Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31895 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31895 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15002/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’ avvocato NOME COGNOME
(CHTMBR65L46F052K) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME (DPDGPP66B15F052A)
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LOMBARDIA n. 4687/2017 depositata il 16/11/2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/09/2024
dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ( hinc: CTR), con sentenza n. 4687/2017 depositata in data 16/11/2017, ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 538/2015, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Pavia aveva dichiarato nullo l’avviso di accertamento n. T9V01a300928/2014 emesso nei confronti di NOME COGNOME in merito all’anno d’imposta 2009.
La CTR ha ritenuto che l’atto impugnato fosse viziato da invalidità sopravvenuta alla luce della sentenza 17/03/2015, n. 37 della Corte costituzionale per straripamento di potere, atteso che « era stato sottoscritto da soggetto divenuto usurpatore di funzioni pubbliche per sopravvenuto retroattivo difetto assoluto di attribuzione».
Alla luce di C. cost. n. 37 del 2015 e di Cass. 09/11/2015, n. 2200, n. 22803 e 22810 ha, poi, evidenziato che l’atto di delega che avrebbe consentito, ad avviso dell’ufficio, la sottoscrizione dell’atto delegato -non era stato prodotto. Più precisamente, aveva evidenziato che non solo l’atto di delega non era stato prodotto nel giudizio di primo grado, ma non era stato prodotto -né indicato
neppure nell’atto d’appello con la conseguenza che la produzione successiva doveva ritenersi inammissibile.
Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso in cassazione con tre motivi.
Il sig. NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate ha contestato la violazione e falsa applicazione dell’art. 42 d.P.R. 29/09/1973, n. 600 e dei principi generali in materia di conferimenti di incarichi dirigenziali e di preposizione a uffici in combinato disposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
1.1. La ricorrente rileva che il firmatario dell’avviso di accertamento impugnato non doveva rivestire alcuna qualifica dirigenziale, dal momento che, ai sensi dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, è necessario e sufficiente che il funzionario delegato alla firma appartenga alla carriera direttiva. Inoltre, anche nell’ipotesi in cui il funzionario delegato avesse ricoperto un incarico dirigenziale, la sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015 non avrebbe avuto alcuna ripercussione, non riguardando alcun requisito necessario alla ricezione della delega ex art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973. Allo stesso tempo la pronuncia della Corte costituzionale non poteva ripercuotersi neppure sull’atto di conferimento della delega da parte del dirigente, dal momento c he l’illegittimità dell’atto di conferimento dell’incarico dirigenziale non si ripercuote sulla preposizione dell’organo come capo dell’ufficio. La ricorrente rileva, quindi, che: « il funzionario che si sia visto conferire illegittimamente l’incarico dirigenziale, ma essendo funzionario della carriera direttiva sia stato legittimamente proposto alla DP come Capo dell’ufficio (di questa) è legittimamente proposto all’organo ed ha -ai sensi dell’art. 42 art.
cit. -legittimo titolo per firmare gli avvisi di accertamento e a delegare la firma.»
Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate ha contestato la nullità della sentenza per inosservanza (violazione e falsa applicazione) dell’art. 56 d.lgs. 31/12/1992, n. 546, dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 7 d.lgs. n. 546 del 1992.
2.1. La ricorrente rileva che la Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto il ricorso solo ed esclusivamente perché aveva ritenuto che la sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015 avesse reso il sottoscrittore dell’avviso di accertamento impugnato come usurpatore di pubbliche funzioni. Il contribuente ha riproposto la questione dell’inesistenza della delega e della mancanza di prova (non accolta in primo grado) con l’atto di costituzione nel giudizio di appello, tuttavia depositato il 05/08/2016, (tardivamente) oltre il termine di sessanta giorni (rispetto al deposito dell’atto di appello in data 18/04/2016), con la conseguenza che la CTR non avrebbe potuto esaminare tale eccezione. Al contrario il giudice di secondo grado ha accolto (anche) una questione non espressamente riproposta (e quindi rinunciata) nel giudizio d’appello), in violazione degli artt. 56 e 7 d.lgs. n. 546 del 1992 e 112 cod. proc. civ.
Con il terzo motivo è stata contestata la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 58 d.lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. e la nullità della sentenza impugnata per inosservanza delle norme appena richiamate in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
3.1. La CTR nella sentenza impugnata ha ritenuto tardivamente depositato l’atto di delega. In particolare, il giudice di secondo grado ha ritenuto non solo che la delega non fosse stata depositata in primo
grado, ma neppure al momento della presentazione dell’atto d’appello.
