Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4855 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4855 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15196/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente
sul ricorso incidentale proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente incidentale-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
-intimata-
Avverso la SENTENZA della C.T.R. della Puglia n. 59/2016 depositata il 18/01/2016.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME;
Udito l’Avv. dello Stato NOME COGNOME per l’Agenzia delle Entrate
FATTI DI CAUSA
L’agenzia delle Entrate ricorre avverso la sentenza della C.T.R. della Puglia, che ha solo parzialmente accolto l’appello formulato dall’Ufficio contro la sentenza della C.T.P. di Bari di accoglimento del ricorso per l’annullamento dell’avviso di
accertamento notificato alla RAGIONE_SOCIALE con il quale era stato accertato, per l’anno di imposta 2007, un maggior reddito imponibile di euro 1.428.795,00, ai fini IRES, un maggior valore della produzione netta per euro 1.438.795,00, ai fini IRAP ed una maggior imposta di euro 253.080,00 ai fini IVA.
2. La C.T.R. ha dato atto che con l’avviso di accertamento erano state contestate: la fittizietà dell’iscrizione a bilancio a titolo di ‘finanziamento infruttifero socio Acquafredda’ della somma di euro 150.330,94, ripresa integralmente a tassazione quale maggior ricavo non contabilizzato, ai sensi degli artt. 85 e 109 TUIR; le discordanze fra gli importi iscritti nel ‘conto acquisti servizi edili subappaltatori ‘ relativi a fatture emesse per lavori di intonacatura da imprese fornitrici e quanto da queste dichiarato, in assenza della certezza dell’effettività delle prestazioni, con ripresa a tassazione delle relative somme, ai sensi dell’art. 109 T.U.I.R., quali maggiori ricavi non contabilizzati; la deduzione della somma di euro 13.890,00 a titolo di ‘spese di rappresentanza’, rinveniente da fatture emesse da due ristoranti, rispetto alle quali la società contribuente non aveva documentato l’inerenza e la congruità del costo, integralmente ripresa a tassazione ex art. 109 T.U.I.R.; la deduzione della somma di euro 9.173,00 a titolo di ‘oneri di vitto e alloggio per i dipendenti’ per le quali difettavano i requisiti di inerenza e congruità ex art. 109 T.U.I.R., integralmente ripresa a tassazione. La C.T.R., ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate limitatamente al rilievo inerente alla fittizietà dell’iscrizione a bilancio della somma di euro 150.330,94, a titolo di finanziamento infruttifero del socio RAGIONE_SOCIALE, essendo la medesima provata a mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti e corroborata dall’assenza di esigenze di cassa o di liquidità aziendale; nonché relativamente alle somme iscritte a titolo di ‘spese di rappresentanza’, per non avere la società
provato che gli esborsi fossero correlati all’accrescimento del prestigio o dell’immagine aziendale. La C.T.R. ha, invece, respinto il motivo di appello riguardante: le discordanze fra gli importi recati dalle fatture emesse dalle imprese subappaltatrici di lavori edili e le dichiarazioni ai fini reddituali, IRES ed IVA da queste presentante, ritenendo provata l’effettività delle prestazioni in forza delle produzioni documentali (fatture, pagamenti tramite assegni bancari), nonché delle puntuali annotazioni sul libro giornale e della perizia con la quale la contribuente aveva dimostrato l’esecuzione delle opere . La C.T.R. ha, altresì, respinto la doglianza relativa all’inerenza all’attività di impresa dei costi iscritti a titolo di ‘conto oneri vitto/alloggio dipendenti’, per genericità della motivazione dell’avviso di accertamento, avuto riguardo al fatto che il medesimo si riferiva a n. 14 fatture delle 132 portate dal conto ‘oneri vitto/alloggio dipendenti’ e che l’Agenzia delle Entrate aveva chiarito solo nelle controdeduzioni in primo grado quali fossero le fatture in discussione, con compromissione del diritto di difesa del contribuente, impossibilitato a replicare sulla base della sola lettura dell’avviso di accertamento.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso, formulando ricorso incidentale.
Il Procuratore generale con requisitoria scritta chiede il rigetto di entrambi i ricorsi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’Agenzia delle Entrate formula tre motivi di impugnazione.
