Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20491 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20491 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23222/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro RAGIONE_SOCIALE – RISCOSSIONE
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 2058/2017 depositata il 07/03/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE ricorreva avanti alla CTP di Napoli avverso la cartella di pagamento emessa dall’Agente della
riscossione per RAGIONE_SOCIALE, Iva relative all’anno 2010 e relativi interessi e sanzioni.
La Commissione di prossimità accoglieva parzialmente il ricorso e, richiamando la previsione di cui all’art. 6, comma 5 del D.lgs. n. 472/1997, riteneva che la contrazione dei guadagni subita dall’impresa nell’anno di imposta in questione, unita alla nota difficoltà di recuperare i crediti vantati nel confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, concretizzassero un fatto estraneo alla volontà della contribuente, con la conseguenza che non potessero addebitarsi le sanzioni e gli interessi sul tributo di cui era stato omesso il pagamento.
L’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE veniva accolto dalla CTR della Campania con la sentenza in epigrafe indicata.
Avverso la predetta sentenza ricorre la società contribuente con tre motivi e resiste l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso. L’RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia la «Violazione e falsa applicazione degli artt. 5, comma 1, e 6 del D.Lgs. 472/97 in relazione all’art. 3560 co. 1, n. 3 c.p.c.».
1.1. La società contribuente deduce che l’illiquidità dovuta a reiterati inadempimenti da parte della pubblica amministrazione costituirebbe una ipotesi di forza maggiore che costituisce esimente dall’applicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni tributarie.
1.2. La questione oggetto del giudizio è pertanto se possa ritenersi ricorrente, in presenza del mancato pagamento di tributi, e del concomitante ritardato adempimento di proprie obbligazioni da parte della RAGIONE_SOCIALE, una causa di forza maggiore che giustifichi la condotta violativa degli obblighi tributari da parte della contribuente.
1.3. Premesso quanto innanzi, il motivo è infondato, non ravvisandosi gli estremi, nella specie, dell’invocata forza maggiore.
1.4. Invero questa Corte regolatrice ha già avuto modo di esaminare la possibilità di considerare non colpevole la condotta
del debitore fiscale inadempiente che si è trovato in difficoltà economica a causa della condotta di terzi, inclusa la PRAGIONE_SOCIALE, ed ha raggiunto orientamenti interpretativi ormai consolidati. Si è infatti condivisibilmente statuito, con estrema chiarezza, che ‘in tema di sanzioni tributarie, posto che il diritto sanzionatorio ha natura punitiva, la forza maggiore va intesa secondo la sua accezione penalistica, e va quindi riferita ad un avvenimento imponderabile che annulla la signoria del soggetto sui propri comportamenti, elidendo il requisito della coscienza e volontarietà della condotta; ne consegue che non risponde a tale nozione la crisi di liquidità derivante dal reiterato, per quanto grave, inadempimento di pubbliche amministrazioni debitrici, peraltro prevedibile’ (Cass. n. 11111 del 06/04/2022; conf. Cass. n. 12708 del 09/05/2024).
1.5. La giurisprudenza più recente (cfr. anche Cass. nn. 17027/2021 e 39548/2021, da ultimo richiamate da Cass. n. 8852 del 03/04/2024) mutua la nozione di forza maggiore rilevante da quella elaborata dalla giurisprudenza unionale, che la definisce, nelle materie doganale e RAGIONE_SOCIALE accise, avendo riguardo sia all’elemento oggettivo, dato dall’esistenza di circostanze estranee all’operatore, anormali e imprevedibili, sia a quello soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi (Corte giust., causa C-314/06, RAGIONE_SOCIALE (SPMR); causa C-533/10, CIVAD, punto 28; cause C659/13 e C-34/14, RAGIONE_SOCIALE e Puma, punto 192; causa C154/16, «Latvijas Dzelzcefg» VAS, punto 61). E reputa che la situazione di illiquidità, anche se dovuta ad anormali ritardi nei pagamenti dei debitori, di solito pubbliche amministrazioni, non corrisponda alla nozione unionale di forza maggiore.
