Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22822 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 22822 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/08/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10501/2018 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE DI NAPOLI, con gli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso la Sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 9508/2017 depositata il 09/11/2017.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del terzo motivo del ricorso principale e del quarto motivo di ricorso incidentale, con rigetto dei restanti.
Uditi l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME per l’Amministrazione ricorrente e l’Avvocato NOME COGNOME per la controricorrente, che hanno richiamato le conclusioni rassegnate in atti.
FATTI DI CAUSA
Con avviso di accertamento n. TEB03T200082/2015, notificato in data 23/12/2015, l’Ufficio Grandi Contribuenti della Direzione Regionale della Campania accertava, nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE Napoli (già RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ante trasformazione con effetto dall’aprile 2013) ai sensi degli artt. 24 e 25, D.Lgs. 446/97, ai fini IRES ed ai sensi degli articoli 39 comma 1, 40, e 41 bis del D.P.R. n. 600/1973, un maggior reddito di impresa di euro 9.876.592,00 per l’anno di imposta 2010, nonché un maggior valore della produzione di euro 165.183,00 ai fini IRAP ed ai sensi degli articoli 4, 5, 11, 19, 24, 25 e 32 del D. lgs. n. 446/1997.
1.1. L’accertamento traeva origine e fondamento dalle risultanze emergenti dal processo verbale di constatazione, redatto dall’Ufficio Grandi Contribuenti della Direzione Regionale della Campania in data 9 marzo 2012 e dal questionario inviato all’Azienda Speciale RAGIONE_SOCIALE
Con l’atto in questione l’Ufficio contestava tre specifici rilievi.
Con un primo rilievo, attinente all’accantonamento al fondo rischi per euro 418.298,00, recuperava a tassazione la quota di accantonamento che assumeva illegittimamente imputata al conto economico dalla verificata società per neutralizzare la tassazione degli interessi attivi maturati sul correlato e vincolato conto corrente, acceso proprio allo scopo di farvi confluire i contributi in conto impianti a fondo perduto, ricevuti per realizzare le infrastrutture di acquedotto.
Con un secondo rilievo, l’ Agenzia delle entrate rappresentava che l’ attività di controllo prendeva le mosse da un’operazione societaria straordinaria di scissione parziale ex art. 115 D.Lgs. 267/2000 (T.U.E.L.) dell’allora azienda speciale del comune di Napoli – RAGIONE_SOCIALE la quale, a seguito di delibera n. 200 del Consiglio comunale di Napoli del 30 ottobre del 2000, dava luogo alla costituzione dell’A.RAGIONE_SOCIALE Napoli RAGIONE_SOCIALE, in
qualità di beneficiaria neocostituita ai sensi dell’art. 115 del D.Lgs. n. 267 del 18 agosto 2000.
4.1. Al fine di definire il valore dei beni patrimoniali oggetto di scissione, il comma 3 del suddetto art. 115 prevedeva l’obbligo di una perizia giurata di stima; il successivo comma 6 del medesimo articolo stabiliva l’esenzione fiscale del conferimento e dell’assegnazione dei beni degli enti locali e delle aziende speciali alle società di capitali costituite ex novo.
4.2. Ciò premesso, nella fattispecie in questione, la perizia di stima individuava, tra le altre, una passività potenziale, ossia un “Fondo rischi” – pari ad euro 162.425.464 – da iscrivere in capo alla beneficiaria (RAGIONE_SOCIALE oggi RAGIONE_SOCIALE per effetto dell’operazione di scissione parziale, in relazione alla responsabilità sussidiaria della stessa, ex art. 2504 decies del c.c. ratione temporis vigente, per i debiti rimasti in capo all’azienda speciale scissa, calcolati dal perito al netto dei crediti, parimenti, rimasti in capo alla scissa e nei confronti dei quali la beneficiaria poteva esercitare eventualmente il diritto di rivalsa.
4.3. Nel luglio del 2007 la contribuente rilevava, mediante accollo, anche i suddetti residui debiti ed acquisiva i crediti, nonché le disponibilità liquide dell’azienda speciale, per consentirne la definitiva estinzione. In contabilità, rilevava i debiti acquisiti, relativi, essenzialmente, ad un fondo pensioni ed ad un fondo contenzioso collegato al medesimo fondo pensioni, entrambi, creati per far fronte al pagamento di future pensioni e per far fronte a possibili esborsi causati da vertenze in atto con il personale dell’ex azienda speciale, mediante giroconto del “Fondo rischi da scissione”, a sua volta, creato in sede di costituzione della società di capitali e, dunque, facente parte del patrimonio fiscalmente rilevante della contribuente.
4.4. L’Ufficio contestava l’ utilizzo del fondo, rilevando che l’operazione di scissione posta in essere, in regime derogatorio
rispetto al regime ordinario previsto dal Tuir, era una operazione straordinaria, che determinava l’emersione di maggiori valori fiscalmente riconosciuti. In conseguenza di ciò il fondo rischi da scissione doveva ritenersi un fondo fiscalmente rilevante, ossia ‘ dedotto ‘, e qualunque utilizzo ne determinava la tassazione.