La ricorrente evidenzia, tuttavia, come ai sensi dell’art. 58, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 la parte può sempre depositare in appello documenti non depositati in precedenza, anche oltre il termine per il deposito dell’atto d’appello, non trovando applicazione l’art. 32 d.lgs. n. 546 del 1992. Il deposito della memoria con cui sono stati depositati i documenti, compresi l’atto di delega e gli altri atti relativi alla validità di quest’ultimo , risale al settembre 2016, mentre l’udienza di trattazione della causa si è svolta il 25/09/2017, con la conseguenza che il termine ultimo per la produzione dei documenti è stato ampiamente rispettato.
Si è costituito il controricorrente, il quale ha contestato l’inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, eccependo che le censure della parte ricorrente presupponevano la trascrizione degli atti del processo, dove l’age nzia delle entrate avrebbe dedotto un’interpretazione delle norme diversa da quella data dalla CTR.
4.1. Ha poi rilevato l’infondatezza del primo motivo di ricorso, in relazione al quale ha evidenziato che l’atto impugnato reca la sottoscrizione non del direttore dell’Agenzia delle entrate provinciale, ma del sig. NOME COGNOME Rileva, poi, che: « non si sa se il Direttore dell’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Pavia, ossia la dr.ssa NOME COGNOME abbia acquisito legittimamente la qualifica dirigenziale o ne sia, invece, privo, avendola acquisita in base all’art. 8, comma 34, del Decreto Legge n. 16 del 02 marzo 2012, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della Legge n. 44 del 26 aprile 2012, dichiarato incostituzionale con sentenza della Corte Costituzionale, n. 37 del 25 febbraio 2015.»
In tale ipotesi resterebbero definitivamente regolati dalla normativa dichiarata costituzionalmente illegittima solamente i rapporti cd. esauriti, mentre ogni altro atto impositivo impugnato -come quello del caso di specie -sarebbe travolto dagli effetti dichiarativi e retroattivi della pronuncia della Corte costituzionale n. 37 del 2015. Peraltro, il sig. COGNOME non era affatto un funzionario della carriera direttiva nominato a seguito di concorso pubblico, con la conseguenza che era privo del potere rappresentativo. Difatti, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015 le norme che consentivano all’Agenzia delle Entrate di coprire le posizioni dirigenziali vacanti mediante il ricorso a contratti individuali di lavoro a termine con funzionari interni sono state dichiarate illegittime. Anche nell’ipotesi in cui non si trattasse di inesistenza giuridica dell’atto si avrebbe, comunque, nullità insanabile ex art. 21 septies legge n. 241 del 1990.
4.2. Anche il secondo motivo, ad avviso di parte controricorrente, è infondato. Oltre alla mancata indicazione della giurisprudenza conforme su cui si basa il motivo di ricorso, non si è verificata nessuna rinunzia della parte appellata (odierna parte controricorrente) in relazione alla questione di nullità inerente al mancato deposito della delega. In primo luogo, la costituzione in giudizio della parte resistente, ancorché tardiva, è da ritenere valida se rispetta le tempistiche previste dall’art. 54 d.lg s. n. 546 del 1992 (C. cost. 04/04/2006, n. 144). La parte resistente può costituirsi anche tardivamente, cioè dopo sessanta giorni, purché entro il termine ultimo di dieci giorni prima della trattazione in camera di consiglio. Non si è, quindi, verificata alcuna preclusione con la costituzione tardiva del contribuente, né alcuna rinunzia alle questioni riproposte nell’atto di controdeduzioni. Resta, poi, che con la produzione della delega di firma tardiva, nonostante la
contestazione circa la sua validità, sollevata fin dal ricorso introduttivo, l’ufficio non ha assolto all’onere di provare la legittimità dell’atto impugnato. La controricorrente rileva, poi, che la delega di firma, per essere considerata legittima, non può essere conferita in bianco, limitandosi a indicare solamente la qualifica professionale del delegato.
