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Frode carosello: la buona fede del contribuente

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha chiarito i principi relativi all’onere della prova in caso di frode carosello. L’Amministrazione Finanziaria deve dimostrare la fittizietà del fornitore e la consapevolezza del cessionario, anche per presunzioni. Il contribuente, per provare la propria buona fede, non può limitarsi a dimostrare la regolarità formale delle operazioni, ma deve provare di aver usato la massima diligenza per non essere coinvolto nella frode. La Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva annullato l’avviso di accertamento basandosi su una valutazione insufficiente degli indizi di frode e della buona fede del contribuente, rinviando la causa per un nuovo esame.

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Pubblicato il 23 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode Carosello e Buona Fede: L’Onere della Prova per il Contribuente

L’ordinanza della Corte di Cassazione in commento affronta un tema cruciale per le imprese: la detraibilità dell’IVA e la deducibilità dei costi in presenza di operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, inserite in una frode carosello. La decisione chiarisce i confini dell’onere probatorio a carico dell’Amministrazione Finanziaria e del contribuente, sottolineando l’importanza della diligenza per dimostrare la propria buona fede.

I Fatti del Caso: Un Accertamento per Operazioni Inesistenti

Una società si vedeva notificare due avvisi di accertamento con cui l’Amministrazione Finanziaria recuperava a tassazione costi ritenuti indebitamente dedotti e IVA detratta per gli anni 2006 e 2007. La contestazione si basava sul fatto che le fatture provenivano da una società considerata una ‘cartiera’, ovvero un soggetto fittizio inserito in una frode fiscale. La Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva dato ragione alla società, annullando gli atti impositivi per diversi motivi, tra cui la decadenza dei termini di accertamento per il 2006 e, per il 2007, il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte del Fisco sulla ‘colpevolezza’ del contribuente.

Le Questioni Giuridiche Affrontate dalla Cassazione

L’Amministrazione Finanziaria ha presentato ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni di diritto. La Corte ha esaminato e deciso su ciascuna di esse, fornendo principi fondamentali.

Validità degli Avvisi di Accertamento

Un primo punto riguardava la validità degli avvisi firmati da funzionari non dirigenti, la cui delega proveniva da dirigenti poi decaduti a seguito di una nota sentenza della Corte Costituzionale. La Cassazione ha ribadito il suo orientamento consolidato: la validità dell’atto non dipende dalla qualifica dirigenziale del firmatario o del delegante, ma dalla sua appartenenza all’area funzionale idonea, rendendo il motivo di ricorso fondato.

Il Raddoppio dei Termini nella frode carosello

Per l’annualità 2006, la CTR aveva ritenuto l’Amministrazione decaduta dall’azione accertatrice, negando l’applicazione del raddoppio dei termini perché la denuncia penale non era stata presentata tempestivamente. La Suprema Corte ha corretto questa interpretazione, affermando che il raddoppio dei termini, nella normativa applicabile all’epoca, scatta automaticamente in presenza dell’obbligo di denuncia penale per reati tributari, indipendentemente dalla sua effettiva presentazione. Pertanto, l’onere del contribuente è contestare la sussistenza dei presupposti per tale obbligo, non la mancata presentazione della denuncia.

Onere della Prova nella Frode Carosello

Il cuore della controversia riguarda l’anno 2007 e la ripartizione dell’onere della prova in caso di operazioni soggettivamente inesistenti. La CTR aveva annullato l’accertamento ritenendo che il Fisco non avesse provato la consapevolezza della società contribuente di partecipare alla frode. La Cassazione ha ritenuto questa motivazione apparente e ha accolto il ricorso dell’Agenzia.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte Suprema ha richiamato i principi consolidati, anche a livello europeo, in materia di frode carosello. L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare due elementi:
1. L’oggettiva fittizietà del fornitore (la natura di ‘cartiera’).
2. La consapevolezza o la conoscibilità della frode da parte del cessionario (il contribuente), dimostrando, anche tramite presunzioni, che quest’ultimo sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione IVA.

Una volta che il Fisco fornisce elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (come l’irreperibilità della sede del fornitore, l’assenza di struttura aziendale, anomalie nei pagamenti, ecc.), l’onere della prova si sposta sul contribuente. Quest’ultimo, per dimostrare la propria buona fede, non può limitarsi a produrre le fatture e la prova dei pagamenti. Deve invece dimostrare di aver adottato la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per verificare la reale esistenza e affidabilità del partner commerciale.

Nel caso specifico, la CTR si era limitata a constatare che la società aveva ordinato, ricevuto e pagato la merce, concludendo per la sua buona fede senza analizzare gli specifici e numerosi indizi di frode forniti dall’Ufficio. La Cassazione ha censurato questo approccio, qualificandolo come motivazione apparente e violazione dei principi sulla ripartizione dell’onere probatorio. Il giudice di merito avrebbe dovuto valutare se, alla luce degli indizi, il contribuente avrebbe dovuto sospettare dell’irregolarità e attivarsi per ottenere maggiori informazioni.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza rafforza un messaggio chiaro per le imprese: la buona fede non si presume, ma si dimostra con un comportamento attivo e diligente. Di fronte a partner commerciali nuovi o a condizioni operative anomale, è indispensabile adottare misure di verifica adeguate. La semplice regolarità formale della documentazione contabile non è sufficiente a proteggere l’impresa dal rischio di essere considerata partecipe, anche solo per negligenza, di una frode carosello. La sentenza evidenzia come il giudice tributario debba condurre un’analisi approfondita di tutti gli elementi indiziari forniti dal Fisco, senza fermarsi a una valutazione superficiale della condotta del contribuente. La causa è stata quindi rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per un nuovo esame che tenga conto dei principi enunciati.

Un avviso di accertamento firmato da un funzionario non dirigente è valido?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la validità di un avviso di accertamento non dipende dalla qualifica dirigenziale del funzionario che lo sottoscrive (o che delega la firma), ma dal fatto che appartenga all’area funzionale prevista dalla legge.

Quando si applica il raddoppio dei termini per l’accertamento fiscale?
Secondo la normativa applicabile ai fatti di causa, il raddoppio dei termini di accertamento si applica automaticamente quando sussiste l’obbligo di denuncia penale per reati tributari. Non è necessaria l’effettiva presentazione della denuncia, ma solo la presenza di seri indizi di reato che ne facciano scattare l’obbligo.

Cosa deve fare un’azienda per dimostrare la propria buona fede in una presunta frode carosello?
Non è sufficiente dimostrare la regolarità formale delle fatture e dei pagamenti. L’azienda deve provare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto. Questo significa dimostrare di aver adottato tutte le misure ragionevoli per verificare l’affidabilità e la reale esistenza del fornitore, specialmente in presenza di indizi che avrebbero potuto far sorgere un sospetto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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