Con un terzo rilievo, l’Amministrazione finanziaria contestava l’indebita deduzione dalla base imponibile dell’Irap delle quote di ammortamento delle aree sottostanti i fabbricati strumentali, sottolineando come, dopo la rimodulazione ad opera dell’art. 36, comma 7, della legge n. 244 del 24/12/2007 (legge finanziaria 2008) alcune componenti negative incluse nella macro-classe B del conto economico (ed evidenziando che dall’1.01.2008 la base imponibile Irap corrisponde alla differenza tra la macro-classe A del conto economico e la macro-classe B, con alcune esclusioni) non potessero essere dedotte, tanto da determinare l’obbligo, se dedotte, per il contribuente di operare una corrispondente variazione in aumento della base imponibile in sede di dichiarazione. Tra i componenti negativi non deducibili, rilevava l’Ufficio , vi erano le quote di ammortamento dei fabbricati strumentali per la parte riferibile al costo delle aree sottostanti.
Il ricorso proposto dalla contribuente veniva parzialmente accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli.
6.1. I giudici di prime cure, in particolare, dichiaravano spettanti le deduzioni fiscali relative ai pagamenti per i trattamenti pensionistici effettuati, di cui al secondo rilievo, rigettando nel resto il ricorso.
La Commissione di prossimità, in particolare, riteneva che il “fondo rischi da scissione” debba qualificarsi come fondo tassato, in quanto alimentato con l’utilizzo della riserva da scissione, che è riserva ‘ tassata ‘ .
La CTR della Campania, quindi, rigettava l’appello dell’Ufficio confermando la sentenza di primo grado in ordine al predetto rilievo ed accoglieva l’appello incidentale della contribuente,
limitatamente alla subordinata richiesta di annullamento delle sanzioni relative al terzo rilievo.
Avverso la predetta sentenza ricorre l’Agenzia delle entrate con quattro motivi e resiste la contribuente con controricorso e ricorso incidentale condizionato, fondato su sei motivi, a sua volta contrastato da controricorso dell’Amministrazione.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta, l’accoglimento del terzo motivo di ricorso principale e del
chiedendo quarto motivo di ricorso incidentale, con rigetto dei restanti.
La Difesa erariale e la difesa della contribuente hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., deducendo che la CTR non avrebbe esaminato alcuna delle argomentazioni formulate dall’Ufficio, soprattutto con riferimento alla genesi del fondo rischi da scissione ed ai suoi successivi utilizzi.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. L’assenza della motivazione, la sua mera apparenza, o ancora la sua intrinseca illogicità, implicano una violazione di legge costituzionalmente rilevante e, pertanto, danno luogo ad un error in procedendo, la cui denuncia è ammissibile dinanzi al giudice di legittimità ai sensi del n. 4 dell’art. 360, ponendosi come violazione delle norme poste a presidio dell’obbligo motivazionale (Cass. S.U. sentenze 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054). In sostanza, il vizio di motivazione che solo può dar luogo alla cassazione della sentenza è quello che attinge il nucleo fondamentale della sentenza, il cosiddetto minimo costituzionale di esplicitazione delle ragioni poste a base della sentenza.
1.3. Va ancora rammentato che ‘La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.’ (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass. Sez. 1, 03/03/2022 n. 7090).
1.4. Nessuna di tali fattispecie ricorre nel caso in esame, in quanto dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata, e di cui si è ampiamente dato conto nell’esaminare i superiori motivi di ricorso, emerge con chiarezza ed esaustività l’iter logico seguito dalla CTR per argomentare i propri convincimenti.
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.с. , la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 Tuel. 2.1. Premettendo che l’art. 115 D.Lgs. n. 267/2000 prevede un trattamento fiscale derogatorio rispetto alle disposizioni normative dettate dal DPR n. 917/1986, agli artt. 170-176, in tema di operazioni straordinarie, argomenta a tale riguardo l’Agenzia: – che l’art. 115, comma 6, T uel , prevede un’esenzione da imposizione fiscale della plusvalenza formatasi in capo alla dante causa, rendendo possibile l’iscrizione dei beni conferiti e/o assegnati nel bilancio della società beneficiaria entro il limite massimo dei valori
di perizia, e dunque l’art. 115 cit. consente di dare pieno riconoscimento fiscale alle valutazioni, risultanti dalla perizia giurata, effettuate in sede di determinazione del patrimonio iniziale della società risultante alla trasformazione dell’Azienda speciale; -che l’operazione di scissione parziale oggetto del presente contenzioso è assimilabile, nella sostanza, ad una operazione di conferimento; – che, pertanto, venendo in rilievo, nella sostanza, un’operazione di trasformazione dell’originaria azienda speciale, sono fiscalmente rilevanti tanto i valori dell’attivo patrimoniale iniziale della società, tanto le poste del passivo, tra le quali rientra il ‘fondo rischi da scissione’ di cui si discute; – che, essendosi la società scissa accollata i debiti e i crediti dell’azienda speciale, è venuta meno la funzione del ‘fondo rischi da scissione’, che deve essere, pertanto, considerato tra le sopravvenienze attive rilevanti ai fini fiscali; – che, conseguentemente, la Commissione Tributaria Regionale ha errato nel ritenere che fossero deducibili i fondi accantonati per pagare le pensioni e per il ‘contenzioso ex s.p.e.’, avendo essi origine da un fondo fiscalmente rilevante ai sensi dell’art. 115 T uel.