Con il primo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., 324 c.p.c. e 124 disp. att. c.p.c., per avere la C.T.R., nel dare risposta al secondo mezzo di gravame, relativo al ‘conto acquisti servizi
edili subappaltatori’, affermato -richiamandone la motivazioneche la sentenza n.2445/1714 dalla medesima C.T.R., resa fra le parti e riferita agli anni di imposta 2003-2004, è passata in giudicato, ancorché l’Amministrazione finanziaria abbia interposto ricorso per cassazione
Con il secondo motivo si duole, ex art. 360, comma 1 n. 4) c.p.c., della violazione dell’art. 132 c.p.c.. Ricorda che il vizio di motivazione si converte in violazione di legge allorquando sia così radicale da comportarne la mancanza. Sostiene che, nel caso di specie, la C.T.R. non tenendo conto, nel rigettare il motivo riguardante il ‘conto acquisti servizi edili subappaltatori’, che le prove offerte dalla società contribuente -consistenti in copie di assegni bancari, dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà, nonché in una perizia giurata volta a dimostrare l’effettività delle prestazioni, depositata pochi giorni prima della data per la discussione della causa in appello- non potevano essere idonee ad assolvere l’onere della prova contraria gravante sul contribuente, ha fornito una motivazione solo apparente.
Con il terzo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., nonché 39 d.P.R. 600/1973 e 109 T.U.I.R. Assume che, sempre in riferimento alla censura attinente al ‘conto acquisti servizi edili subappaltatori’, la C.T.R. ha violato la regola di giudizio imposta dall’art. 2697 c.c., non avvedendosi che l’Ufficio aveva dato prova, a mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti, dell’inesistenza oggettiva delle operazioni de quibus, mentre la prova fornita dalla società contribuente era priva di valore dimostrativo, posto che, da un lato, gli assegni bancari sono proprio gli strumenti utilizzati per lasciare traccia dei pagamenti delle fatture oggettivamente inesistenti, dall’altro, la perizia giurata non era corredata da fotografie comprovanti
l’ubicazione delle strutture su cui le opere sarebbero state eseguite.
RAGIONE_SOCIALE formula un unico motivo di ricorso incidentale.
Con la doglianza lamenta, ex art. 360, comma 1 n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 88 d.P.R. 917/1986 in combinato disposto con gli artt. 85 e 109 T.U.I.R.. Rileva che la C.T.R., nel riformare la sentenza di primo grado in ordine all’iscrizione a bilancio del ‘finanziamento infruttifero socio RAGIONE_SOCIALE‘, per l’importo di euro 150.330,94, non ha tenuto in considerazione che la somma era iscritta nelle scritture contabili già alla data del 1^ gennaio 2007, ciò dimostrando che il finanziamento risaliva all’anno 2006, risultando annotato nel sottoconto corrispondente alla data del 31 dicembre 2006. Sottolinea che nel 2007 è stata restituita, in due occasioni (10 maggio 2007 e 26 novembre 2007), parte della somma data a prestito nell’anno 2006 (come risulta annotato sul mastrino), mentre l’unico finanziamento relativo all’anno 2007 (pari a euro 38.203,00) non è stato contestato dall’Ufficio. La riferibilità del finanziamento contestato al 2006, comporta, ai sensi dell’art. 88, comma 3 lett. b) T.U.I.R., la tassazione del medesimo nell’anno dell’incasso, o, in alternativa, in quattro quote costanti negli anni successivi. Osserva che la sentenza impugnata motiva l’accoglimento del ricorso dell’Ufficio, sulla base di due presupposti: il richiamo dei principii di continuità dei valori di bilancio, incoerentemente evocato, posto che nessuna fittizietà era stata né contestata, né dimostrata dall’avviso di accertamento per l’anno 2006; la mancata documentazione della disponibilità reddituali della socia COGNOME ancorché la ripresa a tassazione fosse stata diversamente motivata dall’atto impositivo, ivi facendosi riferimento all’incertezza sulla provenienza della somma. Sottolinea che il richiamo operato
dalla decisione all’art. 88, comma 1 T.U.I.R. è inconferente, versandosi piuttosto nell’ipotesi del comma 4 della disposizione , che esclude dalle sopravvenienze attive ‘i versamenti in denaro fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società o agli enti di cui all’art. 73, comma 1 lett. a) e b) dai propri soci’. Siffatta norma, invero, va letta in combinato disposto con l’art. 46 T.U.I.R., in base al quale le somme versate dai soci si considerano date a mutuo se dai bilanci o da altri rendiconti non risulta che il versamento è fatto ad altro titolo. Assume che la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che l’art. 55, comma 4 T.U.I.R. escluda dalla categoria delle sopravvenienze attive i finanziamenti derivanti da mutui.
