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Frode carosello: Cassazione su prova e costi illeciti

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7956/2024, ha rigettato il ricorso di un’azienda coinvolta in una frode carosello nel settore della telefonia. La Corte ha confermato che l’onere della prova della frode spetta all’Amministrazione Finanziaria, ma il contribuente deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto. È stata inoltre ribadita l’indeducibilità dei costi derivanti da attività qualificabili come reato, anche se il procedimento penale si è concluso con la prescrizione.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frode Carosello: La Cassazione e l’Onere della Prova dell’Imprenditore

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 7956/2024) torna a fare luce su un tema tanto complesso quanto attuale per le imprese: la frode carosello. Questa decisione è fondamentale perché chiarisce con precisione come si distribuisce l’onere della prova tra Fisco e contribuente e affronta la questione della deducibilità dei costi legati a illeciti penali. Vediamo nel dettaglio cosa è stato deciso e quali sono le implicazioni pratiche per gli operatori economici.

I Fatti di Causa: Un’Operazione Sotto la Lente del Fisco

Il caso riguarda una società attiva nel commercio all’ingrosso di prodotti non alimentari, nello specifico telefoni cellulari. L’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento per gli anni 2003 e 2004, contestando alla società di aver partecipato a una frode carosello attraverso operazioni soggettivamente inesistenti. In pratica, secondo il Fisco, l’azienda aveva acquistato merce da un fornitore fittizio, inserendosi consapevolmente in un meccanismo fraudolento finalizzato all’evasione dell’IVA, dell’IRPEG e dell’IRAP.

La Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione all’Agenzia, ritenendo legittimo l’accertamento. La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione, contestando la valutazione delle prove e la violazione di diverse norme procedurali e sostanziali.

La Prova nella Frode Carosello: Come si Distribuisce l’Onere?

Il cuore della controversia, e della decisione della Cassazione, ruota attorno a chi deve provare cosa in un caso di frode carosello. La Corte ha ribadito i principi, ormai consolidati anche a livello europeo, che regolano questa materia.

L’Amministrazione Finanziaria ha il compito di dimostrare, anche tramite indizi, due elementi fondamentali:
1. La natura fittizia del fornitore (la cosiddetta società ‘cartiera’).
2. La consapevolezza del destinatario della fattura (l’acquirente) che l’operazione si inseriva in un’evasione fiscale. Non è richiesta la prova di un accordo criminale, ma basta dimostrare che l’imprenditore sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, della frode.

Una volta che il Fisco ha fornito questi elementi, la palla passa al contribuente. Spetta a quest’ultimo fornire la prova contraria, ovvero dimostrare di:
* Aver agito in totale assenza di consapevolezza della frode.
* Aver adottato la massima diligenza possibile per un operatore accorto al fine di non essere coinvolto in tale situazione.

Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che la Corte di merito avesse correttamente applicato questi principi, valorizzando una serie di indizi gravi, precisi e concordanti forniti dall’Agenzia, come la gestione di fatto di tutte le società coinvolte da parte della stessa persona fisica e la liquidazione della società ricorrente subito dopo l’inizio della verifica fiscale nonostante un enorme aumento del volume d’affari.

Costi da Reato: Indeducibilità Anche in Caso di Prescrizione

Un altro motivo di ricorso riguardava la deducibilità dei costi. La società sosteneva che, essendo il reato tributario stato dichiarato estinto per prescrizione, i relativi costi avrebbero dovuto essere ammessi in deduzione. La Cassazione ha respinto anche questa tesi.

La Corte ha chiarito che la norma applicabile all’epoca dei fatti (art. 14, comma 4 bis, L. 537/1993) impediva la deduzione dei costi riconducibili a fatti qualificabili come reato. La ‘qualificabilità’ è un accertamento che il giudice tributario può compiere in autonomia, a prescindere dall’esistenza o dall’esito di un procedimento penale. La prescrizione, infatti, estingue il reato ma non cancella la natura illecita del fatto storico. Pertanto, i costi sono rimasti indeducibili.

Le Motivazioni

La Cassazione ha motivato il rigetto di tutti i ricorsi basandosi su una logica stringente. I primi motivi sono stati ritenuti inammissibili perché, di fatto, chiedevano alla Corte di rivalutare nel merito le prove, un’attività preclusa in sede di legittimità. Secondo i giudici, la Commissione Tributaria Regionale aveva costruito una motivazione ampia e articolata, non meramente apparente, fondata su una pluralità di elementi probatori che, valutati complessivamente, dimostravano non solo la conoscenza, ma la partecipazione dolosa della società alla frode. Elementi come la coincidenza degli amministratori tra più società del ‘carosello’, l’acquisto di merce solo ‘cartolarmente’ e a prezzi anomali, e la mancanza di prova sull’effettivo utilizzo dei depositi merci, costituivano un quadro probatorio sufficiente a sostenere la pretesa fiscale.

Per quanto riguarda la questione dei costi, la motivazione si è fondata sulla corretta interpretazione della legge applicabile ratione temporis. La prescrizione penale non influisce sulla valutazione tributaria della condotta, la cui natura illecita giustifica l’indeducibilità dei costi ad essa collegati. Infine, anche il motivo relativo alla mancata contabilizzazione delle rimanenze finali è stato respinto, poiché la Corte di merito aveva logicamente ritenuto la questione ‘assorbita’ dalla decisione principale sulla frode, che travolgeva ogni altro aspetto contabile.

Le Conclusioni

La sentenza n. 7956/2024 offre un importante monito per tutti gli imprenditori. La partecipazione a una frode carosello, anche se inconsapevole, può avere conseguenze devastanti dal punto di vista fiscale. Per proteggersi, non è sufficiente avere una contabilità formalmente regolare o effettuare i pagamenti in modo tracciabile. È indispensabile esercitare un controllo attivo e una due diligence approfondita sui propri partner commerciali, specialmente sui fornitori. Verificare la loro struttura operativa, la loro solidità e la coerenza delle condizioni commerciali proposte è un passo cruciale per dimostrare, in caso di contestazione, di aver agito con la massima diligenza e in buona fede, unici baluardi contro le pretese del Fisco in questi contesti fraudolenti.

Chi deve provare l’esistenza di una frode carosello?
L’onere iniziale spetta all’Amministrazione Finanziaria, che deve fornire prove, anche indiziarie, della fittizietà del fornitore e della consapevolezza (o conoscibilità con ordinaria diligenza) dell’acquirente. Successivamente, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare la propria buona fede e diligenza.

Se un’azienda paga regolarmente l’IVA al proprio fornitore, è al riparo da contestazioni per frode carosello?
No. Secondo la sentenza, la regolarità della contabilità e dei pagamenti non è di per sé sufficiente a escludere il coinvolgimento nella frode. Se l’Amministrazione Finanziaria prova che l’imprenditore sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode, la detrazione dell’IVA può essere comunque negata.

I costi legati a un’attività che costituisce reato sono deducibili se il reato è stato dichiarato estinto per prescrizione?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’indeducibilità dipende dalla ‘qualificabilità’ del fatto come reato, valutazione che il giudice tributario compie autonomamente. La prescrizione estingue il reato ai fini penali ma non ne cancella la natura illecita, pertanto i costi ad esso connessi rimangono indeducibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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