4.3. Il controricorrente ha contestato, infine, anche sia l’ammissibilità (in quanto riunisce due ipotesi riconducibili a due diversi motivi di ricorso all’interno di un unico motivo e non indica quale sia la giurisprudenza conforme della Corte di cassazione), sia la fondatezza del terzo motivo di ricorso. Rileva, in particolare, che l’art. 32 d.lgs. n. 546 del 1992 deve essere letto in combinato disposto con l’art. 58 d.lgs. n. 546 del 1992. Nel caso di specie, a fronte della contestazione relativa alla mancanza di prova della legittimità della sottoscrizione dell’avviso impugnato, la delega di firma è stata prodotta solamente nell’ambito delle memorie del giudizio d’appello. Tale documento, tuttavia, per essere considerato ammissibile, avrebbe dovuto avere il carattere della novità. Riconoscere l’ammissibilità della produzione di qualsiasi documento non esibito o tardivamente esibito in primo grado, significa attuare un’evidente compressione del diritto di difesa ex art. 24 Cost., dal momento che la produzione tempestiva in primo grado avrebbe consentito la proposizione di motivi aggiunti all’interno di tale giudizio.
4.4. La controricorrente ha, infine, richiamato i plurimi motivi proposti in relazione all’avviso di accertamento impugnato e le specifiche contestazioni di infondatezza della pretesa impositiva.
Passando all’esame dei motivi di ricorso con riferimento al primo motivo occorre dare, preliminarmente, atto dell’errore materiale in cui è incorsa la parte ricorrente nell’evocare l’art. 360,
primo comma, n. 4, cod. proc. civ., anziché l’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. L’errore materiale risulta evidente non solo perché l’incipit del motivo fa riferimento alla violazione e falsa applicazione di una norma di diritto, ma anche perché a pag. 9, alla fine, la stessa ricorrente afferma che: « Dunque l’affermazione della CTR che il palesarsi illegittimi (e il loro venir meno) di incarichi di funzioni dirigenziali per effetto della sentenza 37/15 della Corte Costituzionale comporta la nullità degli avvisi di accertamento è palese errore di diritto che viola e falsamente applica quanto in rubrica.»
5.1. Ciò premesso il motivo di ricorso è fondato. L’art. 42, primo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 prevede, infatti, che: « Gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato.»
In relazione agli effetti della sentenza n. 37 del 2015 della Corte costituzionale questa Corte ha affermato che: « In tema di accertamento tributario, ai sensi dell’art. 42, primo e terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito dalla l. n. 44 del 2012. » (Cass., 26/02/2020, n. 5177).
Sempre questa Corte ha precisato, in merito all’interpretazione dell’art. 42, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973 e agli effetti di C. cost.
n. 37 del 2015 che: « In ordine agli avvisi di accertamento in rettifica e agli accertamenti d’ufficio, il d.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, impone sotto pena di nullità che l’atto sia sottoscritto dal “capo dell’ufficio” o “da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato”, senza richiedere che il capo dell’ufficio o il funzionario delegato abbia a rivestire anche una qualifica dirigenziale; ciò ancorché una simile qualifica sia eventualmente richiesta da altre disposizioni. In esito alla evoluzione legislativa e ordinamentale, sono impiegati della carriera direttiva, ai sensi della norma appena evocata, i “funzionari di area terza” di cui al contratto del comparto agenzie fiscali fissato per il quadriennio 2002-2005. In questo senso la norma sopra citata individua l’agente capace di manifestare la volontà della amministrazione finanziaria negli atti a rilevanza esterna, identificando quale debba essere la professionalità per legge idonea a emettere quegli atti. Essendo la materia tributaria governata dal principio di tassatività delle cause di nullità degli atti fiscali, e non occorrendo, ai meri fini della validità di tali atti, che i funzionari (delegati o deleganti) possiedano qualifiche dirigenziali, ne consegue che la sorte degli atti impositivi formati anteriormente alla sentenza n. 37 del 2015 della corte costituzionale, sottoscritti da soggetti al momento rivestenti funzioni di capo dell’ufficio, ovvero da funzionari della carriera direttiva appositamente delegati, e dunque da soggetti idonei ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, non è condizionata dalla validità o meno della qualifica dirigenziale attribuita per effetto della censurata disposizione di cui art. 8, 24° comma, del d.l. n. 16 del 2012.» (Cass., 09/11/2015, n. 22810).
6. Anche il secondo motivo di ricorso è fondato.
6.1. L’art. 56 d.lgs. n. 546 del 1992 prevede che: « Le questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della commissione
provinciale, che non sono specificamente riproposte in appello, s’intendono rinunciate.»
6.2. Nella specie è pacifico che la parte appellata (odierna controricorrente) si sia costituita successivamente al termine di sessanta giorni, riproponendo la questione relativa alla mancata prova della delega da parte dell’amministrazione finanziaria.