Il primo motivo del ricorso principale è manifestamente infondato
La doglianza, innanzitutto, mal intende la decisione impugnata che, pur dando per passata in giudicato la sentenza della C.T.R. richiamata, resa fra le stesse parti e relativa a diverse annualità di imposta (2003-2005), che in realtà non lo era, si limita a richiamarne le motivazioni a suffragio di quelle esposte, senza evocare espressamente il giudicato come precedente vincolante. D’altro canto, da un lato, la sentenza della C.T.R. di Bari n. 2445/1714, impugnata per cassazione dall’Agenzia delle Entrate è attualmente passata in giudicato, essendo il ricorso dell’Ufficio stato rigettato da questa Corte, con Ordinanza n. 14520 del 4 aprile 2022, dall’altro, comunque la pronuncia è inidonea a condizionare il presente procedimento essendo relativa ad annualità diverse e si fondano su presupposti di fatto differenti (cfr. ‘La sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato, nei giudizi relativi ad imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, ove pendenti tra le stesse parti, solo per
quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto relativi a tributi differenti ed a diverse annualità. (Sez. 5, Sentenza n. 38950 del 07/12/2021; cfr. anche: Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006; Sez. 5, Sentenza n. 17718 del 30/07/2009; Sez. 5, Ordinanza n. 13152 del 16/05/2019).
Il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale possono essere trattati congiuntamente, in quanto intrinsecamente connessi.
9.1 Entrambe le doglianze sono inammissibili.
9.2 In primo luogo, infatti, la motivazione della sentenza gravata non può dirsi nulla per omissione o apparenza della motivazione.
9.3 In proposito, è’ stato recentemente precisato (Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023), che gli estremi della nullità della sentenza per vizio della motivazione, denunciabili ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ., possono dirsi integrati quando «non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione», ciò non essendo, nondimeno, configurabile nel caso di «una pur succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione impugnata» (cfr. Sez. 3, Ordinanza del 15 novembre 2019, n. 29721). Ovvero qualora la motivazione «risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile)» (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Sez. 6- L, Ordinanza n.
16611 del 25/06/2018). Mentre, «costituisce ius receptum il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre solo allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo d.lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata » (così Sez. 6-5, 8 giugno 2022, n. 26477, in motivazione).
9.4 Ora, la lettura della sentenza impugnata consente di escludere che la medesima sia affetta dai vizi denunciati. Ed invero, la motivazione non solo è esistente, ma è articolata in modo tale da permettere di riscostruirne e comprenderne il fondamento. La C.T.R., infatti, ritiene che le prove offerte dalla società contribuente siano idonee, nel loro complesso, a vincere la presunzione che, ai sensi dell’art. 39 d.P.R. 600/1973, sorregge l’avviso di accertamento.
9.5 Va, infatti, ricordato, che ‘La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove
proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 n. 5 c.p.c.)’. (così: Sez. 3 – , Sentenza n. 13395 del 29/05/2018; cfr. anche ex multis : Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018).
9.6 Peraltro, non risulta affatto dalla lettura della sentenza che il giudice di secondo grado si sia limitato a ritenere sufficiente a vincere la presunzione di cui all’art. 39 d.P.R. 600 del 1973 la copia degli assegni di pagamento dei lavori edili portati dalle fatture delle imprese subappaltatrici, avendo, invece, preso in considerazione ulteriori elementi di natura indiziaria, quali l’annotazione sul libro giornale della società , o aventi valore di argomento di prova, quali la perizia giurata prodotta dalla società, con la quale si dà conto dei contratti di appalto e subappalto cui le fatture si riferiscono, in relazione ai singoli cantieri.
Ecco, allora, che le censure per come formulate dall’Ufficio, rivolte particolarmente per smentire la perizia, finiscono per integrare una richiesta di rivalutazione probatoria, non consentita in questa sede di legittimità.
L’unico motivo proposto con il ricorso incidentale è in parte inammissibile ed in parte infondato.
10.1 Invero, nel contraddire la sentenza impugnata, nella parte in cui afferma l’inesistenza delle passività iscritte alla voce ‘finanziamento infruttifero socio RAGIONE_SOCIALE‘ si limita a contestarne l’erroneità per avere la C.T.R. sostenuto che non sussistono ‘elementi su cui vagliare la congruenza tra il reddito dichiarato dalla socia finanziatrice e l’entità del finanziamento erogato’, da ciò derivando la natura solo contabile dell’operazione, benché l’avviso di accertamento fosse motivato sulla base dell’incertezza della provenienza del finanziamento.
