Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21516 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21516 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/07/2025
Oggetto: Tributi
OPERAZIONI SOGGETTIVA MENTI INESISTENTI- C.D. COGNOME
ORDINANZA
Sul ricorso n. 26841 del ruolo generale dell’anno 201 6 proposto
Da
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-ricorrente – contro
Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e concordato preventivo, in persona del curatore pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avv.to NOME COGNOME e dall’Avv.to NOME COGNOME in forza di procura
speciale in calce al controricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’ultimo difensore, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente- per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 2119/12/2016, depositata in data 12 aprile 2016;
Lette le conclusioni scritte del P.G., in persona del sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME di Nocera;
RILEVATO CHE
1.L’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale della Lombardia aveva rigettato l’appello proposto nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, i n persona del legale rappresentante pro tempore , avverso la sentenza n. 10130/17/2014 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano che, previa riunione, aveva accolto i ricorsi proposti dalla suddetta società avverso: 1) due avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio aveva recuperato a tassazione, per gli anni 2006-2007, costi indebitamente dedotti ai fini Ires e Irap e detratti ai fini Iva in relazione a fatture emesse dalla società risultata c.d. RAGIONE_SOCIALE afferenti ad operazioni inesistenti;2) la cartella di pagamento recante l’iscrizione a ruolo delle imposte relative all’accertamento per il 2006.
2. In punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha osservato che: 1) gli avvisi erano nulli in quanto firmati da funzionari, non dirigenti, per delega di dirigenti decaduti a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 37/2015; 2) con riguardo al 2006, l’Amministrazione era decaduta dall’azione accertatrice attesa l’inapplicabilità dell’istituto del raddoppio dei termini, non essendo stata la denuncia penale per uno dei reati di cui al Dlgs. n. 74/2000 presentata alle
Autorità competenti nell’ordinario termine di prescrizione né allegata all’avviso; 3) per l’anno 2007, premesso che , per ammissione dell’Ufficio , le operazioni contestate non erano oggettivamente ma soggettivamente inesistenti e che l’Amministrazione doveva provare non solo la fittizietà del fornitore ma anche ‘colpevolezza’ del cessionario, nella specie, la società contribuente aveva ordinato la merce ad una ditta esistente, ricevuto, pagato e rivenduto la stessa; diversamente da quanto sostenuto dall’Ufficio, la stessa era ‘ in buona fede in quanto non aveva partecipato ad accordi fraudolenti con altre società e aveva adottato misure che si potevano ragionevolmente richiedere per non fare parte di una frode fiscale ‘.
Resiste, con controricorso, il Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e concordato preventivo.
In data 7.5.2025, l’Avv.to NOME COGNOME ha depositato rinuncia al mandato difensivo per il Fallimento.
CONSIDERATO CHE
1.Preliminarmente, con riguardo alla rinuncia al mandato difensivo depositato, in data 7.05.2025, dall’Avv.to NOME COGNOME per il Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e concordato preventivo, va osservato che ‘Per effetto del principio della cosiddetta ” perpetuatio ” dell’ufficio di difensore (di cui è espressione l’art. 85 c.p.c.), nessuna efficacia può dispiegare, nell’ambito del giudizio di cassazione (oltretutto caratterizzato da uno svolgimento per impulso d’ufficio), la sopravvenuta rinuncia che il difensore del ricorrente abbia comunicato alla Corte prima dell’udienza di discussione già fissata’ (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 26429 del 08/11/2017; Sez. 5, Ordinanza n. 7920 del 2023).
2.Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 21 septies della legge n. 241/90 e 42 del d.P.R. n. 600/73 per avere la CTR ritenuto invalidi gli avvisi impugnati in
quanto sottoscritti da funzionari, non dirigenti, delegati da soggetti decaduti dalla qualifica dirigenziale a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 37/2015; con ciò, ad avviso della ricorrente, sovrapponendo il profilo della legittimità del conferimento degli incarichi dirigenziali -questione sulla quale si era pronunciato il Giudice delle leggi con la sentenza n. 37/2015 – a quello della sussistenza del potere di sottoscrivere gli avvisi attraverso la delega di firma dal titolare del potere medesimo; in particolare, come evidenziato dalla ricorrente, nella sentenza n. 37/2015, era stata esclusa ogni ripercussione sulla funzionalità delle Agenzie -di cui la validità degli atti impositivi costituiva manifestazione essenziale- della possibile invalidità degli incarichi dirigenziali previsti dalle disposizioni censurate. Peraltro, la legittimità degli atti sottoscritti da funzionari (non dirigenti) per delega, di dirigenti dell’Agenzia dichiarati decaduti a seguito della richiamata pronuncia, trovava conferma anche nella giurisprudenza di legittimità (è richiamata Cass. 22810/2015) secondo cui, ai fini della validità di un atto impositivo, non rilevava la qualifica dirigenziale o meno dei funzionari sottoscrittori (anche per delega).