2.2. Ha, ancora, in particolare osservato la ricorrente che l’accertamento è fondato non sulla circostanza per la quale i costi sostenuti per il pagamento delle pensioni integrative erano da considerarsi deducibili o meno, ma piuttosto sul fatto che il fondo rischi da scissione era da considerarsi fiscalmente rilevante: ragion per cui, venuti meno i motivi che ne avevano determinato la creazione, ossia l’accollo in via principale – da parte di RAGIONE_SOCIALE dei debiti e crediti dell’allora RAGIONE_SOCIALE – Azienda Speciale, e non essendovi altri motivi oggettivi e, dunque, legittimi né di ordine giuridico né di ordine economico, tale fondo, nel 2007, andava stralciato ed andava rilevata corrispondentemente una sopravvenienza attiva parimenti rilevante ai fini fiscali.
Per lo stesso motivo, gli usi di detto fondo rischi che, nell’anno 2007, nel 2008 e poi nel 2009 erano stati fatti dalla ricorrente non potevano essere oggetto delle variazioni in diminuzione che, ai fini fiscali, avevano, al pari della mancata sopravvenienza, contribuito a sottrarre a tassazione importi attivi fiscalmente rilevanti.
Sarebbe errato, quindi, parlare dei fondi “pensione” e “contenzioso ex s.p.e.” come fondi tassati, in quanto trattasi di fondi fiscalmente rilevanti, ossia aventi origine da una posta – il fondo rischi da scissione – fiscalmente rilevante o, per meglio dire, espressione di un patrimonio a cui il legislatore del Tuel, con l’art. 115 e per le ragioni sopra evidenziate, ha voluto dare piena rilevanza fiscale e, dunque, il diritto, puntualmente esercitato dalla ricorrente a partire dall’anno 2001, di dedurre, in sede fiscale di determinazione del reddito imponibile per i vari anni d’imposta successivi all’operazione straordinaria, maggiori quote di ammortamento.
2.3. Osserva l’Agenzia delle entrate che l a società neocostituita può infatti iscrivere nel proprio bilancio i beni ricevuti ai maggiori valori risultanti dalla relazione di stima, compreso l’avviamento (se evidenziato in perizia), con pieno riconoscimento fiscale degli stessi e senza che il soggetto assegnante abbia subito alcuna tassazione diretta e indiretta sull’eventuale plusvalenza realizzata.
2.4. A differenza delle ordinarie scissioni realizzate in continuità di valori, in questo caso i maggiori valori dei beni avevano anche rilevanza fiscale, con conseguente riconoscimento dei maggiori ammortamenti ai sensi dell’art. 115 Tuel, che la CTR avrebbe erroneamente interpretato; da ciò deriverebbe che la riserva da scissione è una posta fiscalmente rilevante, ossia ‘ dedotta ‘, e quindi anche il fondo rischi da scissione, che da essa si origina, è una posta di bilancio fiscalmente rilevante.
Le deduzioni fiscali di maggiori quote d’ammortamento, di fatto, rappresentano la contropartita dei vantaggi fiscali che, nella sostanza, l’azienda speciale RAGIONE_SOCIALE avrebbe duplicato con la
contestata deduzione anche delle quote di tali suddetti fondi promanati dal fondo rischi da scissione, che sarebbero fondi, in tal senso, “dedotti” e non “tassati”, come hanno rilevato i giudici del secondo grado.
Inoltre, il fondo rischi da scissione non può essere considerato un fondo ‘ tassato ‘ poiché non nasce in capo alla scissa. Il fondo rischi da scissione è iscritto ex novo nel bilancio della beneficiaria tramite un giroconto della “riserva da scissione” facente parte del patrimonio della beneficiaria.
2.5. In sintesi, secondo la prospettazione dell’Amministrazione Finanziaria, a differenza delle ordinarie scissioni realizzate in continuità di valori, in questo caso i maggiori valori dei beni hanno avuto anche rilevanza fiscale con conseguente riconoscimento dei maggiori ammortamenti, effetto voluto dall’art. 115 Tuel, che la CTR avrebbe erroneamente interpretato; da ciò deriverebbe che la riserva da scissione è una posta fiscalmente rilevante, ossia ‘ dedotta ‘, e quindi anche il fondo rischi da scissione, che da essa si origina, è una posta di bilancio fiscalmente rilevante.
