Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6260 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6260 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6321/2020 R.G. proposto da:
NOMECOGNOME rappresentata e difesa dagli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME,
-ricorrente – contro
AGENZIA DELLE ENTRATE -RISCOSSIONE rappresentata e difesa dal l’Avvocatura generale dello Stato ,
-controricorrente –
AGENZIA DELLE ENTRATE
Iscrizione ipotecaria -Fondo patrimoniale
-intimata –
avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA, n. 2895/2019, depositata il 2 luglio 2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19
febbraio 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
NOME COGNOME ricorre nei confronti dell’Agenzia delle Entrate -Riscossione e dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza in epigrafe. Con quest’ultima la C.t.r. ha accolto l’appello dell ‘Ente di riscossione avverso la sentenza della C.t.p. che aveva accolto il ricorso spiegato dalla contribuente avverso l ‘ iscrizione ipotecaria n. 9626/1632 del 14 giugno 2017, con la qu ale, ai sensi dell’art. 77 d.P.R . 19 settembre 1973, n. 602, era stata iscritta ipoteca legale sugli immobili di sua proprietà.
La C.t.p. , per quanto qui rileva, annullava l’iscrizione ipotecaria in quanto riteneva che i beni sui quali era stata iscritta fossero stati destinati ai bisogni della famiglia, stante la costituzione di un fondo patrimoniale in epoca antece dente all’attività di impresa e che detti ultimi fossero impignorabili.
Avverso detta sentenza spiegava appello l’Agenzia delle entrate -R iscossione ribadendo l’inopponibilità del fondo patrimoniale.
La C.t.r., in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva l’appello rilevando che «la riconduzione dei crediti dell’Erario allo svolgimento della attività imprenditoriale di ‘fabbricazione di prodotti in calcestruzzo per l’edilizia’ non è sufficiente ad escludere la possibilità di escutere i beni conferiti in fondo patrimoniale».
L’ Agenzia delle entrate-riscossione ha depositato controricorso, mentre l’Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva.
In data 5 febbraio 2025 la contribuente ha chiesto dichiararsi cessata la materia del contendere, con compensazione delle spese di lite, evidenziando che, a seguito di pagamento del debito, l’Agenzia
delle Entrate -Riscossione aveva provveduto alla cancellazione dell ‘ iscrizione.
Considerato che:
Con il primo motivo la contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione all’accertamento dell’inopponibilità del fondo patrimoniale.
Assume che la sentenza impugnata non avrebbe affrontato né la questione della estraneità ai bisogni della famiglia dei debiti tributari in ragione dei quali era stata iscritta ipoteca sui beni conferiti al fondo patrimoniale, né la questione della conoscenza di tale circostanza da parte dell’Agente della Riscossione , limitandosi a rendere motivazione apodittica.
Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art. 77, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e degli artt. 169, 170, 2729 cod. civ.
Ribadisce che la sentenza impugnata non ha affrontato la questione di cui al primo motivo e deduce che la C.t.r non ha esaminato le difese dedotte in primo grado e la documentazione prodotta con la quale era stato documentalmente dimostrato che la famiglia non aveva tratto alcun beneficio dall’attività imprenditoriale ; che il debito fiscale era stato generato dalla tassazione di un credito mai incassato; che il debito fiscale per l’ Irap era estraneo ai bisogni della famiglia avendo natura di imposta sul reddito delle attività produttive; che dagli estratti del conto corrente dedicato all’attività della ditta individuale si ricavava che le somme ivi transitate non erano mai state utilizzate per esigenze private o della famiglia.
Preliminarmente deve rilevarsi che la ricorrente, chiedendo la dichiarazione di cessazione della materia del contendere -avendo
provveduto all’integrale pagamento del credito , così ottenendo la cancellazione d ell’ipoteca iscritta ha manifestato di non avere più interesse ad una decisione nel merito.
