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Finanziamento intercompany: quando si presume?

La Cassazione analizza un caso di presunto finanziamento intercompany mascherato da acconti per lavori edili tra due società collegate. L’amministrazione finanziaria aveva riqualificato i versamenti, accertando maggiori interessi attivi non contabilizzati. La Corte ha ritenuto legittima la presunzione basata su elementi come la comunanza del legale rappresentante e l’antieconomicità dell’operazione, confermando che la sola produzione di fatture non basta a superare l’onere della prova a carico del contribuente. Tuttavia, ha accolto il motivo relativo all’erroneo calcolo degli interessi, rinviando la causa per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Finanziamento Intercompany Presunto: La Cassazione Chiarisce l’Onere della Prova

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 593/2024 affronta un tema cruciale per i gruppi societari: la distinzione tra normali pagamenti commerciali e un finanziamento intercompany mascherato. Questa pronuncia offre importanti spunti su come l’amministrazione finanziaria possa, sulla base di presunzioni, riqualificare un’operazione e quali prove il contribuente debba fornire per contrastare tale ricostruzione. L’analisi si concentra sulla logica dell’antieconomicità e sugli elementi che indicano un collegamento societario rilevante ai fini fiscali.

I Fatti del Caso: Pagamenti Anticipati o Finanziamento Nascosto?

Il caso ha origine da un accertamento fiscale nei confronti di una società immobiliare (committente) per l’anno d’imposta 2006. L’Agenzia delle Entrate contestava, tra le altre cose, l’omessa contabilizzazione di interessi attivi per circa 113.000 euro. Secondo il Fisco, i cospicui versamenti effettuati dalla società committente a favore di un’impresa appaltatrice non erano semplici acconti per l’esecuzione di lavori edili, ma costituivano a tutti gli effetti un finanziamento fruttifero.

A sostegno della propria tesi, l’Agenzia evidenziava diversi elementi: un forte collegamento tra le due società (stesso legale rappresentante e medesima sede), la palese antieconomicità dell’operazione (la committente anticipava ingenti somme, indebitandosi a sua volta, a fronte di incassi molto inferiori) e altre anomalie contabili. La società contribuente si difendeva sostenendo la piena legittimità dei pagamenti, giustificati da fatture emesse dall’appaltatrice e dalla vastità dell’intervento edilizio.

L’Analisi della Corte: Il concetto di finanziamento intercompany

La Corte di Cassazione, nel confermare la decisione dei giudici di merito su questo punto, chiarisce i presupposti che legittimano la presunzione di un finanziamento intercompany. L’amministrazione finanziaria ha correttamente utilizzato il meccanismo delle presunzioni semplici previsto dall’art. 39 del D.P.R. 600/1973. Gli Ermellini hanno sottolineato che non è stata operata un’inversione dell’onere della prova.

L’Agenzia ha infatti fornito un quadro probatorio solido, basato su una serie di indizi gravi, precisi e concordanti:
1. Collegamento Societario: La comunanza del legale rappresentante e della sede sociale è stata considerata un elemento sufficiente a individuare un comune centro decisionale e un’influenza notevole tra le due entità, ai sensi dell’art. 2359 c.c.
2. Antieconomicità: È apparso irrazionale e contrario alla logica imprenditoriale che una società anticipasse somme così rilevanti (oltre 3,8 milioni di euro a fronte di incassi per meno di 2 milioni), al punto da dover aumentare il proprio indebitamento e i relativi oneri passivi, senza alcuna garanzia contrattuale scritta.

Di fronte a questi elementi, la semplice produzione delle fatture da parte del contribuente non è stata ritenuta una prova sufficiente a smentire la ricostruzione dell’Agenzia. Le fatture provano l’esistenza di un rapporto di appalto, ma non ne chiariscono le modalità di pagamento né giustificano la sproporzione tra uscite ed entrate in un dato periodo.