3. Replica la società contribuente che: l’RAGIONE_SOCIALE, nel corso dell’anno 2001, ha perfezionato una scissione parziale ex art. 115 Tuel a favore della neo-costituita RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE, trasferendo a quest’ultima una parte del suo patrimonio; – che una parte ingente dei debiti dell’Azienda Speciale , in parte riferibili a debiti verso il socio Comune di Napoli, in parte relativi all’accantonamento dei costi per pensioni integrative da corrispondere agli ex dipendenti in virtù di un accordo integrativo aziendale approvato nel 1945, non è stata trasferita nel 2001 ad ABC per effetto di tale scissione; – che essendo ABC beneficiaria di una scissione, ha dovuto tenere in considerazione -e rappresentare in bilancio – la sua responsabilità sussidiaria ex art. 2504-decies, comma 2, c.c., e ha dunque stanziato, a riduzione della riserva di scissione, e quindi senza generare alcuna
componente negativa di reddito, un generico ‘fondo rischi da scissione’; – che tale fondo è di origine civilistica, costituito a fronte di un rischio connaturato alla scissione, che nel caso si fosse trattato di un conferimento non vi sarebbe stato, e non fiscale e, inoltre, è stato alimentato con accantonamenti mai dedotti in precedenti esercizi, circostanza questa mai contestata; – che tale fondo rischi presente nel bilancio di ABC deve essere pertanto qualificato, ai fini fiscali, come ‘tassato’ e non come vorrebbe l’Agenzia delle Entrate, come fondo fiscalmente ‘dedotto’ .
3.1. Deduce ancora a tale riguardo RAGIONE_SOCIALE, che: -conferimento e scissione sono due operazioni fisiologicamente diverse, in quanto una riguarda i beni, l’altra i soggetti, e pertanto non possono essere assimilate dal punto di vista fiscale, come invece vorrebbe l’Agenzia; -l’art. 115, comma 6, Tuel, non assimila la scissione al conferimento, ma afferma che alla scissione «si applicano …, per quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 6 del presente articolo nonché agli articoli 2504-septies e 2504-decies del codice civile»: detta norma non esclude che alla scissione si applichino anche le norme di cui all’art. 173 TUIR e i principi generali in materia; -l’art. 115, comma 6, Tuel, non può essere interpretato nel senso che le passività non dedotte si trasformano in passività dedotte, dato che la norma si limita a prevedere un’esenzione fiscale, e -contrariamente a ciò che ritiene l’Agenzia -non attribuisce rilevanza reddituale alle passività contabili, né vincola le riserve da scissione, che sorgono in virtù dei maggiori valori esposti; l’art. 115 Tuel, differentemente da altre leggi di rivalutazione dei beni, non impone, a fronte della rivalutazione, di vincolare le riserve o i fondi, e ciò a maggior ragione se costituiti successivamente alla scissione, come è il caso del fondo rischi in esame; – essendo il fondo rischi da scissione una voce fiscalmente equivalente alla riserva da scissione, che è una riserva fiscalmente libera da vincoli,
da cui è originato perché, come visto, non è stato costituito con accantonamenti fiscalmente dedotti, ma con un giroconto da una riserva libera da vincoli, la conseguenza è che il fondo rischi è, a sua volta, libero da vincoli fiscali, quindi tassato.
Il motivo in esame, da ritenersi ammissibile, non investendo, contrariamente a quanto rilevato dal procuratore generale nelle propria requisitoria, aspetti meritali della controversia, bensì profili di interpretazione della disciplina normativa applicabile è, tuttavia, infondato.
4.1. A tale riguardo deve rilevarsi che ai sensi dell’art. 107, comma 4, del d.P.R. n. 817/97 «non sono ammesse deduzioni per accantonamenti diversi da quelli espressamente considerati dalle disposizioni del presente capo» ed è pacifico che i fondi di accantonamento, per cui è controversia, non rientrano tra quelli ivi previsti; la norma fissa la regola tassativa della inderogabilità degli accantonamenti fiscalmente deducibili e mira a contemperare principi di certezza, caratteristici del sistema tributario, ed esigenze di valutazione fiscale di poste meramente prudenziali; non rientrando i fondi in oggetto tra gli accantonamenti tassativamente previsti dalle disposizioni sulla determinazione del reddito d’impresa, gli oneri relativi sono deducibili esclusivamente se e nella misura in cui sono effettivamente sostenuti, mancando i requisiti di certezza e obiettiva determinabilità di costi, non ancora effettivamente sostenuti e di cui è assolutamente incerto il sostenimento; «il recupero a tassazione non può avvenire in via di rettifica della dichiarazione inerente ad esercizio posteriore, nel quale vi sia stato prelevamento in tutto od in parte dalla riserva, atteso che tale prelevamento non esprime un reddito del nuovo periodo d’imposta, ma il mero impiego di un reddito pregresso»; (v. Cass. n. 3243 del 19/04/1990; Cass. 28/5/2020 nn. 10122 e 10123; v. ancora, di recente, Cass. n. 12717/2022).
4.2. Gli accantonamenti ai fondi rischi, che esprimono passività incerte sia nello “an” che nel “quantum”, non sono dunque in via generale deducibili e assumono, pertanto, la natura di fondi cd ‘tassati’. Sono, invece, fondi ‘dedotti’ il TFR, il fondo svalutazione crediti (in parte) e gli altri fondi la cui deducibilità è prevista dal Tuir.
4.3. Nel caso di specie i fondi devono pertanto ritenersi ‘tassati’ per natura, perché derivano dall’accantonamento dei costi per le pensioni integrative e dei costi per un contenzioso pendente, né l’Amministrazione sostiene il contrario, e dunque non possono, in prima analisi, costituire sopravvenienze attive al momento del loro utilizzo.
