norme di legge, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017; Cass. n. 8758 del 04/07/2017; Cass. n. 8315 del 05/04/2013).
3.4. L’inesistenza delle operazioni poste in essere da PC come accertata dal giudice di merito rende, conseguentemente, indetraibile la relativa IVA ai sensi dell’art. 21, settimo comma, del decreto IVA.
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 8, primo comma, lett. c), del decreto IVA, dell’art. 1, secondo comma, del d.l. 29 dicembre 1983, n. 746, conv. con modif. nella l. 27 febbraio 1984, n. 17, dell’art. 226 ter della direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 (direttiva IVA), dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 10, comma 1, della l. 27 luglio 2000, n. 212, per avere la CTR: a) illegittimamente ritenuto che PC sia tenuta ad effettuare un controllo sulla veridicità delle dichiarazioni d’intenti rese dalle società acquirenti, senza tenere conto che la società contribuente avrebbe comunicato ad NOME le dichiarazioni d’intenti ricevute; b) violato il giudicato esterno intervenuto in una diversa ma analoga vicenda tra le stesse parti, in cui è stata esclusa la responsabilità di PC nel caso di avvenuta trasmissione delle dichiarazioni d’intenti (trasmissione rilevante anche per l’esclusione del contestato re ato); c) non considerato che la mancata indicazione in fattura delle dichiarazioni
d’intenti costituisce un obbligo formale, non specificamente previsto dalla direttiva IVA.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, « in tema d’IVA, nelle cessioni all’esportazione in regime di sospensione d’imposta ex art. 8 d.P.R. n. 633 del 1972, se la dichiarazione d’intenti si riveli ideologicamente falsa, perché emessa da soggetto privo del requisito di esportatore abituale, al cedente non è consentito l’esercizio fraudolento del diritto di valersi del limite di esecutività correlato alla suddetta qualità di esportatore abituale qualora, anche in base ad elementi presuntivi, disponga di elementi tali da sospettare l’esistenza di irregolarità, gravando sul medesimo un onere di diligenza mediante l’adozione di tutte le ragionevoli misure in proprio potere». (Cass. n. 14979 del 15/07/2020; conf. Cass. n. 9586 del 05/04/2019; cfr. anche la motivazione di Cass. n. 34260 del 21/12/2019).
4.3. Orbene, la CTR si è puntualmente conformata ai superiori principi di diritto in quanto, preso atto della sussistenza di dichiarazioni d’intenti non veritiere (circostanza incontestata) ha ritenuto che la loro semplice esistenza (con la conseguente comunicazione formale all’Amministrazione finanziaria) non sia sufficiente a far venir meno l’obbligo di diligenza gravante in capo al cedente; ed ha accertato che detto obbligo non è stato adempiuto, come dimostrato dalla mancata indicazione delle dichiarazioni di intenti in fattura (la quale costituisce, pur sempre, un obbligo formale, legittimamente previsto dalla legge in adesione a quanto consentito dalla direttiva IVA, e violato dalla società contribuente; obbligo dal quale è lecito trarre argomenti di prova, così come fatto dalla CTR)
4.4. Né può dirsi violato il giudicato esterno, non potendo ritenersi tale un accertamento riguardante diverse operazioni relative a un differente anno d’imposta (cfr. Cass. n. 38950 del 07/12/2021).
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dei principi generali sulla neutralità dell’IVA, nonché la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 2729 cod. civ., per avere la CTR fatto malgoverno delle regole che sovrintendono al ragionamento presuntivo e al principio di non contestazione.
5.1. Il motivo è inammissibile.
5.2. Il giudice di appello ha esaminato il materiale probatorio e, quindi, ha ritenuto che: a) la circostanza che le merci siano state originariamente vendute da EOS a PC e rivendute, infine, all’originaria cedente è sostanzialmente incontestata; b) PC ha venduto in blocco tutte e solo le merci di EOS a soggetti che si sono dichiarati, senza esserlo, esportatori abituali, senza che vi fosse prova della effettiva ricezione e consegna di dette merci, sicché è evidente che le merci non siano mai passate per PC; c) PC non ha indicato in fattura gli estremi delle dichiarazioni d’intenti, il che fa presumere il mancato utilizzo dell’ordinaria diligenza nella verifica dell’attività espletata dai propri cessionari e, dunque, la sua malafede; d) PC ha ottenuto un considerevole vantaggio fiscale.
5.2.1. Da tali circostanze la CTR desume la consapevole partecipazione di PC al disegno fraudolento orchestrato da EOS e di cui è parte, con vantaggi fiscali reciproci di tutti i soggetti partecipanti e il conseguente venire meno del diritto di detrazione dell’IVA.