2.1.Il motivo è fondato.
2.2.Questa Corte ha chiarito, con orientamento consolidato, che, in tema di accertamento tributario, ai sensi dell’art. 42, primo e terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’Ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’Ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002- 2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito dalla l. n. 44 del 2012 (cfr. ex multis , Cass, sez. 5, Ordinanza n. 12713 del 2024;Cass. 5, n. 5177/2020, ma già n. 22810/2015).
2.3. Nella sentenza impugnata la CTR non si è attenuta al suddetto principio di diritto nel ritenere invalidi gli avvisi di accertamento in questione in quanto
sottoscritti da funzionari, non dirigenti, per delega di dirigenti decaduti a seguito della sentenza n. 37/2015 laddove non era necessaria, ai fini della validità degli atti impositivi, la qualifica dirigenziale dei funzionari sottoscrittori (anche per delega).
3 . Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600/73 e 57, comma 3, del DPR n. 633/72, nella versione vigente ratione temporis , dell’art. 2 della legge n. 74/2000 e dell’art. 331 c.p.p. per avere la CTR ritenuto, con riguardo all’annualità 2006, decaduto l’Ufficio dal potere di accertamento stante la non applicabilità dell’istituto del c.d. raddoppio del termine non essendo stata la denuncia penale per uno dei reati di cui al d.lgs. n. 74/2000 presentata alle Autorità competenti nel termine ordinario per l’accertamento né allegata all’avviso di accertamento laddove l’unica condizione per il raddoppio dei termini era la sussistenza dell’obbligo di denuncia penale indipendentemente dal momento in cui tale obbligo fosse sorto e dal suo adempimento.
3.1.Il motivo è fondato nei termini di seguito indicati.
3.2. Va a tale riguardo ricordato che costituisce, ormai, ius receptum che « In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili ratione temporis , presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte cost. nella sentenza n. 247 del 2011, sicché, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributari o» (v. Cass. 28/04/2021 n. 11156; Cass. 02/07/2020, n. 13481). Si è, anche, precisato che detti termini sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione
di denuncia penale, anche se archiviata o tardiva, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento già notificati, relativi a periodi d ‘ imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 (ed è il caso in esame), incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della L. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui fa salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni e degli inviti a comparire ex art. 5 d.lgs. n. 218 del 1997 già notificati, dimostrando un favor del legislatore per il raddoppio dei termini se non incidente su diritti fondamentali del contribuente, quale il diritto di difesa, in ossequio ai principi costituzionali di cui agli artt. 53 e 112, Cost. (Cass. 19/12/2019, n. 33793; 14/05/2018, n. 11620). In particolare, Cass. n. 36474 del 24/11/2021 ha statuito che «In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dall’art. 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo applicabile ” ratione temporis “, può operare anche se la notizia di reato è emersa dopo la scadenza del termine ordinario di decadenza. Infatti, per la Corte costituzionale (Corte cost., 25 luglio 2011, n. 247) i termini raddoppiati di accertamento non costituiscono una proroga di quelli ordinari, ma sono anch’essi termini fissati direttamente dalla legge, operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva, cioè ove sussista l’obbligo di denuncia penale per i reati tributari, senza che all’Amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione. I termini raddoppiati, quindi, non si innestano su quelli brevi, in base ad una scelta discrezionale degli uffici tributari, ma operano autonomamente allorché sussistano elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale per i reati previsti dal d.lgs. 74/2000. Non può dunque farsi riferimento alla riapertura o alla proroga di termini scaduti, né alla reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti, poiché i termini brevi e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono i diversi termini di accertamento. Pertanto, mentre i termini brevi di cui ai primi due commi dell’art. 57 d.P.R. 633/1972 operano in presenza di violazioni tributarie per le quali non
sorge l’obbligo di denuncia penale di reati, i termini raddoppiati di cui al terzo comma dell’art. 57 operano, invece, in presenza di violazioni tributarie per le quali vi è l’obbligo di denuncia (Sez. 5, Ordinanza n. 34369 del 2024). Il giudice tributario, infatti, deve limitarsi a controllare, se è richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’Amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità, con la precisazione, però, che il correlativo tema di prova – e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario- è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato (Cass., sez. 6-5, 15 aprile 2021, n. 9958).