4.4. Inoltre, con specifico riferimento alla scissione di società, questa Corte ha affermato che «In tema di reddito imponibile delle società, in base ai principi della neutralità e della simmetria fiscale della fusione e della scissione di società (artt. 172 e 173 T.U.I.R.), l’avanzo da annullamento – generato da una serie di operazioni straordinarie (fusione, scissione, ecc.), che sia riconducibile alla sopravvalutazione del patrimonio netto della società fusa o incorporata rispetto al suo valore effettivo, o alla previsione di perdite ed oneri futuri o di un “badwill” correlato alle attività di tale società – ove sia iscritto, ex art. 2504 bis, comma 4, c.c., tra i fondi per rischi ed oneri nel passivo dello stato patrimoniale della società risultante dalla fusione o della società incorporante e, quindi, sia effettivamente utilizzato per la copertura degli oneri e delle perdite civilistiche della società fusa o incorporata (al momento del loro manifestarsi), è irrilevante sotto il profilo fiscale, nel senso che non determina alcun prelievo tributario» (Cass. Sez. 5, 23/07/2020, n. 15757).
Nulla contestando, in termini generali, in merito agli approdi interpretativi ora evocati, tuttavia l’Agenzia ricorrente deduce che la disciplina speciale, e segnatamente l’art. 115, comma 7, del
Tuel, che dispone che «La deliberazione di cui al comma 1 può anche prevedere la scissione dell’Azienda speciale e la destinazione a società di nuova costituzione di un ramo aziendale di questa» precisando che «Si applicano, in tal caso, per quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 6 del presente articolo, nonché agli articoli 2504-septies e 2504-decies del codice civile» escluderebbe l’applicazione della restante disciplina in materia di scissione, e in particolare, della disciplina generale del Tuir in materia di tassazione degli accantonamenti.
5.1. Ciò in quanto, a differenza delle ordinarie scissioni realizzate in continuità di valori, in questo caso, i maggiori valori dei beni hanno anche rilevanza fiscale, con conseguente riconoscimento dei maggiori ammortamenti, come effetto voluto dall’art. 115 Tuel, e questo comporterebbe la rilevanza fiscale -anche -dei fondi che per regola generale non l’avrebbero.
La doglianza è infondata.
6.1. La previsione di cui all’art. 115, comma 7, del T uel non esclude espressamente l’applicazione della disciplina generale del Tuir in materia di tassazione dei fondi, né detta disciplina, che è diretta emanazione dei principi generali della neutralità e della simmetria fiscale della fusione e della scissione di società, di cui agli artt. 172 e 173 Tuir, evidenzia aspetti di incompatibilità con la disciplina speciale.
6.2. Non appare, infine, conferente la deduzione dell’Agenzia laddove, evocando la disciplina in materia di conferimenti, valorizza la ‘contropartita’ in termini di maggiore valore di ammortamento che sarebbe consentita dal l’art. 115, comma 6, cit., secondo cui «Il conferimento e l’assegnazione dei beni degli enti locali e delle aziende speciali alle società di cui al comma 1 sono esenti da imposizioni fiscali, dirette e indirette, statali e regionali» e del dettato del successivo comma 7, ove si dispone che «La deliberazione di cui al comma 1 può anche prevedere la scissione
dell’Azienda, speciale e la destinazione a società di nuova costituzione di un ramo aziendale di questa».
6.3. Quanto affermato dalla Difesa erariale dalla disciplina non è infatti evincibile dalle disposizioni evocate, che si limitano a prevedere un’esenzione fiscale, e non attribuiscono rilevanza reddituale alle passività contabili né vincolano le riserve da scissione, fermo restando, inoltre, che conferimento e scissione sono due operazioni ontologicamente diverse che la norma non assimila in alcun modo ai fini fiscali.
6.4. Deve pertanto affermarsi il seguente principio di diritto: «In tema di reddito imponibile delle società, nella ipotesi di scissione societaria prevista dall’art. 115, settimo comma, del Testo unico del 18/08/2000 n. 267 (T.U.E.L.), detta disciplina non deroga ai principi della neutralità e della simmetria fiscale della fusione e della scissione di società (artt. 172 e 173 T.U.I.R.), né opera una equiparazione quoad effectum tra scissione e conferimento; ne consegue che l’avanzo generato dalla operazione straordinaria, che sia riconducibile alla previsione di perdite ed oneri futuri, ove sia iscritto, ex art. 2504 bis, comma 4, c.c., tra i fondi per rischi ed oneri nel passivo dello stato patrimoniale della società risultante dalla scissione e, quindi, sia effettivamente utilizzato per la copertura degli oneri e delle perdite civilistiche della società (al momento del loro manifestarsi), è irrilevante sotto il profilo fiscale, nel senso che non determina alcun prelievo tributario».
Con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 , cod. proc. civ., che la Commissione Tributaria Regionale è incorsa nella violazione dell’art. 109 Tuir, ove ha disatteso la censura formulata dall’ Ufficio circa la non riconoscibilità del costo delle pensioni come costo fiscalmente deducibile per la società accertata, per difetto del requisito dell’inerenza .