Dalla lettura della sentenza impugnata e dagli atti del giudizio risulta che su tale questione il giudice di primo grado non si fosse pronunciato, fondando la propria decisione sulla (ritenuta) nullità dell’avviso di accertamento in quanto emesso da un fun zionario che aveva usurpato i propri poteri, sulla base di un’interpretazione non corretta alla base di quanto evidenziato supra sub 5. e 5.1. Nell’ambito dell’inquadramento seguito dal giudice di prime cure è da ritenere che la questione relativa alla mancata prova della delega sia stata ritenuta assorbita e non, invece, rigettata. La parte appellata era, quindi, onerata della riproposizione di tale motivo ai sensi dell’art. 56 d.lgs. n. 546 del 1992, al fine di evitare che la propria condotta omissiva potesse essere qualificata, in base alla norma appena richiamata, come rinuncia al motivo di censura avverso il provvedimento impugnato.
Questa Corte ha affermato che: « Nel processo tributario, l’art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 c.p.c., all’appellato e non all’appellante, principale o incidentale che sia, in quanto l’onere dell’espressa riproposizione riguarda, nonostante l’impiego della generica espressione “non accolte”, non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato (ad esempio, perché ritenute assorbite),
non essendo ipotizzabile, in relazione alle domande o eccezioni espressamente respinte, la terza via – riproposizione/rinuncia rappresentata dagli artt. 56 del detto d.lgs. e 346 c.p.c., rispetto all’unica alternativa possibile dell’impugnazione -principale o incidentale – o dell’acquiescenza, totale o parziale, con relativa formazione di giudicato interno. » (Cass., 06/06/2018, n. 14534).
6.3. L’onere di riproporre le questioni assorbite ex art. 56 d.lgs. n. 546 del 1992 deve essere esercitato in conformità al principio di autoresponsabilità e dell’affidamento processuale , nonché dei principi di speditezza e concentrazione, così come precisati (anche con riferimento alle tempistiche processuali) nella giurisprudenza di questa Corte.
6.4. In particolare, le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza 21/03/2019, n. 7940) hanno affermato che: « Nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla l. n. 353 del 1990 e dalle successive modifiche, le parti del processo di impugnazione, nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale ex art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel “thema probandum” e nel “thema decidendum” del giudizio di primo grado. »
Sui termini (anche decadenziali) dell’esercizio dell’onere di riproposizione ex art. 56 d.lgs. n. 546 del 1992 questa Corte ha precisato che: « Nel processo tributario, la volontà dell’appellato di riproporre le questioni assorbite, pur non occorrendo a tal fine alcuna
impugnazione incidentale, deve essere espressa a pena di decadenza nell’atto di controdeduzioni, da depositare nel termine previsto per la costituzione in giudizio, e non può essere manifestata in un atto successivo, perché, a norma dell’art. 32 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, gli atti successivi esplicano una funzione meramente illustrativa, e, più in generale, perché il giudizio tributario è improntato a criteri di speditezza e di concentrazione ed esige, quindi, che l’ambito della materia del contendere devoluto al giudice del gravame sia definito da entrambe le parti sin dal primo atto difensivo. » (Cass. 19/10/2012, n. 17950).
È stato, inoltre, affermato che: « Nel processo tributario, improntato a criteri di speditezza e concentrazione, la volontà dell’appellato di riproporre le questioni assorbite, pur non occorrendo a tal fine alcuna impugnazione incidentale, deve essere espressa, a pena di decadenza, nell’atto di controdeduzioni da depositare nel termine previsto per la costituzione in giudizio, e non può essere manifestata in atti successivi, che esplicano una funzione meramente illustrativa .» (Cass., 18/12/2014, n. 26830).
Di conseguenza, le questioni ed eccezioni assorbite devono essere riproposte dalla parte appellata, ai sensi e per gli effetti dell’art. 56 d.lgs. n. 546 del 1992 e a pena di decadenza, nell’atto di controdeduzioni da depositare nel termine previsto per la costituzione in giudizio.
Il terzo motivo di ricorso, invece, è assorbito, considerata la fondatezza del secondo motivo.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato devono essere accolti il primo e il secondo motivo di ricorso, con assorbimento del terzo motivo.
8.1. La sentenza impugnata deve essere cassata, rinviando alla corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia che, in
diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il primo e il secondo motivo, con assorbimento del terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, che in diversa composizione deciderà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 27/09/2024.