1.6. Sicché, aderendo a quanto già statuito da questa Corte, alla fattispecie in esame deve applicarsi il principio secondo cui in tema di sanzioni tributarie, posto che il diritto sanzionatorio ha natura punitiva, la forza maggiore va intesa secondo la sua accezione
penalistica, e va quindi riferita ad un avvenimento imponderabile che annulla la signoria del soggetto sui propri comportamenti, elidendo il requisito della coscienza e volontarietà della condotta; ne consegue che non risponde a tale nozione la crisi di liquidità derivante dal reiterato, per quanto grave, inadempimento di pubbliche amministrazioni debitrici, peraltro prevedibile.
1.7. L’attività d’impresa è infatti per sua natura rischiosa, e richiede che sia sempre effettuata una valutazione prognostica in ordine ai pagamenti attesi ed agli oneri fiscali da fronteggiare in presenza dell’eventuale (omesso o) tardivo adempimento del debitore, sia esso la P.A. oppure un privato, ricercando i fondi con i quali far fronte alle proprie obbligazioni tributarie.
Nel caso di specie non ricorre pertanto alcun evento imprevedibile, essendo il ritardato pagamento della P.A. un fenomeno (purtroppo) ricorrente, ed essendo onere dell’imprenditore predisporre quanto necessario (accantonamenti, mutui) per poter versare il dovuto all’Erario, pur in presenza di significativi ritardi della P.A. nella corresponsione anche di cospicui importi.
Con il secondo motivo di ricorso la società contribuente denuncia la nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. per «mancata valutazione di una prova», deducendo che la Commissione di appello non abbia attentamente considerato i fatti e i documenti posti a fondamento RAGIONE_SOCIALE domande, tra i quali il bilancio e le note integrative degli anni di riferimento, dai quali emergevano da un lato la situazione di obiettiva e consolidata crisi finanziaria dell’impresa e dall’altro l’impossibilità per la stessa di procurarsi altre risorse per far fronte puntualmente al debito erariale.
2.1. Il motivo è infondato.
L’assenza della motivazione, la sua mera apparenza, o ancora la sua intrinseca illogicità, implicano una violazione di legge costituzionalmente rilevante e, pertanto, danno luogo ad un error in procedendo, la cui denuncia è ammissibile dinanzi al giudice di
legittimità ai sensi del n. 4 dell’art. 360, ponendosi come violazione RAGIONE_SOCIALE norme poste a presidio dell’obbligo motivazionale (Cass. S.U. sentenze 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054). In sostanza, il vizio di motivazione che solo può dar luogo alla cassazione della sentenza è quello che attinge il nucleo fondamentale della sentenza, il cosiddetto minimo costituzionale di esplicitazione RAGIONE_SOCIALE ragioni poste a base della sentenza.
2.2. Va ancora rammentato che ‘La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 RAGIONE_SOCIALE preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.’ (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass. Sez. 1, 03/03/2022 n. 7090).
2.3. Nel caso in esame dalla lettura del motivo di ricorso nessuna di tali censure viene mosse al Giudice di appello del quale si contesta, esclusivamente e nella sostanza, la valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze RAGIONE_SOCIALE prove offerte.
Con il terzo motivo di ricorso si denuncia l’«Omesso esame di fatti o circostanze decisive per il giudizio», lamentando che la CTR abbia omesso di dare conto di un fatto provato in causa e
risultante dagli atti processuali, indicato nella pendenza di una causa avanti al Tribunale di Napoli, promossa nei confronti di Unicredit SPA e della sussistenza di ingenti debiti verso le banche.
Il motivo è inammissibile.
3.1. Con riferimento alla doglianza prospettata ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c., va ribadito che l’art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in I. 7 agosto 2012 n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto RAGIONE_SOCIALE previsioni degli art. 366, 1 comma, n. 6, e 369, 2 comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio denunciato qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. ex multis, Sez. un. 22/9/2014 n. 19881, Sez. un. 7/4/2014 n.8053; Cass. n. 27415 del 29/10/2018; di recente v. Cass. n. 9664/2023).
3.2. Nel caso di specie, la ricorrente si limita a menzionare alcuni elementi, asseritamente decisivi, la cui mancata valorizzazione da parte dei giudici di appello rientra bensì nell’ambito dell’accertamento e della valutazione dei fatti che compete al giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 23/05/2024.