La Decisione della Cassazione

La Corte ha rigettato i primi cinque motivi del ricorso principale della società, ma ha accolto il sesto, relativo al calcolo degli interessi, e il ricorso incidentale dell’Agenzia, relativo ad un altro punto della controversia (l’accertamento basato sui valori OMI). La sentenza è stata quindi cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per una nuova valutazione.

L’Erroneità del Calcolo degli Interessi

Il motivo di ricorso accolto riguardava l’omessa pronuncia dei giudici di merito sulla specifica contestazione mossa dal contribuente circa il metodo di calcolo degli interessi. La società aveva lamentato che il calcolo fosse stato effettuato in modo forfettario sull’esposizione bancaria a fine anno, senza considerare la progressività delle erogazioni durante l’anno. La Cassazione ha ritenuto fondata la doglianza, statuendo che la CTR avrebbe dovuto esaminare nel merito la questione. Di conseguenza, ha annullato la sentenza su questo punto, demandando al giudice del rinvio di verificare la correttezza del calcolo degli interessi attivi.

L’Accertamento Basato sui Valori OMI

La Corte ha anche accolto il ricorso dell’Agenzia, affermando la legittimità di un accertamento che si fonda sui valori dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI), in quanto questi costituiscono atti di pubblico dominio, conoscibili e contestabili da chiunque, e non necessitano di essere allegati all’avviso di accertamento.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sul principio della “naturale fruttuosità del denaro” e sulla prevalenza della sostanza sulla forma. Quando un’operazione tra parti correlate appare palesemente irrazionale dal punto di vista economico, è legittimo presumere che essa dissimuli una natura diversa, come quella di un finanziamento. L’onere di dimostrare la logica economica dell’operazione e la sua coerenza con il rapporto contrattuale dichiarato ricade sul contribuente. La Corte ha ribadito che il principio di non ingerenza nelle scelte imprenditoriali trova un limite nella ragionevolezza e verosimiglianza delle stesse. Un anticipo così rilevante e oneroso, senza supporto contrattuale, non può essere considerato una scelta razionale e giustificata dalla sola esecuzione di un appalto.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce l’importanza per le imprese, specialmente all’interno di gruppi societari, di formalizzare adeguatamente i propri rapporti economici e finanziari. La mancanza di contratti scritti e la presenza di operazioni antieconomiche possono esporre le società a contestazioni fiscali basate su presunzioni. Per il contribuente, non è sufficiente opporre documenti formali come le fatture; è necessario fornire una prova sostanziale della razionalità economica delle proprie scelte, dimostrando che i flussi finanziari sono coerenti con la natura e le tempistiche del rapporto commerciale sottostante. La decisione sottolinea inoltre il diritto del contribuente a un’analisi dettagliata e non forfettaria degli elementi quantitativi alla base della pretesa fiscale, come nel caso del calcolo degli interessi.

Quando un pagamento per lavori tra due società può essere considerato un finanziamento intercompany?
Un pagamento può essere riqualificato come finanziamento intercompany quando l’operazione appare antieconomica e irrazionale (ad esempio, un anticipo sproporzionato rispetto agli incassi che costringe la società pagante a indebitarsi) e sussistono forti elementi di collegamento tra le due società, come la coincidenza del legale rappresentante e della sede sociale.

Quali elementi possono dimostrare un collegamento tra due società ai fini fiscali?
Secondo la sentenza, elementi come la comunanza del legale rappresentante, la coincidenza della sede sociale e la sostanziale assorbenza dei vincoli contrattuali sono sufficienti per individuare un’influenza notevole e un comune soggetto direttivo, integrando la nozione di collegamento rilevante per l’amministrazione finanziaria.

È sufficiente produrre le fatture per smentire la presunzione di un finanziamento intercompany?
No. La Corte ha chiarito che la sola produzione delle fatture, pur provando l’esistenza di un rapporto di appalto, non è di per sé sufficiente a superare una presunzione di finanziamento basata su un quadro di indizi gravi, precisi e concordanti (come l’antieconomicità e il collegamento societario). Il contribuente ha l’onere di dimostrare la coerenza economica e la logica imprenditoriale dell’operazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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