Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16904 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16904 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20836/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA-NAPOLI n. 3285/2020 depositata il 26/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
In punto di fatto, riferisce la sentenza epigrafata che
la RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di accertamento n. TF503AB00955/2018 -anno d’imposta 2014, notificatole in data 8/03/2018 a cura della Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale II di Napoli. L’Agenzia delle Entrate, relativamente alle movimentazioni per “finanziamento soci”, nonché al “versamento in conto futuro aumento di capitale”, riteneva sussistere validi motivi per operare un accertamento induttivo puro ai sensi e per gli effetti dell’art. 39 comma 2 del D.P.R. 600/73.
1.1. Non fornendo il ricorso per cassazione maggiori dettagli, dalla più estesa narrativa del controricorso (pp. 2 e 3) si apprende quanto segue:
Con l’avviso di accertamento n. TF503AB0955/2018, la D.P. II di Napoli dell’Agenzia delle Entrate, sulla base del p.v.c. della Guardia di Finanza di Napoli del 26.07.2016, esaminata la posizione fiscale della società, con oggetto dell’attività il commercio all’ingrosso di saponi e detersivi, le contestava nello specifico del periodo di imposta 2014:
l’indebita deduzione di costi per € 6.922,00 per doppia annotazione di fatture passive;
l’omessa contabilizzazione di ricavi per € 1.090.750,00.
Nel corso del 2014, i soci apportavano finanziamenti alla società per € 790.749,51 e procedevano ad effettuare dei versamenti in conto futuro aumento del capitale per € 300.000,00.
I verbalizzanti ritenevano che tali operazioni non fossero avvenute con risorse proprie dei soci, avendo questi dichiarato redditi non congrui rispetto alla capacità finanziaria manifestata con tali apporti, complessivamente pari ad € 1.090.750,00 e che le operazioni predette costituissero, pertanto uno strumento adottato dalla società per evitare la rilevazione di saldi negativi in cassa e/o banca, conseguenti all’omessa contabilizzazione dei ricavi e che quindi si trattava di apparenti operazioni
di finanziamento, che, qualificandosi come debiti nei confronti dei soci, all’atto della restituzione non potevano generare reddito tassabile in capo a questi ultimi.
Tale circostanza induceva l’Ufficio a considerare sussistenti i presupposti dell’accertamento induttivo. Rideterminati i ricavi in € 10.381.027, considerando la redditività media del settore pari all’1,75%, l’Ufficio accertava: ai sensi dell’art. 39 co. 2 del D.P.R. n. 600/73 un reddito pari ad € 216.407,00 ed una maggiore Ires di € 38.999,00; ai fini Irap, un valore della produzione netta di € 306 a 161.00 e un maggior tributo di € 7.446,00; -ai fini Iva, una maggiore imposta di € 241.503,00. Con l’atto impositivo irrogava, altresì, la sanzione amministrativa pecuniaria di € 231.816.28.
La Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, adita impugnatoriamente dalla contribuente ‘per sentir annullare l’accertamento in considerazione del fatto che, a base dell’accertamento, l’Ufficio erroneamente riteneva la fattispecie come sussumibile nella previsione di cui al comma 2 dell’art. 39 del D.P.R. 600/73, laddove essa, viceversa, andava disciplinata in base al comma 1 della medesima norma’ (p. 2 ric. cass.), con sentenza n. 3299/13/2019, rigettava il ricorso.
La contribuente proponeva appello, reiterando le difese esperite in primo grado.
3.1. La CTR della Campania, con la sentenza epigrafata, rigettava l’appello, sulla base della seguente motivazione:
a CTP di Napoli rigettava il ricorso motivando nel modo che segue: “Il ricorso non può essere accolto. Nel ricorso introduttivo sussiste contestazione esclusivamente circa il metodo di accertamento seguito dall’Agenzia delle Entrate. Orbene, il discrimine tra l’accertamento condotto con metodo c.d. analitico extracontabile (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e l’accertamento condotto con metodo ‘induttivo puro’ (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d), va ricercato rispettivamente nella ‘parziale’ od ‘assoluta’ inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili’ . Nel secondo caso, di cui nella fattispecie si tratta, invece ‘le omissioni o le false od inesatte
indicazioni’ risultano tali da inficiare la attendibilità – e dunque la utilizzabilità, ai fini dell’accertamento – anche degli ‘altri’ dati contabili (apparentemente regolari) . Il metodo applicato dall’Agenzia delle Entrate è assolutamente corretto: l’AF infatti ha dato atto che, non avendo la ricorrente giustificato, in considerazione dei loro ammontare, la provenienza delle somme risultanti dalla documentazione contabile e versate a titolo di finanziamento e di apporto di capitale di rischio, correttamente è stato fatto ricorso, in presenza di una contabilità formalmente regolare ma inattendibile, all’accertamento induttivo. Tutto ciò in mancanza di una prova liberatoria, il cui onere incombeva alla contribuente, volta ad evidenziare che i soci avessero tenuto conto di detti movimenti nella dichiarazione ovvero che gli stessi non si riferissero ad operazioni imponibili ‘.
È questa una motivazione che convince il Collegio e che risulta priva di vizi con riferimento all’art. 36 D.Lgs. 546/1992 .