La cessazione della materia del contendere si ha per effetto della sopravvenuta carenza d’interesse della parte alla definizione del giudizio, postulando che siano accaduti fatti tali da eliminare le ragioni di contrasto tra le parti e da rendere incontestato l’effettivo venir meno dell’interesse sottostante alla richiesta pronuncia di merito. Non occorre, pertanto, un espresso accordo delle parti anche sulla fondatezza (o infondatezza) delle rispettive posizioni originarie nel giudizio. Ciononostante, deve procedersi all’accertamento della soccombenza virtuale ai fini della regolamentazione delle spese che, invece, costituisce il naturale corollario di un tal genere di pronuncia, quando non siano le stesse parti a chiederne congiuntamene la compensazione (Cass. 31/10/2023, n. 30251).
Ai fini della soccombenza virtuale, i motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.
4.1. L’art. 77, comma 1, d.P.R. n. 602 del 1973 dispone che, una volta decorso inutilmente il termine di cui all’art. 50, comma 1, del medesimo decreto -ovvero quello di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento-, il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati.
L’art. 170 cod. civ. stabilisce che l’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
4.2. Questa Corte ha spiegato che l’art. 170 c od. civ., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell’esecuzione sui beni costituiti in fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all’iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui all’art.
77 d.P.R. cit. ; ne consegue che l’agente della riscossione può iscrivere ipoteca su beni conferiti nel fondo soltanto se il debito da garantire sia stato contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari o se il titolare del credito per il quale si procede non fosse a conoscenza di tale estraneità, dovendosi, in caso contrario, ritenere illegittima l’eventuale iscrizione comunque effettuata (cfr . tra le più recenti Cass. 11/10/2024, n. 26496 e la giurisprudenza di legittimità ivi richiamata).
4.3. È stato, al riguardo, precisato che il criterio identificativo dei crediti suscettibili di realizzazione in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo va ricercato, non già nella natura delle obbligazioni, bensì nella relazione esistente fra il fatto generatore delle stesse e il soddisfacimento dei bisogni della famiglia; in quest’ottica, l’estraneità ai bisogni della famiglia non può ritenersi dimostrata, né esclusa, per il solo fatto dell’insorgenza del debito nell’esercizio dell’i mpresa. Spetta, in ogni caso, al contribuente dimostrare i fatti che possono condurre all’illegittimità dell’ipoteca, e cioè l’estraneità del debito ai bisogni della famiglia e la consapevolezza di tale estraneità da parte del creditore.
4.4. I princìpi di diritto innanzi esposti, dai quali non v’è ragione di discostarsi, sono stati correttamente applicati dalla C.t.r. che li ha puntualmente riportati, precisando che l’onere della prova grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale.
Di seguito la C.t.r., nel valutare la fattispecie concreta -e, dunque, quanto allegato dalla contribuente al fine di escludere la pignorabilità dei beni -ha ritenuto che il fatto che il debito erariale fosse connesso all’attività di impresa non era elemento sufficiente per ritenerlo estraneo ai bisogni della famiglia.
La sentenza, pertanto, espone chiaramente la ratio decidendi sottesa al decisum non incorrendo nel vizio di motivazione denunciato.
4.5. Va aggiunto che non è ammissibile una rivalutazione in sede di legittimità dell’apprezzamento condotto dal giudice di merito.
Il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata dalla norma di legge, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo attraverso la denunzia di un vizio di motivazione, tuttavia estranea alle doglianze della ricorrente.
La ricorrente, pur deducendo apparentemente, una violazione di norme di legge, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/07/ 2017, n. 8758).
Ne consegue la condanna delle ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della sola Agenzia delle entrate-Riscossione che ha resistito a mezzo controricorso.
Non vi sono i presupposti per imporre il pagamento del c.d. doppio contributo unificato. Il meccanismo sanzionatorio di cui all’art. 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, è applicabile solo ove il procedimento per cassazione si concluda con integrale conferma della statuizione impugnata, ovvero con la «ordinaria» dichiarazione di inammissibilità del ricorso, non anche nell’ipotesi di declaratoria di inammissibilità sopravvenuta di quest’ultimo per cessazione della materia del contendere, poiché essa determina la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in cosa giudicata, rendendo irrilevante la successiva valutazione della virtuale fondatezza, o meno, del ricorso in quanto avente esclusivo
rilievo in merito alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità (Cass. 20/07/2021, n. 20697).
P.Q.M.
La Corte dichiara cessata la materia del contendere e condanna la ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate -Riscossione le spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2025.