3.3.Tanto premesso, va evidenziato che, come più volte rilevato da questa Corte, «In tema di accertamento, il cd. “raddoppio dei termini”, previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non può trovare applicazione anche per l’Irap, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali» (Cass. n. 34369 del 2024; 472/2020; n. 10483/2018; n. 20435/2017; n. 4775/2016; n. 26311/2017, n. 23629/2017).
3.4.Nella sentenza impugnata, la CTR -fatta salva l’inapplicabilità del c.d. raddoppio del termine con riguardo alla ripresa ai fini Irap -ha mal governato i principi sopra richiamati nell’escludere l’operatività di tale istituto con riguardo all’avviso di accertamento relativo all’annualità 2006 in quanto alcuna denuncia penale per i reati di cui al d.lgs. n. 74/2000 era stata presentata nel termine ordinario di prescrizione né tantomeno allegata all’atto impositivo ; ciò sebbene, alla luce dell’orientame nto giurisprudenziale consolidato sopra richiamato, per gli avvisi come nella specie, relativi a periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 – già notificati (nel caso di specie nel 2012), non incidessero le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della I. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 128 del 2015, nella parte in cui sono fatti salvi gli effetti degli avvisi già notificati (entro il 2
settembre 2015). Infatti, ai sensi dell’art. 2 comma 3, del d.lgs. n. 128 del 2015 -senza alcun distinguo quanto al momento in cui sia sorto l’obbligo della denuncia – sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili, con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (cfr. Cass., 14 maggio 2018, n. 11620; 16 dicembre 2016, n. 26037; 9 agosto 2016, n. 16728; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 23662 del 2023; Sez. 5, Ordinanza n. 16966 del 2024).
Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 61 e 36, comma 1, n. 4 del d.lgs. n. 546/92 e degli artt. 132 n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. per avere la CTR annullato l’avviso , per l’anno 2007 , con una motivazione apparente, limitandosi -dopo avere dato atto che, nella specie , come ammesso dall’Ufficio, ricorreva un’ipotesi di inesistenza soggettiva e non oggettiva delle operazioni contestate – ad enunc iare una regola astratta relativa al contenuto dell’onere della prova incombente sull’Ufficio, senza una effettiva analisi della fattispecie concreta.
4.1.Il motivo è infondato.
4.2.Come precisato da questa Corte, «ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento» (Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 25456 del 2018; n. 22949 del 2018; Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., sez. 6-5, 28829 del 2021). Nella sentenza impugnata, la CTR dopo avere premesso che ‘ per esplicita ammissione dell’Ufficio le operazioni non erano oggettivamente inesistenti ma esistenti ‘ e , dunque, avere ricondotto la fattispecie in oggetto ad un’ipotesi di inesistenza soggettiva, evidenziando,
altresì, il diverso onere probatorio a carico dell’Ufficio in presenza di fatture soggettivamente inesistenti e di c.d. frodi carosello, potendo quest’ultimo , nel primo caso, limitarsi a dimostrare la fittizietà del fornitore (anche se, in base ad una interpretazione recente della giurisprudenza della Corte di giustizia, sarebbe onerato anche della prova della consapevolezza della frode da parte del contribuente) ed essendo tenuto, nel secondo, a dimostrare anche la partecipazione o la consapevolezza del meccanismo fraudatorio da parte del soggetto verificato – ha fondato il proprio convincimento in ordine alla detraibilità dell’imposta (e deducibilità dei costi) in relazione alle fatture contestate sul rilievo, da un lato, del sostanziale mancato assolvimento da parte dell’Ufficio dell’onere probatorio a suo carico che, nella specie, non poteva esaurirsi nella dimostrazione della sola fittizietà del fornitore, prescindendo da ricerche circa la ‘colpevolezza’ del cessionario – e dall’altro, sul riscontro che ‘ la società ordinava la merce ad una ditta esistente, la riceveva con documenti regolari, la pagava e la rivendeva ‘ per cui ‘ contrariamente a quanto affermato dall’Ufficio il contribuente era in buona fede in quanto non aveva partecipato ad accordi fraudolenti con le altre società e aveva adottato misure che si potevano ragionevolmente richiedere per non fare parte di una frode fiscale ‘. La motivazione è pertanto conforme al ‘minimo costituzionale’ di cui all’art. 111, sesto comma, Cost. (cfr. Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053, nonché, ex multis :
Cass., 07/04/2021, n. 9288; Cass., 30/06/2020, n. 13248 Sez. 5, Ordinanza n. 15889 del 2024).
5. Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 19,21 e 54, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 nonché degli artt. 2697 c.c. e 2729 c.c. per avere la CTR ritenuto, per il 2007, la detraibilità dell’Iva (e la deducibilità dei costi) in relazione alle fatture contestate in quanto l’Ufficio non aveva assolto all’onere probatorio sullo stesso incombente tanto sul piano oggettivo della fittizietà del fornitore che su quello soggettiv o della ‘colpevolezza’ della contribuente e , di conseguenza, quest’ultima era in buona fede; ciò, senza valutare gli elementi indiziari oggettivi emergenti dall’atto impositivo (irreperibilità delle sedi operative della società
fornitrice; mancanza di interlocutori stante l’irreperibilità dell’amministratore al momento delle verifiche; assenza di documentazione contabile; omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e Iva; omessi versamenti; acquisto di beni per importi consistenti da soggetti UE ed immissione di tali merci nel circuito del mercato nazionale; omessa presentazione dei Modelli Intra 2 in relazione agli acquisti intracomunitari) comprovanti la consapevolezza da parte della contribuente della frode contestata; peraltro, ad avviso della ricorrente, la CTR avrebbe ritenuto assolto l’onere probatorio a carico del la società contribuente facendo riferimento ad uno stato soggettivo di ‘buona fede’ dell a stessa (non avendo partecipato ad accordi fraudolenti con altre società e avendo adottato misure che si potevano ragionevolmente richiedere per non fare parte ad una frode fiscale) sebbene tale stato non fosse rilevante in quanto tale ma come ‘impossibilità di non sapere’ di essere coinvolt a in una frode 5.1.Il motivo è fondato.
5.2.Sulla scia della giurisprudenza unionale (Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C277/14), questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto: ‘In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi’ (Cass. Sez. 5, n. 9851 del 20/04/2018; Sez. 5, n. 27566 del
30/10/2018; Cass, sez. 5, 18 dicembre 2019, n. 33598; Cass. Sez. 5, Ord. n. 15369 del 20/07/2020; n. 28562 del 2021); come chiarito da questa Corte (Cass., sez. 5, 20/04/2018, n. 9851), la prova che deve essere fornita dall’Amministrazione in caso di operazioni soggettivamente inesistenti si incentra su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale, ossia che il soggetto formale non è quello reale e che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione I.V.A. e, a tale ultimo fine, non è necessaria la prova della partecipazione all’evasione, ma è sufficiente e necessario che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole.
5.3.Con riguardo a tale ultima circostanza, secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia, deve essere soddisfatta l’esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se non sapeva o non avrebbe potuto sapere che l’operazione si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’I.V.A. (Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, COGNOME e NOME, C-80/11 e C-142/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14).