7.1. Il motivo è infondato, osservandosi che la costante giurisprudenza di questa Corte afferma che la nozione di inerenza esprime la concreta riferibilità dei costi sostenuti all’attività d’impresa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, quale esito di una valutazione qualitativa, e non quantitativa, degli stessi (Cass. n. 30366/2019; Cass. n. 450/2018) e rilevandosi, nel caso di specie che le spese per prestazioni di lavoro risultano inerenti per natura, e dunque sempre deducibili dal reddito d’impresa, sia che siano rese sotto forma di stipendi mensili, sia che siano rese sotto forma di trattamenti pensionistici.
Con il quarto motivo del ricorso principale l’A mministrazione deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., che la Commissione Tributaria Regionale è incorsa nella violazione e falsa applicazione dell’art. 5 d.lgs. n. 472/1997 ove, in accoglimento dell’appello della contribuente, ha disposto l’annullamento delle sanzioni applicate, in conseguenza all’accertamento di maggiori valori di ammortamento ai fini Irap, per un’affermata esistenza di incertezza normativa.
8.1. All’esame del motivo va anteposto, per ordine logico, quello del quarto motivo di ricorso incidentale, con la quale la contribuente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., che la Commissione Tributaria Regionale è incorsa nella violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 50, lett. g, l. n. 244/07, dell’art. 5 d.lgs. n. 446/97 e dell’art. 36, comma 7, d.l. n. 223/06, ove ha affermato la legittimità del rilievo avente ad oggetto il recupero a tassazione della quota di ammortamento delle aree sottostanti ai fabbricati strumentali.
Sostiene RAGIONE_SOCIALEAzienda speciale che tale capo della decisione non è condivisibile, perché in materia di IRAP la rilevanza dei componenti positivi e negativi del reddito segue il principio di derivazione dalle voci del conto economico rilevanti ai fini del
tributo e non si determina in base all’art. 36 del d.l. n. 223 del 2006.
8.2. La censura proposta con il quarto motivo di ricorso incidentale è fondata.
8.3. La CTR, partendo dal tenore letterale dell’art. 36, commi 7 e 7 bis del d.l. n. 223 del 2006, e richiamando la prassi dell’Agenzia delle entrate, ha interpretato la disposizione nel senso che l’indeducibilità del valore delle aree sottostanti o di pertinenza di fabbricati strumentali debba operare anche ai fini della determinazione del valore della produzione netta ai fini Irap. L’art. 36, comma 7 cit. in particolare, prevede che «Ai fini del calcolo delle quote di ammortamento deducibili il costo complessivo dei fabbricati strumentali è assunto al netto del costo delle aree occupate dalla costruzione e di quelle che ne costituiscono pertinenza». In considerazione della previsione contenuta nella citata disposizione, nel documento di prassi n. 38/E del 23 giugno 2010 si afferma che « l’indeducibilità del valore delle aree sottostanti o di pertinenza di fabbricati strumentali, operi anche ai fini della determinazione della base imponibile IRAP».
8.4. Ha, tuttavia, rilevato questa Corte (cfr. Cass. Sentenza n. 6492 del 03/03/2023), che per l’applicazione dell’Irap, in virtù del disposto di cui all’art. 5 d.lgs. n. 446 del 1997, come modificato dalla legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008), vale la regola della derivazione dei costi sostenuti dal conto economico -c.d. derivazione di bilancio -che comporta il controllo della correttezza delle appostazioni nel conto economico alla stregua dei principi civilistici e contabili nazionali (Cass. 20/12/2019, n. 34176; Cass. 11/06/2018, n. 15115).
8.5. L’interpretazione fornita dall’Agenzia delle entrate e condivisa dalla decisione impugnata non risulta in linea con detto principio.
L’art. 5, comma 5, d.lgs. cit. prevede che per i c.d. «soggetti Ires», diversi dalle banche e dalle imprese di assicurazione, la base
imponibile Irap risulta dalla differenza tra il valore della produzione ed i costi della produzione -esclusi alcuni -come risultanti dal conto economico civilistico redatto ai sensi dell’art. 2425, primo comma, lett. a) e b) cod. civ. In particolare, l’art. 5, comma 1, dispone che, nell’ambito dei costi di produzione, non si deve tenere conto di alcune voci risultanti dal conto economico, ossia delle voci 9), 10, lett. c) e d), 12 e 13 di cui all’art. 2425 cod. civ. (ossia dei costi per il personale, delle svalutazioni delle immobilizzazioni e svalutazione dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide, degli accantonamenti per rischi e di altri accantonamenti); il successivo comma 3, primo periodo, apportando alcune correzioni al principio di derivazione, indica una serie di componenti negativi che, in ogni caso, non si considerano deducibili, ossia le spese per il personale dipendente ed assimilato, i c.d. compensi occasionali, i compensi agli amministratori o ai collaboratori a progetto, i compensi per prestazioni assimilati al lavoro dipendente, gli utili spettanti agli associati in partecipazione, il cui apporto è costituito esclusivamente dal lavoro, la quota interessi dei canoni di locazione finanziaria, desunta dal contratto, le perdite su crediti e l’Ici.