5.3. Trattasi di ragionamento presuntivo corretto e logico, che prende in considerazione elementi aventi sicuramente il carattere degli indizi gravi, precisi e concordanti, rispetto al quale la ricorrente tende a fornire una diversa valutazione dei fatti già oggetto di esame
da parte della CTR, fermo restando che spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 331 del 13/01/2020; Cass. n. 19547 del 04/08/2017; Cass. n. 24679 del 04/11/2013; Cass. n. 27197 del 16/12/2011; Cass. n. 2357 del 07/02/2004).
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 3 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, per non avere la CTR applicato la sanzione più favorevole (dal 90 al 180 per cento anziché dal 100 al 200 per cento) prevista dall’art. 15, comma 1, lett. e), del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 per l’infedele dichiarazione IVA, i cui effetti sono stati anticipati al 01/01/2016 dall’art. 1, comma 133, della l. 28 dicembre 2015, n. 208.
6.1. Il motivo è inammissibile.
6.2. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, « In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, le modifiche apportate dal d.lgs. n. 158 del 2015 non operano in maniera generalizzata in ‘favor rei’, rendendo la sanzione irrogata illegale, sicchè deve escludersi che la mera deduzione, in sede di legittimità, di uno ‘ius superveniens’ più favorevole, senza altra precisazione con riferimento al caso concreto, imponga la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, non solo in ragione della necessaria specificità dei motivi di ricorso ma, soprattutto, per il principio costituzionale di ragionevole durata del processo » (Cass. n. 9505 del 12/04/2017; Cass. n. 28061 del 24/11/2017; Cass. n.
15828 del 15/06/2018; Cass. n. 17143 del 28/06/2018; Cass. n. 31062 del 30/11/2018; Cass. n. 29046 del 11/11/2019; Cass. n. 19286 del 16/09/2020; Cass. n. 577 del 08/01/2024).
6.3. Nel caso di specie, la società contribuente si è limitata ad invocare le sanzioni più favorevoli conseguenti dall’applicazione dello ius superveniens senza alcuna specificazione in ordine alle circostanze del caso concreto e, inoltre, senza specificare se la sanzione in concreto applicata sia stata ricompresa nel minimo o nel massimo edittale, con conseguente palese inammissibilità della censura proposta.
In conclusione, il ricorso n. 19391/2017 R.G. va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del procedimento, che si liquidano come in dispositivo avuto conto di un valore dichiarato della lite di euro 888.613,00.
7.1. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono inoltre le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
A questo punto va esaminato il ricorso riunito n. 4941/2018 R.G., riguardante un atto di contestazione di sanzioni conseguente all’indebita compensazione di crediti IVA inesistenti sia per l’anno d’imposta 2009, oggetto del procedimento n. 19391/2017 R.G., sia per l’anno d’imposta 2008, oggetto di distinto procedimento conclusosi definitivamente davanti alla CTR con sentenza n. 7877/23/17.
Con il terzo motivo di ricorso, che riveste carattere pregiudiziale, PC contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 295 cod. proc. civ. e dell’art. 39, comma 1 bis , del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per mancata sospensione necessaria del processo in attesa della definizione dei procedimenti pregiudicanti.
9.1. Il motivo è inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse.
9.2. È ben vero che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, « va cassata con rinvio la sentenza che decida la causa pregiudicata (nella specie avente ad oggetto l’avviso di irrogazione delle sanzioni) in base alla decisione, non ancora passata in giudicato, della causa pregiudiziale (nella specie avente ad oggetto l’annullamento dell’avviso di accertamento concernente l’indebita detrazione d’imposta per fatturazioni inesistenti, presupposto delle sanzioni applicate) dovendosi, in tale ipotesi, sospendere il processo pregiudicato ex art. 295 c.p.c., atteso che i principi del giudicato esterno consentono di attribuire efficacia riflessa alle sole sentenze definitive » (Cass. n. 331 del 13/01/2021; Cass. n. 26596 del 11/10/2024; Cass. n. 16615 del 07/08/2015).
9.3. Tuttavia, nel caso di specie, l’atto di contestazione sanzioni riguarda, in parte, l’anno 2008 e in parte l’anno 2009. Con riferimento a tale ultimo anno d’imposta, questa Corte ha definito con la presente ordinanza il ricorso n. 19391/2017 R.G., confermando l’atto impositivo impugnato; con riferimento all’anno 2008, invece, la ricorrente ha prodotto sentenza della CTR n. 7877/23/17, con attestazione del passaggio in giudicato, dalla quale risulta l’annullamento dell’accertamento.
9.4. Ne consegue che la ricorrente non ha più interesse alla sospensione dei giudizi pregiudicanti.
10. Tenuto conto dell’esito del giudizio concernente l’avviso di accertamento relativo all’anno 2008, sfavorevole per l’Amministrazione finanziaria, deve concludersi, pronunciando sul ricorso, per l’annullamento delle sanzioni concernenti tale ultimo anno d’imposta (con conseguente annullamento dell’atto di contestazione in parte qua ), senza necessità di esaminare gli altri motivi di ricorso.