5.4. Con riguardo al ‘tipo’ di prova incombente sull’Amministrazione si è precisato che essa può ritenersi raggiunta se quest’ultima fornisce attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice e, dunque, non occorre la prova “certa” e incontrovertibile di ogni operazione e dettaglio: l’Amministrazione può assolvere al suo onere probatorio anche mediante presunzioni, come prevede per l’I.V.A. il D.P.R. n. 633 del 1973, art. 54, comma 2, e mediante elementi indiziari (Cass., sez. 5, 5/12/2014, n. 25778; Cass., sez. 5, 24/09/2014, n. 20059; Cass., sez. 6-5, 7/06/2017, n. 14237; Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C439/04 e C-440/14; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, COGNOME e NOME, C-80/11 e C-142/11) che il contribuente al momento in cui ha acquistato il bene o il servizio sapeva o avrebbe dovuto sapere, con
l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente, con l’emissione della relativa fattura, aveva evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei a “porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” (Corte di Giustizia, 6 dicembre 2012, Bonik, C285/11; Corte di Giustizia, Ppuh, C 277/14, par. 50). L’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario deve dunque essere ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta alla Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’I.V.A. e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare (Cass. n. 9851 del 2018, cit .; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27566; Cass., sez. 5, n. 15369 del 2020). Pertanto, sebbene al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali ed operativi anomali dell’operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità ed ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell’imprenditore nel settore del mercato in cui opera e l’aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo (Cass., sez. 5, 2/12/2015, n. 24490). Ne consegue che la sussistenza di indizi, che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni nella sfera dell’emittente, deve indurre l’operatore avveduto ad assumere le opportune informazioni sul soggetto dal quale intenda acquistare beni o servizi (Cass., Sez. V, 4 luglio 2022, n. 21072; Cass., Sez. V, 2 dicembre 2021, n. 38012; Cass., Sez. V, 16 novembre 2021, n. 34531; Cass., Sez. VI, 3 giugno 2021, n. 15356; Cass., Sez. V, 3 marzo 2021, n. 5748; Cass., Sez. V, 5 dicembre 2014, n. 25779). Il contenuto della massima diligenza esigibile nei confronti di un accorto operatore, al fine di non essere parte di una frode IVA, si incentra
sulle opportune informazioni circa l’effettiva esistenza del fornitore, da acquisirsi direttamente (in relazione alla struttura organizzativa dello stesso), sia indirettamente, attraverso l’esame delle modalità con le quali si è estrinsecato il rapporto co mmerciale con l’emittente (Sez. 5, Ordinanza n. 28165 del 2022).
5.5.Raggiunta tale prova, incombe sul contribuente l’onere di dimostrare, oltre all’effettività del cedente, la propria buona fede, ossia di “avere agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto – secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a far insorgere il sospetto”, stante la inesigibilità di ulteriori verifiche (Cass. Sez. U, 12/09/2017, n. 21105; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27566; Cass., sez. 5, 20/07/2020, n. 15369; Cass., sez. 6-5, n. 13409 del 2021).
5.6.Il contribuente, in altri termini, può dimostrare sia l’anomalia degli elementi posti in evidenza dal Fisco, sia l’attività preventiva posta in essere da cui emergeva l’effettività ed operatività dell’impresa interposta. Risulta, invece, priva di rilievo tanto la prova sulla regolarità formale delle scritture e sulle evidenze contabili dei pagamenti, quanto sull’inesistenza di un dimostrato vantaggio, e ciò in quanto le prime circostanze sono già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, mentre l’ultima si riferisce ad un dato di fatto esterno alla fattispecie, inidoneo di per sè a dimostrare l’estraneità alla frode (Cass., sez. 5, 24/09/2014, n. 20059; Cass., sez. 5, 14/01/2015, n. 428; Cass., sez. 6-5, 5/12/2017, n. 29002; Cass., sez. 6-5, n. 13409 del 2021; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14, che afferma che “in circostanze del genere il soggetto passivo deve essere considerato… partecipante a tale evasione, e ciò indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle “). Nessun rilievo assume poi la riscontrata congruità dei prezzi e la regolarità formale delle operazioni , poiché il primo costituisce un elemento neutro ai fini della prova della buona fede, e la seconda è addirittura utilizzata proprio allo
scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. 19/12/2019, n.33915; Cass. sez. 5, n. 25192 del 2022). Né, a tal fine, è sufficiente dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e la fattura, IVA compresa, effettivamente pagata, poiché trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente » (Cass. n. 20059 del 2014; id. n. 10939 e n. 20060 del 2015, n. 17818 del 2016), ovvero, « di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perché relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode» (cfr. Cass. n. 17377 del 2009; id. n. 867 e n. 5912 del 2010; n. 12802 del 2011; n. 428 del 2015; Cass. sez. 5, n. 17153 del 2018).