8.6. La legge n. 244 del 2007 ha, in tal modo, introdotto una netta separazione fra le regole valide per la determinazione dell’Ires e quelle valide al fine della determinazione della base imponibile Irap. L’assenza di un espresso richiamo alle disposizioni di cui al d.l. n. 223 del 2006 impone di ritenere che la deduzione in oggetto debba essere riconosciuta (v. Cass 15/03/2021, n. 7183).
All’accoglimento della superiore censura , dovendosi ritenere indebito, a monte, il recupero a tassazione della quota di ammortamento delle aree sottostanti ai fabbricati strumentali, consegue l’infondatezza del quarto motivo del ricorso principale, con cui si contesta, a valle, l’annullamento delle sanzioni conseguenti al recupero suddetto.
10. Con il primo motivo di ricorso incidentale la contribuente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 , c.p.c., che la Commissione Tributaria Regionale è incorsa nella violazione degli artt. 18 e 57 d.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 112 cod. proc. civ., nella parte in cui ha implicitamente rigettato l’eccezione di inammissibilità della questione del presunto difetto di inerenza delle pensioni integrative di cui al secondo rilievo dell’avviso di accertamento, avanzata dalla società contribuente.
10.1. Sostiene, a tale riguardo, l’A zienda speciale che la Commissione Tributaria Regionale, invece di respingere nel merito il motivo di appello proposto dall’A genzia riguardante il difetto di inerenza delle pensioni integrative, avrebbe dovuto dichiarare inammissibile la relativa doglianza, non essendo stato dedotto il presunto difetto di inerenza nell’avviso di accertamento impugnato. 10.2. Il motivo è inammissibile, alla stregua del principio secondo cui «Il ricorso incidentale, anche se qualificato come condizionato, deve essere giustificato dalla soccombenza, cosicché è inammissibile il ricorso proposto dalla parte che sia rimasta completamente vittoriosa nel giudizio di appello, proposto al solo scopo di risollevare questioni che non sono state decise dal giudice di merito perché assorbite dall’accoglimento di altra tesi, avente carattere preliminare, salva la facoltà di riproporle dinanzi al giudice del rinvio in caso di annullamento della sentenza» (Cass. 25 ottobre 2023, n. 29662).
11. Con il secondo motivo di ricorso incidentale RAGIONE_SOCIALE deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 , c.p.c., che la Commissione tributaria regionale è incorsa nella violazione degli artt. 88 e 110 Tuir nella parte in cui, in accoglimento dell’appello dell’Agenzia, ha affermato che gli interessi attivi maturati sui contributi in conto impianti debbono essere tassati nel periodo di maturazione.
11.1. Sostiene la contribuente che le argomentazioni addotte dai giudici di appello non sono condivisibili, perché: – gli interessi attivi sono maturati su contributi ricevuti in conto impianti per la realizzazione di un’opera pubblica, che, in base alla vigente normativa, non concorrono a formare il reddito nell’anno in cui sono ricevuti e che sono destinati ad essere restituiti, nel caso in cui l’opera pubblica non sia eseguita; – conseguentemente, gli interessi attivi de quibus, riferendosi ai suddetti contributi, debbono essere ad essi assimilati e vanno imputati, unitamente ai contributi, a riduzione del costo delle immobilizzazioni acquisite con gli interessi attivi, non potendo seguire un trattamento diverso da quello proprio del capitale di riferimento ai fini del trattamento fiscale.
11.2. Il motivo è infondato.
11.3. Questa Corte ha affermato, in relazione ad una fattispecie analoga a quella in esame e con orientamento al quale si ritiene di dover dare continuità, che «gli interessi su depositi bancari, in mancanza di un titolo di esenzione oggettivo riferibile all’ente in quanto tale, costituiscono redditi da capitale per il combinato disposto di cui agli artt. 6 e 44, comma 1, lett. a, t.u.i.r, come tali soggetti ad imposizione, restando priva di rilievo la provenienza delle somme depositate trattandosi di requisito in alcun modo contemplato dalle norme in questione». Muovendo da tale considerazione, è stato affermato il seguente principio: «in caso di finanziamento erogato da ente pubblico (nella specie, la ex Cassa del Mezzogiorno), gli interessi attivi maturati sul conto di deposito bancario costituiscono ricavi, soggetti ad imposizione, ove il destinatario non assuma la qualità di gestore di fondo rotativo ma sia l’utilizzatore delle somme per la realizzazione delle opere, senza che assuma rilievo la natura vincolata del finanziamento stesso» (Cass. 23 gennaio 2019, n. 1775).
Con il terzo motivo di ricorso di ricorso incidentale si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 , c.p.c., che la CTR è incorsa nella violazione e falsa applicazione dell’art. 10, l. n. 212/2000, nella parte in cui ha implicitamente respinto la dedotta violazione dei principi di buona fede e di legittimo affidamento in relazione al primo rilievo dell’avviso di accertamento, con il quale l’Agenzia ha assoggettato a tassazione gli interessi attivi maturati su contributi in conto impianti nell’anno di imposta 2010.
