Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 593 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 593 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
TRIBUTI
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 1687/2015 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, corrente in Cernusco sul Naviglio, in persona del legale rappresentante NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in base alla procura su foglio separato e congiunto, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dello stesso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale –
Avverso le sentenze della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 2769/2014, depositata il 23 maggio 2014.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 dicembre 2023 dal consigliere NOME COGNOME
Dato atto che il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso limitatamente al sesto motivo
spiegato in via subordinata, chiedendo nel resto il rigetto del medesimo, nonché l’accoglimento del ricorso incidentale .
Il difensore della contribuente, avv. COGNOME ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
Rilevato che:
A seguito di esame della documentazione, prodotta in risposta ad apposito questionario, l’Agenzia riscontrava varie anomalie, per cui ai sensi dell’art. 39, d.p.r. n. 600/1973, accertava nei confronti della ricorrente principale RAGIONE_SOCIALE maggiori ricavi conseguenti all’attività d’impresa (costruzione e vendita di immobili) per € 102.380,00 e maggior IVA, nonché interessi attivi non contabilizzati per € 113.458, il tutto con riferimento all’anno d’imposta 2006.
La contribuente proponeva ricorso che la CTP accoglieva limitatamente al secondo rilievo (relativo agli interessi), e la CTR, adìta in via principale dalla ricorrente ed in via incidentale dall’Agenzia, confermava la sentenza di primo grado.
Ricorre quindi la contribuente in cassazione, affidandosi a sei motivi. L’Agenzia resiste a mezzo di controricorso, spiegando altresì ricorso incidentale affidato a sua volta ad un motivo.
Successivamente il ricorrente principale ha depositato memoria illustrativa a mezzo della quale ha altresì fatto valere l’intervenuta modifica legislativa in ordine all’entità delle sanzioni, a valersi per l’ipotesi in cui le difese non venissero accolte.
Considerato che:
Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione degli artt. 39, comma 1, lett. d, d.p.r. n. 600/1973, 1 e 53, Cost., e 2697, cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.
Ritiene la ricorrente che con riguardo al secondo rilievo – avente ad oggetto la contestazione di un finanziamento ‘intercompany’, in quanto il versamento di acconti per stati di avanzamento lavori nei
confronti dell’impresa appaltatrice (RAGIONE_SOCIALE avente sede nel medesimo immobile e lo stesso legale rappresentante, NOME COGNOME, della ricorrente RAGIONE_SOCIALE) non risulterebbe giustificato e costituirebbe anzi un comportamento palesemente antieconomico, con conseguente determinazione degli interessi attivi conseguenti – che la CTR sia incorsa in violazione delle disposizioni denunciate laddove ha appunto condiviso l’esistenza del collegamento fra le due imprese (committente ed appaltatrice) e in ogni caso avendo invertito l’onere della prova, gravante sull’amministrazione, volta che la contribuente aveva provato a mezzo di fatture la giustificazione degli esborsi in favore dell’appaltatrice, del resto per la ricorrente pienamente rispondente alla logica dell’appalto, considerata anche l’entità dell’intervento edilizio in esame (4659 mq), per cui il ragionamento sotteso -secondo cui i pagamenti avrebbero dovuto essere effettuati solo all’esito di sufficienti incassi dalle vendite – apparirebbe irrazionale, oltre che contrastante con il divieto per l’amministrazione di entrare nel merito delle scelte imprenditoriali del contribuente.
1.1.Il motivo è infondato. In effetti come noto l’art. 39, comma 1, lett. d) n. 600/73 consente di ricostruire l’esistenza di attività non dichiarate sulla base di presunzioni semplici, in caso di ‘incompletezza, falsità o inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione ‘ i quali ultimi risultino da ispezione sulle scritture contabili o altre verifiche ex art. 33 d.p.r. n. 600/73 (accessi), o dal controllo di completezza e veridicità risultanti da fatture o altri documenti relativi all’impresa o altri dati e notizie raccolti ai sensi dell’art. 32 n. 600/73.
Ora in proposito l’amministrazione ha allegato le costanti dichiarazioni della ricorrente per redditi minimi; l’incoerenza rispetto agli studi di settore; l’omessa registrazione di alcuni preliminari; l’omessa imputazione al conto economico di acquisti
risultanti dalla dichiarazione IVA; l’indicazione di prezzi per unità immobiliari differenti senza giustificazione.