Ora, la semplice lettura della decisione sconfessa l’assunto difensivo, avendo il giudice di secondo grado sotteso all’accoglimento del motivo gravame dell’Ufficio una pluralità di considerazioni. Ed in particolare, l’assenza di giustificazioni plausibili per l’erogazione di una somma di rilevante importo legate ad esigenze di cassa o di liquidità aziendale, nonché l’assenza di evidenze documentali delle modalità di finanziamento.
La censura, dunque, non si confronta con la molteplicità degli argomenti esposti dal giudice di appello, idonei a fondare la decisione, anche espungendo la considerazione attinta con la doglianza.
L’ulteriore rilievo, inerente all’errato inquadramento del finanziamento quale sopravvenienza attiva, ai sensi dell’art. 88, comma 1 T.U.I.R., a fronte della previsione di cui al comma 4 della medesima disposizione che esclude dalla categoria delle sopravvenienze di cui al primo comma i versamenti in denaro a fondo perduto, è infondato.
11.1 Se è vero, infatti, che l’erogazione di somme da parte del socio in favore della società non rientra nelle sopravvenienze attive ‘in quanto, se il finanziamento avviene a titolo di mutuo, l’obbligo di restituzione esclude che esso determini nuova ricchezza, mentre, se avviene in conto capitale, la configurabilità della sopravvenienza è esclusa dall’art. 88, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986’ (Sez. 5, Sentenza n. 23782 del 20/11/2015) nondimeno, per escludere che siffatto versamento dalla disciplina di cui al primo comma dell’art. 88 T.U.I.R. occorre che il finanziamento del socio sia ritenuto reale e non fittizio, come è accaduto nel caso di specie.
11.2 Né può condividersi l’ulteriore argomentazione spesa dalla ricorrente secondo la quale se le somme versate dalla socia in favore della società non dovessero essere ritenute
finanziamenti a fondo perduto allora esse avrebbero dovuto essere tassate nell’anno 2006, o, alternativamente, nei quattro anni successivi, come previsto dall’art. 88, comma 3 lett. b), concorrendo a formare il reddito nell’esercizio in cui sono incassate, restando esclusa, in ogni caso, l’applicabilità dell’art. 88, comma 1 cit..
11.3 Si tratta , infatti, di una tesi suggestiva, ma fondata su un corto circuito logico. E ciò, perché l’iscrizione dei versamenti quali finanziamenti a fondo perduto, implica che il contribuente non dichiari quegli importi sotto altre voci. Sicché se, come nell’ipotesi in esame, i versamenti sono fittizi e l’accertamento fiscale non intervenga nell’anno in cui vengono iscritti a titolo di finanziamento a fondo perduto, ma solo successivamente, si produrrebbe il curioso effetto per il quale essi non saranno tassati nell’anno di imposta corrispondente alla loro iscrizione a bilancio quali versamenti a fondo perduto, perché essi sono dichiarati come tali, ma non potranno neppure essere tassati successivamente, ancorché intervenga l’accertamento della loro fittizietà, perché, nella tesi prospettata dalla ricorrente, avrebbero dovuto essere tassati nell’anno in cui sono versati (o nei quattro anni successivi). E questo, pur tacendo del fatto che l’art. 88, comma 3 lett. b), richiamato dalla società contribuente, riguarda i proventi in denaro diversi dai versamenti quelli di cui all’art. 88, comma 4 cit..
11.4 Ecco, allora, che l’accertamento della natura di ricavi delle somme iscritte a bilancio quali ‘finanziamento infruttifero RAGIONE_SOCIALE‘, effettuata dalla C.T.R. tramite il ricorso agli indici rivelatori indicati dalla giurisprudenza (Sez. 5, Sentenza n. 12764 del 30/01/2015; Sez. 5, Sentenza n 14066 del 23/09/2017, non massimate), comporta l’applicazione dell’art. 88, comma 1 T.U.I.R., in quanto la somma iscritta quale
passività nell’esercizio precedente costituisce sopravvenienza attiva.
11.5 Al rigetto di entrambi i ricorsi consegue la compensazione delle spese di lite di questo grado di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese di lite di questo giudizio di legittimità
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2023