12.1 La contribuente contesta tale capo della decisione, assumendo che nella specie l’affidamento della contribuente si fonderebbe su atti della pubblica amministrazione, nel caso di specie una verifica della Guardia di finanza esitata con PVC del 30/03/2007 che non ha dato luogo a rilievi sulla imputazione a periodo degli interessi attivi su contributi in conto impianti e tre avvisi di accertamento, due per l’anno 2005 e uno per il 2007, che non contengono alcun rilievo sul medesimo punto e che implicitamente confermerebbero la legittimità del comportamento fiscale della società.
12.2. Con specifico riguardo alle sanzioni, la sentenza della CTR viene censurata per violazione dell’art. 10, comma 3, L. n. 212/00, in quanto, si sostiene, le sanzioni riferite alla ripresa degli interessi attivi avrebbero dovuto essere annullate anche in ragione dell’incertezza normativa.
12.3. Le doglianze non sono meritevoli di accoglimento.
12.4. La Commissione Tributaria Regionale si è conformata ai principi affermati dalla Corte (cfr. Cass. 21 giugno 2021, n. 17588; Cass. 9 marzo 2022, n. 7626; Cass. 24 maggio 2022, n. 16691; Cass. 27 settembre 2022, n. 28119; Cass. 9 febbraio 2024, n. 3718; Cass. 25 settembre 2024, n. 25668), laddove ha affermato che non vale ad escludere l’elemento soggettivo dell’illecito la circostanza che l’Amministrazione finanziaria non a vesse, nei precedenti atti impositivi, mosso analoghe obiezioni e rilievi nei confronti della contribuente, essendo incontestato che l’Ufficio non
aveva comunque mai affermato espressamente la legittimità dell’operato dell’A zienda Speciale.
12.5. Non è, inoltre, configurabile la dedotta violazione di legge in relazione al differente profilo della sussistenza di obiettive condizioni di incertezza normativa, e ciò alla luce del costante orientamento di legittimità.
12.6. Questa Corte ha di recente ribadito (cfr. Cass. Sez. T. 29.01.2024, n. 2604) che «In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza su portata e ambito di applicazione delle norme cui la violazione si riferisce potere riconosciuto dall’art. 39 bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (applicabile “ratione temporis”), tenuto fermo dall’art. 8 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e ribadito, con più generale portata, dall’art. 6, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 – sussiste quando la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, con un coordinamento concettualmente difficoltoso per equivocità di contenuto, derivante da elementi positivi di confusione, il cui onere di allegazione grava sul contribuente» (Cass., 24 luglio 2013, n. 18031) e che «Sia nel vigore dell’articolo 39 bis del D.P.R. n. 636 Corte di Cassazione, sia in forza dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 546 del 1992, l’incertezza interpretativa che giustifica il provvedimento con il quale il giudice tributario dichiari non applicabili le sanzioni non penali deve essere oggettiva e non soggettiva, atteso che la norma espressamente richiede si verifichino obiettive condizioni di incertezza» (Cass., 8 agosto 2005, n. 16707).
A tale riguardo, si rileva che i presupposti della fattispecie esentiva, come tratteggiata da questa Corte, non sono stati neppure evocati dalla società contribuente, che si è limitata ad allegare,
genericamente, l’ assenza di norme che regolino espressamente la fattispecie.
Con il quinto motivo di ricorso incidentale si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 , c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 3, d.lgs. n. 472/97 , nella parte in cui la CTR ha implicitamente confermato il provvedimento sanzionatorio in relazione all’aumento del 50% applicato per la recidiva. Con il sesto motivo la contribuente invoca, inoltre, l’applicazione della disciplina sanzionatoria più favorevole, in vigore dal 1° gennaio 2016.
13.1. l motivi, da esaminarsi congiuntamente stante la stretta connessione, sono fondati.
13.2. L’aumento del 50% per la recidiva è applicabile solo «nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, sia incorso in altra violazione della stessa indole». Il precedente fiscale deve consistere in una violazione definitiva, cioè definitivamente accertata e dunque l’applicazione dell’art. 7, comma 3, D.lgs. n. 472/97, esigeva quindi che, nel momento in cui l’atto impugnato è stato emesso, il primo rilievo fosse già definito, ma così non è nel caso di specie in quanto le controversie relative agli anni precedenti erano ancora pendenti.
13.3. Inoltre, come osservato dalla contribuente che riporta nel proprio controricorso, in ossequio al principio di specificità, il relativo estratto dell’atto impositivo, la sanzione è stata irrogata nella misura minima, pari al 100% del tributo, essendo dunque applicabile, in forza del principio del favor rei ribadito dall’art. 3, comma 3, D.lgs. n. 472/97, la più favorevole disciplina del D.lgs. n. 471/97 come modificata dall’art. 15, D.Lgs. n. 158/2015.
In conclusione, rigettato il ricorso principale, dichiarato inammissibile il primo motivo del ricorso incidentale, rigettati il secondo ed il terzo e accolti il quarto, quinto e sesto motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi
accolti, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nel rispetto dei principi sopra illustrati, nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. n. 30 maggio n. 115, art. 13 comma 1- quater (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 05/06/2025.