Sul punto, si è avuto un apprezzamento di fatto da parte del primo giudice, poi ribadito dalla CTR, che chiaramente non può essere devoluto alla Corte di legittimità.
Né può ritenersi poi che i giudici di merito abbiano posto a carico del contribuente un onere della prova spettante all’amministrazione, determinandone così l’inversione.
L’amministrazione, presenti i presupposti per giungere all’accertamento induttivo, ha rilevato la presenza di un prestito infragruppo nei termini sopra riportati, presumendone quindi la remunerazione in termini di interessi, sulla base del principio della naturale fruttuosità del denaro.
Orbene è vero che la contribuente ha prodotto delle fatture emesse dall’impresa appaltatrice, ma tale elemento nulla toglie al ragionamento posto alla base dell’accertamento, basato come detto sulla sussistenza di un finanziamento ‘intercompany’, fosse pure erogato in vista dell’esecuzione delle opere.
Per contrastare tale ricostruzione, la contribuente s’è limitata a sostenere che l’amministrazione non avrebbe dimostrato il collegamento tra le due società in questione (la ricorrente RAGIONE_SOCIALE, committente, e l’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE), ma in realtà l’amministrazione ha fornito elementi per individuare siffatto collegamento ai sensi dell’art. 2359 c.c., costituito dalla comunanza del rappresentante legale delle due società, dalla coincidenza della sede sociale, infine dalla sostanziale assorbenza dei vincoli contrattuali stipulati (risulta che su acquisti per € 4.164.033, ben € 3.857.218 sarebbero riferibili all’appaltatrice).
Trattasi in effetti di elementi che hanno fatto ritenere la presunzione di un’influenza notevole determinata anzitutto dal coordinamento tecnico e amministrativo – finanziario discendente tra l’altro dall’esistenza di un comune soggetto direttivo con
conseguente confluenza delle attività delle imprese verso uno scopo comune , quell’unicità di centro decisionale preso in considerazione ad esempio dalla disciplina degli appalti pubblici (art. 80, comma 5, lett. m, del codice dei contratti pubblici). A fronte di tali elementi, accompagnati dagli altri (identità di sede e assorbenza dei vincoli contrattuali) alcun elemento ha a quel punto opposto la contribuente in senso contrario.
Ebbene nel condividere l’accertamento di un finanziamento intercompany la CTR non risulta aver violato il riparto dell’onere della prova: l’amministrazione ha infatti provato che vennero versate le somme pari ad € 3.857.218 ad una società con elementi di collegamento non smentiti a fronte di incassi per € 1.962.923, per giunta ricorrendo all’indebitamento (almeno in parte rilevante sicuramente imputabile alle erogazioni in favore dell’appaltatrice), passato da € 3.325.576 ad € 5.846.856 e con incremento conseguente degli oneri (interessi passivi più che raddoppiati), a fronte del che i giudici del merito non hanno ritenuto -sulla base di un accertamento di fatto – che la produzione delle fatture emesse dalla società collegata costituissero elemento sufficiente ad assolvere al relativo onere probatorio, ma hanno ritenuto fondata la presunzione del finanziamento.
Né ciò vìola il principio di non ingerenza nelle scelte imprenditoriali, che trova sempre il limite nella ragionevolezza delle stesse affinché possano ritenersi verosimili, il che non accade quando esse appaiano antieconomiche ed irrazionali (cfr. fra le altre Cass. 05/12/2014, n. 25758). Nella specie un così rilevante anticipo, senza alcun supporto contrattuale (si noti in proposito che proprio la parte ricorrente tiene a sottolineare l’imponenza dell’intervento edilizio realizzato, il che in diverso contesto avrebbe reso logica l’esistenza di un rapporto contrattuale scritto e con previsione di acconti), addirittura affrontato a costo di rilevanti oneri, non può ritenersi razionale, , e quindi non può essere giustificato
dall’autonomia di scelte imprenditoriali, mentre ben più razionale appare la concessione di un prestito alla ‘consorella’ in vista delle spese da affrontare per l’esecuzione delle opere per come emergenti.
Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 115, cod. proc. civ., e 2697, cod. civ.
