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Finanziamento Infragruppo: La Prova spetta al Fisco

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1001/2024, ha stabilito che, in caso di riqualificazione di un contratto di cash pooling in finanziamento infragruppo, spetta all’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare che la transazione sia avvenuta a un tasso d’interesse inferiore a quello di mercato. L’utilizzo di parametri generici come il Rendistato è stato ritenuto inidoneo a tal fine, portando all’annullamento della pretesa fiscale.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Finanziamento Infragruppo: l’Onere della Prova spetta all’Amministrazione Finanziaria

La gestione della liquidità all’interno dei gruppi societari internazionali è un tema complesso, spesso al centro di verifiche fiscali. Un contratto di cash pooling, se non strutturato correttamente, può essere riqualificato come un finanziamento infragruppo, con importanti conseguenze fiscali. La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 1001 del 10 gennaio 2024 chiarisce un punto fondamentale: in questi casi, l’onere di provare l’antieconomicità dell’operazione spetta al Fisco.

I Fatti del Caso

Una società italiana, parte di un gruppo internazionale, aveva stipulato un contratto di cash pooling con la propria controllante irlandese. Lo scopo dichiarato era quello di centralizzare la gestione della tesoreria. Tuttavia, a seguito di una verifica fiscale, l’Amministrazione Finanziaria ha contestato la natura del contratto, rilevando diverse anomalie:

* Unidirezionalità dei flussi: la società italiana trasferiva sistematicamente la propria liquidità in eccesso alla controllante, senza mai attingere a sua volta fondi dal conto centralizzato.
* Frequenza non giornaliera: i trasferimenti non avvenivano quotidianamente, come tipico dei sistemi “zero balance”, ma con cadenza più lunga.
Autonomia finanziaria: la società italiana manteneva una liquidità sufficiente sul proprio conto per operare in autonomia, mettendo in dubbio la necessità del pooling*.

Sulla base di questi elementi, l’Agenzia delle Entrate ha riqualificato l’accordo, considerandolo un vero e proprio finanziamento infragruppo erogato dalla società italiana a favore della controllante irlandese.

La Riqualificazione e la Pretesa Fiscale

Una volta classificato l’accordo come un prestito, l’Ufficio ha presunto che tale operazione dovesse generare un reddito per la società italiana sotto forma di interessi attivi. Poiché il contratto non prevedeva una remunerazione esplicita per la liquidità trasferita, l’Amministrazione ha determinato induttivamente gli interessi non dichiarati. Per farlo, ha utilizzato come parametro il tasso Rendistato, ovvero il rendimento medio dei titoli di Stato.

Di conseguenza, è stato notificato un avviso di accertamento per maggiori imposte (Irpeg e Irap) relative all’anno 2003. La società ha impugnato l’atto, dando inizio a un contenzioso che è giunto fino in Cassazione.

Le Motivazioni della Cassazione sul finanziamento infragruppo

La Corte Suprema ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, stabilendo principi chiari in materia di onere della prova e transfer pricing.

Il cuore della decisione risiede nel rigetto del secondo motivo di ricorso, relativo alla violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.). La Corte ha affermato che, nel contesto di un finanziamento infragruppo, spetta al Fisco fornire la prova che la transazione è avvenuta a un tasso di interesse anomalo, ovvero inferiore a quello “normale” di mercato. Questo principio è cruciale perché sposta il peso della dimostrazione dall’azienda all’autorità fiscale.

Gli ermellini hanno evidenziato che l’Amministrazione Finanziaria non ha fornito elementi sufficienti a costituire “indizi gravi, precisi e concordanti” per giustificare l’inversione dell’onere della prova. In particolare, la Corte ha criticato la scelta del parametro utilizzato per il calcolo degli interessi:

> Il Rendistato è stato giudicato un parametro non attinente e non comparabile con finanziamenti aventi caratteristiche simili. La natura di un prestito intersocietario è ben diversa da quella di un investimento in titoli di Stato.

Il contratto originale, peraltro, prevedeva un tasso basato sull’EURIBOR, un parametro molto più consono per operazioni finanziarie di questo tipo. Di conseguenza, il Fisco non è riuscito a dimostrare che le condizioni applicate fossero svantaggiose per la società italiana rispetto a quelle che sarebbero state pattuite tra parti indipendenti in un libero mercato.

Le Conclusioni

La sentenza 1001/2024 rafforza un principio di garanzia per il contribuente. La riqualificazione di un’operazione economica da parte del Fisco non può basarsi su mere presunzioni o sull’utilizzo di parametri inadeguati. Nel caso specifico di un finanziamento infragruppo, l’autorità fiscale ha il preciso dovere di dimostrare, con prove concrete e comparabili, che le condizioni pattuite si discostano dal valore normale di mercato (principio di libera concorrenza o arm’s length principle).

Questa decisione sottolinea l’importanza per le aziende di strutturare con attenzione i propri accordi infragruppo, ma offre anche una tutela contro accertamenti induttivi basati su fondamenta probatorie deboli. Il Fisco non può semplicemente sostituire la volontà delle parti, ma deve provare l’effettiva elusione o l’antieconomicità dell’operazione.

Quando un accordo di ‘cash pooling’ può essere considerato un finanziamento infragruppo mascherato?
Secondo la ricostruzione dell’Agenzia delle Entrate, un ‘cash pooling’ può essere riqualificato in finanziamento quando i flussi di denaro sono costantemente unidirezionali (solo una società versa e l’altra riceve), i trasferimenti non sono giornalieri e la società che versa mantiene un’autonoma capacità finanziaria, indicando che lo scopo non è l’ottimizzazione della tesoreria ma un prestito di liquidità.

In un presunto finanziamento infragruppo a tassi non di mercato, a chi spetta l’onere della prova?
La Corte di Cassazione ha stabilito che l’onere della prova spetta all’Amministrazione Finanziaria. È il Fisco a dover dimostrare che la transazione è avvenuta a un tasso di interesse (in questo caso, troppo basso) inferiore a quello che sarebbe stato applicato in condizioni di libero mercato tra soggetti indipendenti.

Perché il parametro ‘Rendistato’ è stato ritenuto inadeguato per calcolare gli interessi di un finanziamento infragruppo?
La Corte ha ritenuto il ‘Rendistato’ (rendimento dei titoli di Stato) un parametro non pertinente e non comparabile con un’operazione di finanziamento tra società. La natura, il rischio e le caratteristiche di un prestito intersocietario sono diverse da quelle di un investimento in debito pubblico, rendendo tale indice inidoneo a stabilire il ‘valore normale’ del tasso d’interesse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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