10.1. Motivi che, invece, vanno esaminati con riferimento al credito IVA 2009, posta la conferma in questa sede dell’avviso di accertamento relativo a detto anno.
Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 27, comma 18, del d.l. n. 185 del 2008, dell’art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 e dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente trascurato che la norma incriminatrice sarebbe stata abrogata e sostituita dall’art. 13, comma 4 e 5, del d.lgs. n. 471 del 1997, con conseguente non punibilità della condotta.
11.1. Il motivo è fondato nei limiti di cui subito si dirà.
11.2. Secondo un recente arresto delle Sezioni Unite di questa Corte, « In tema di compensazione di crediti o eccedenze d’imposta da parte del contribuente, è applicabile la sanzione di cui all’art. 27, comma 18, d.l. n. 185 del 2008, vigente ratione temporis, ovvero, se più favorevole, quella prevista dall’art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471 del 1997 quando il credito utilizzato è inesistente, condizione che si realizza – alla luce anche dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997, come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015 – allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è
riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972; ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano le sanzioni previste dall’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997 ovvero dall’art. 13, comma 4, d.lgs. n. 471 del 1997 come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015 qualora ratione temporis applicabile » (Cass. S.U. n. 34452 del 11/12/2023).
11.3. Poiché il credito IVA concernente l’anno 2009 è sicuramente un credito inesistente per come definito dalla menzionata sentenza (si veda, in particolar modo, la pag. 15 della motivazione), trova in ipotesi applicazione la sanzione prevista dall’abrogato art. 27, comma 18, del d.l. n. 158 del 2015 ovvero, se più favorevole, la sanzione prevista dall’art. 13, comma 5, del d.lgs. n. 471 del 1997.
11.4. L’applicazione dell’una o dell’altra sanzione è questione di merito che va demandata al giudice del rinvio.
11.5. Da ultimo, va precisato che detta sanzione non può ritenersi assorbita in quella di dichiarazione annuale infedele (come sostenuto dalla ricorrente), essendo le condotte astrattamente prefigurate del tutto diverse: una cosa è la condotta di redazione di una dichiarazione infedele, altra cosa è quella di portare in compensazione il credito d’imposta derivante dalla dichiarazione infedele e accertato come inesistente. Ne consegue che le due condotte coesistono e danno luogo all’applicazione di sanzioni differenti.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. violazione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali della UE e dei principi comunitari in materia di contraddittorio anticipato, per non avere la CTR ritenuto necessario il contraddittorio preventivo, trattandosi di sanzioni in materia di IVA.
12.1. Il motivo è infondato.
12.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, « l’atto di contestazione avente ad oggetto sanzioni amministrative tributarie non deve essere preceduto dal contraddittorio previsto dall’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000, atteso che esso si inserisce nel procedimento di cui all’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997, il quale ha disegnato, con norme speciali, uno specifico spazio di contraddittorio con il contribuente posteriore all’atto di contestazione, ma preventivo rispetto all’eventuale successivo atto di irrogazione della sanzione » (Cass. n. 7620 del 18/03/2021).
12.3. Alla luce del superiore principio di diritto, da cui non v’è ragione di discostarsi, il motivo va, dunque, disatteso.
12.4. In conclusione, con riferimento al procedimento n. 4941/2018 R.G., occorre distinguere il credito concernente l’anno d’imposta 2008 da quello concernente l’anno d’imposta 2009. Nel primo caso, pronunciando sul ricorso, quest’ultimo va accolto e, non essendovi ulteriori questioni di fatto da esaminare, la causa va decisa nel merito, con conseguente annullamento dell’atto di contestazione sanzioni relativo e accoglimento dell’originario ricorso della società contribuente in parte qua ; quanto, invece, all’anno d’imposta 2009, va accolto il primo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigettati gli altri; la sentenza impugnata va, conseguentemente, cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del procedimento.
P.Q.M.
La Corte, riunito il ricorso n. 4941/2018 R.G. al ricorso n. 19391/2017 R.G., così provvede:
a) con riferimento al procedimento n. 19391/2017 R.G., rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della
contro
ricorrente, delle spese del procedimento riunente, liquidate in euro 10.700,00, oltre alle spese di prenotazione a debito;
b) con riferimento al procedimento n. 4941/2018 R.G., pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata relativamente all’anno d’imposta 2008 e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della società contribuente limitatamente al medesimo anno; accoglie, nei termini di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso relativamente all’anno d’imposta 2009, rigettati gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per le spese dell’intero procedimento riunito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato previsto, per il ricorso n. 19391/2017 R.G., a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 23/09/2025.
La Presidente
COGNOME COGNOME