Sotto tale profilo si eccepisce l’erroneità della sentenza impugnata laddove la stessa ha ritenuto assolto da parte dell’amministrazione il proprio onere probatorio sul punto dell’accertamento di un prestito intercompany.
2.1. Anche tale motivo è infondato, e sul punto non si possono che ribadire le argomentazioni sopra indicate in punto di insussistenza di un’inversione dell’onere della prova.
Col terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 132 cod. proc. civ., 111 Cost. in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.
A parere della contribuente infatti nessuna motivazione sarebbe stata spesa per sostenersi che il contratto d’appalto dissimulasse un prestito intercompany, per sostenere l’esistenza di un collegamento societario, per ritenere poi l’antieconomicità del suddetto prestito e per ritenere che quest’ultimo dovesse essere remunerato nella misura del 4,5 %.
In ogni caso si ritiene che la relativa motivazione non sia intelligibile e comunque sia apparente.
3.1. Anche tale motivo è infondato.
Invero la CTR ha ritenuto che l’accertamento del prestito è dipeso dalla presenza ‘di un mancato introito degli interessi attivi che sarebbero maturati secondo un congruo tasso percentuale sulla liquidità sottratta all’impiego di un investimento nella normale gestione istituzionale caratteristica dell’impresa per effetto del sostenimento di costi non inerenti all’esercizio futuro’, osservando
altresì che la società nulla ha eccepito in ordine all’identità dei soggetti appaltante ed appaltatore.
Ne deriva che la motivazione è presente, e con essa si è indicato come la CTR condividesse quanto deciso dai primi giudici e l’impianto stesso dell’accertamento fiscale sul punto, specificando gli elementi che consentono di verificare il percorso logico seguito, e quindi la sussistenza di un finanziamento intercompany, appunto identificato dall”identità’ dei soggetti appaltante ed appaltatore nonché dal riferimento alla sottrazione delle risorse dall’attività istituzionale, e dalla ritenuta congruità dell’entità del tasso ricostruito, nonché -seppur implicitamente tramite il riferimento sempre alla sottrazione delle risorse dalla normale attività -dell’irrazionalità della scelta per come appariva indicata dalla documentazione.
Con il quarto mezzo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo, in particolare di (non) aver tenuto conto delle contestazioni della parte ricorrente in ordine all’esistenza di un rapporto societario tra l’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE e la committente RAGIONE_SOCIALE
4.1. Sul punto può ribadirsi quanto già rilevato in proposito: la CTR ha richiamato la ricostruzione effettuata dal primo giudice, ed in effetti -tralasciando l’imprecisione delle espressioni usate (‘identità dei soggetti appaltante e committente’) ha registrato il fatto che a fronte delle indicazioni sul punto tratte (come già visto, identità di legale rappresentante e sede delle due società) nulla avesse dedotto in contrario la contribuente.
Non si comprende quindi quale ‘fatto decisivo’ abbia omesso di considerare la CTR in proposito, aldilà delle argomentazioni giuridiche spese sulla rilevanza degli elementi valorizzati circa la sussistenza dei requisiti, argomentazioni che certo non costituiscono ‘fatti’ storici rilevanti rispetto al profilo di nullità denunciato.
Col quinto mezzo viene denunciata violazione dell’art. 109, TUIR, in quanto l’inerenza dei costi è sufficiente sussista in rapporto all’esercizio dell’attività d’impresa. Ne deduce la contribuente che avrebbe errato la CTR nel non esaminare ‘il programma imprenditoriale nel quale si collocavano le fatture di vendita emesse dalla ICA (appaltatrice) e il relativo contratto d’appalto, cioè la realizzazione di un vasto complesso immobiliare.
5.1. L’oscurità delle argomentazioni, contenute a sunto di una copiosa rassegna giurisprudenziale, sembrerebbe imputare alla sentenza di non aver posto in relazione l’operazione immobiliare e il suo sviluppo temporale con le fatture emesse, anziché seguire la tesi dell’ufficio di leggere le erogazioni appunto come finanziamento.