5.7.Nella specie, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi, in quanto – a fronte della contestazione dell’Ufficio , per il 2007, della indebita detrazione Iva in relazione a fatture emesse da società c.d. cartiera afferenti ad operazioni soggettivamente inesistenti (‘ per stessa ammissione dell’Ufficio le operazioni non sono oggettivamente inesistenti ma esistenti ‘) – dopo avere distinto il diverso onere probatorio a carico dell’Amministrazione nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti e di c.d. frodi carosello – ha ritenuto non assolto l’onere della prova a carico dell’Ufficio che non poteva esaurirsi nella sola dimostrazione della fittizietà del fornitore e, dunque, prescindere da ricerche circa la colpevolezza del cessionario; ciò senza valutare gli elementi oggettivi e specifici addotti dall’Agenzia -emersi dall’indagine a carico della società fornitrice ed evidenziati nell’avviso di accertamento (irreperibilità delle sedi operative della società fatturante RAGIONE_SOCIALE; mancanza di interlocutori stante l’irreperibilità dell’amministratore della stessa al momento delle verifiche; assenza di documentazione contabile; acquisto di beni per importi consistenti da soggetti UE ed immissione di tali merci nel circuito del mercato italiano; omessa presentazione dei Modelli Intra 2 in relazione agli acquisti intracomunitari, omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e Iva e assenza di qualsiasi versamento, v. stralcio dell’avviso di accertamento riprodotto in ricorso ) -quali possibili indizi che consentissero, nel loro complesso, alla contribuente di
sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni nella sfera dell’emittente e dai quali potere desumere, dunque, la conoscenza e/o conoscibilità da parte della cessionaria del meccanismo fraudatorio; al riguardo, questa Corte ha precisato che in tema di evasione dell’IVA a mezzo di frodi carosello, quando l’operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, l’onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non legittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuentecessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta (Cass. n. 10120 del 2017; Cass. sez. 5, n. 35591 del 2023); invero, come precisato da questa Corte, l’Ufficio non deve fornire una prova del tutto incontrovertibile del fatto costitutivo della consapevolezza del contribuente di avere preso parte a una frode IVA, potendo addurre prove meramente indiziarie (Cass., Sez. V, 11 dicembre 2020, n. 28246; Cass., Sez. V, 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., Sez. VI, 28 febbraio 2019, n. 5873), purché il quadro indiziario venga valutato dal giudice del merito nel suo complesso; quanto alla prova a contrario , la CTR si è limitata ad affermare che, in sostanza, ‘ la società contribuente aveva ordinato la merce ad una ditta esistente, ricevuto, pagato e rivenduto la stessa ‘ per cui ‘ diversamente da quanto sostenuto dall’Ufficio, la stessa era ‘in buona fede in quanto non aveva partecipato ad accordi fraudolenti con altre società e aveva adottato misure che si potevano ragionevolmente richiedere per non fare parte di una frode fiscale ‘; con ciò il giudice di appello non si è attenuto ai principi sopra esposti poiché ha ritenuto elemento integrante la condotta rilevante “la partecipazione” alla frode carosello e non ha, invece, verificato se il contribuente, anche in relazione alla qualità professionale ricoperta e alle concrete modalità di scelta e realizzazione
dell’operazione commerciale, ” sapeva o avrebbe dovuto sapere con l’uso dell’ordinaria diligenza ” che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; va, al riguardo, ricordato che, sul piano della prova a contrario non può avere rilievo la regolarità della contabilità, come anche l’effettività dell’esecuzione delle prestazioni e dei relativi pagamenti, posto che oggetto della prova dell’Ufficio (e della prova contraria del contribuente) è una frode commessa a monte della catena distributiva e non dal contribuente (Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., Sez. V, 24 agosto 2018, n. 21104; Cass., Sez. V, 20 aprile 2018, n. 9851).
6.In conclusione, vanno accolti i motivi primo, secondo -nei termini indicati in motivazione -quarto, disatteso il terzo, con cassazione della sentenza impugnata – in relazione ai motivi accolti- e rinvio anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione;
P.Q. M.
La Corte accoglie i motivi primo, secondo – nei termini indicati in motivazionequarto di ricorso, disatteso il terzo, cassa la sentenza impugnata- in relazione ai motivi accolti – e rinvia, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione;
Così deciso in Roma in data 11 giugno 2025