Tuttavia l’argomento dell’inerenza dei costi non è nel tema né degli atti oggetto d’impugnazione né tantomeno delle pronunce impugnate, posto che la ratio decidendi, su cui si doveva appuntare la critica della ricorrente nel merito, atteneva alla ricostruzione dei versamenti come finanziamento, al presupposto di tale qualificazione e -se non superati i presupposti per la qualificazione operata dall’ufficio a dimostrare la rispondenza di siffatti versamenti alla riconduzione degli stessi ad un’obbligazione contrattuale effettiva.
Come noto, invece, la tematica dell’inerenza dei costi attiene alla pertinenza rispetto all’attività svolta di un onere sostenuto, il che appunto non ha nulla a che vedere col thema decidendum.
Il motivo è dunque inammissibile.
Col sesto ed ultimo motivo si deduce violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ.
Invero si sostiene, in via subordinata rispetto al mancato accoglimento dei motivi precedenti, che nonostante la denuncia circa l’erroneità del calcolo degli interessi ricuperati a tassazione
siccome collegati all’assunto finanziamento, essendo gli stessi stati determinati a partire dalla differenza fra esposizione bancaria a inizio e fine esercizio 2006, senza considerare dunque come lo stesso potrebbe essersi formato anche per altri oneri, come imposte, oneri contributivi ecc.
Il tutto senza contare che gli interessi vengono calcolati per tutto il 2006 senza però considerarsi che l’esposizione rilevata era riferita al 31 dicembre di quell’anno.
Applicando anzi il tasso di interesse determinato dall’Agenzia ai capitali erogati via via in favore dell’appaltatrice, in base ad uno specchietto redatto dalla ricorrente, si avrebbe il minor importo (rispetto all’accertato di oltre € 113 mila) di € 70 mila circa.
6.1. Il motivo è fondato. In effetti la parte aveva specificamente proposto un motivo d’appello avente il contenuto della doglianza sopra esposta, come si ricava dalla parte dell’atto riportata in ricorso alle pagine 45 e 46.
Sul punto nulla osserva la CTR, sottraendosi così all’onere di pronunciarsi su uno specifico motivo d’appello.
Sotto tale profilo, pertanto, la sentenza andrà annullata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado.
L’Agenzia, come premesso, ha spiegato a sua volta ricorso incidentale relativamente alla conferma da parte della CTR della sentenza di primo grado, che annullava l’avviso di accertamento con riferimento al primo rilievo, relativo alla ripresa a tassazione di ricavi derivanti dall’attività imprenditoriale.
In particolare, viene ritenuta dall’Agenzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 42, d.p.r. n. 600/73 e 7, l. n.212/2000, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ.
7.1. Il motivo è fondato. In effetti la sentenza si conforma alla decisione di primo grado laddove osserva che l’avviso, in base al quale il recupero a tassazione dipendeva da sotto-fatturazione di corrispettivi di cessione di immobili, ‘fa riferimento ai valori OMI
riportati in documenti di cui però non è stata né allegata copia, né riprodotto il contenuto essenziale’.
Trattasi dunque di una questione attinente alla sufficiente motivazione dell’atto impositivo, che è strumentale a consentire al contribuente di conoscere la pretesa tributaria e poterla così contrastare efficacemente ( ex plurimis Cass. 21/11/2018, n. 30039; anche Cass. 4577/2023, 33620/2023, 25445/2023).
Orbene le quotazioni OMI, in disparte la questione della loro valutazione unitamente ad eventuali altri elementi di valutazione offerti dalle parti, contengono atti di pubblico dominio, e sono da considerarsi conoscibili -e dunque contestabili -da chiunque.
La parziale fondatezza del ricorso principale e la fondatezza di quello incidentale determinano l’annullamento della sentenza, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado che, proceduto sotto il primo profilo alla verifica della valutazione dell’ufficio alla luce dei valori OMI e degli altri eventuali elementi su cui si fonda la stessa, e sotto il secondo alla valutazione del motivo d’appello relativo ai criteri di calcolo degli interessi attivi applicati, provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, tenendo peraltro conto, con riferimento alle sanzioni, all’intervenuta legge più favorevole, rispetto alla quale il ricorrente ha puntualmente allegato, come da memoria resa ex art. 378, cod. proc. civ., il concreto rilievo nella presente fattispecie.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del sesto motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale, respinti gli altri motivi del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia che, in diversa composizione, provvederà altresì alla liquidazione delle spese.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2023