La tesi dell’appellante, enunciata, non provata, e comunque infondata e non corrispondente al vero, è che “nel caso di specie, la RAGIONE_SOCIALE non ha contratto alcuna forma di indebitamento e né ha posto in essere condotte antieconomiche ed i versamenti in cassa sono stati di volta in volta dettagliatamente specificati”.
Già solo l’esiguità dei redditi dichiarati dai soci è elemento idoneo a legittimare il ricorso a una ricostruzione induttiva del risultato d’esercizio; la disponibilità dei soci di somme riversate nel capitale aziendale, essendo indicativa di una capacità contributiva contrastante con la situazione reddituale dei soggetti coinvolti, è essa stessa elemento idoneo a far presumere l’esistenza di un risultato economico differente da quello dichiarato dalla società. Tale presunzione determina ‘tout court’ una rettifica induttiva dell’utile societario, ponendosi la stessa “spendibilità” dei soci, non altrimenti giustificata, come effetto indiziario (fatto noto) dell’occultamento di una parte dell’utile d’esercizio. Ciò rende del tutto evidente come, nella fattispecie in esame, nessuna ricostruzione di tipo analitico poteva essere posta in essere e come del tutto corretto sia stato l’operato dell’Ufficio che, nel rideterminare induttivamente il reddito di impresa a carico della società, è ricorso al criterio della redditività media del settore di appartenenza .
Per consolidata giurisprudenza, l’Amministrazione Finanziaria, in virtù della espressa previsione contenuta nell’art. 39, comma 2, lett. d -bis) del
Dpr 600/73, è legittimata a determinare il reddito di impresa sulla base dei dati e delle notizie, comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte, dalle risultanze di bilancio e dalle scritture contabili e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui alla lett. d) del precedente comma, ossia gravità, precisione e concordanza.
Si ribadisce e sottolinea che l’Ufficio dell’A.F. ha sostenuto, a fondamento della sua scelta della norma applicabile ai fini della emissione dell’avviso di accertamento, che i soci, sia a titolo di finanziamento che di capitale di rischio, abbiano conferito alla società somme, mediante versamenti per contanti, per un totale di Euro 1.090.749,51, il tutto per far risultare le consistenze di cassa diverse dalla realtà sia della società che delle fonti. Valga rimarcare che né la società né i soci sono stati in grado di fornire plausibili giustificazioni circa la provenienza delle somme versate a titolo di finanziamento né in grado di provare da quali disponibilità finanziarie abbiano attinto la liquidità apportata con i versamenti effettuati, l’Amministrazione Finanziaria ha il potere di “sindacare” le operazioni effettuate dall’imprenditore e quindi dì smascherare fenomeni di chiaro stampo elusivo con conseguente inversione dell’onere della prova. Prova non fornita dall’appellante.
A rafforzare il convincimento del Collegio ricorre ancor più quando trattasi di soggetti che manifestano caratteri di criticità fiscale, come si riscontra a carico della appellante che, per l’annualità 2011, effettivamente, è stata destinataria di un avviso di accertamento analogo (scaturito dal medesimo pvc) la cui legittimità è stata confermata da questa CTR con la sentenza n. 11302/23/2017 e che, per l’annualità 2012, è risultata (sempre sulla base degli esiti dei controlli compendiati nello stesso pvc del 26.07.2016) utilizzatrice consapevole di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti intercorse con la RAGIONE_SOCIALE, come confermato da questa CTR con sentenza n. 13147/03/2018. Non si tralascia di valutare che le doglianze attinenti all’onere della prova e al merito della pretesa tributaria (dì cui ai motivi 3 e 4 dell’atto di appello) sono state sollevate per la prima volta in secondo grado di giudizio, poiché in primo grado la contribuente si era limitata a contestare esclusivamente il metodo di accertamento seguito dall’Agenzia delle Entrate.
Propone ricorso per cassazione la contribuente con due motivi. Resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
Considerato che:
1. Il primo motivo è così testualmente formulato:
La CTR campana non ha, preliminarmente, esaminata l’eccezione sollevata (in entrambi i gradi giudizio) dalla contribuente circa la mancanza della qualifica di dirigente del soggetto che l’accertamento impugnato ebbe a sottoscrivere. Poiché, come è noto, l’assenza della qualifica di dirigente in testa al soggetto firmatario dell’accertamento, come nel caso di specie, produce ‘ope legis’ la irreversibile nullità dell’atto sottoscritto, ecco che non pronunziandosi sul punto Essa CTR ha violato la specifica regola di giudizio.
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1.1. Il motivo è inammissibile per palese difetto di autosufficienza.
Esso, infatti, disattende il costante principio secondo cui, ‘nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del ‘fatto processuale’, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente
abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi’ (cfr., da ult., Cass. n. 28072 del 2021). Ciò tanto più in quanto ‘la parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduce che il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione dell’art. 112 c.p.c. per non essersi pronunciato su un motivo di appello o, comunque, su una conclusione formulata nell’atto di appello, è tenuta, ai fini dell’astratta idoneità del motivo ad individuare tale violazione, a precisare -a pena di inammissibilità -che il motivo o la conclusione sono stati mantenuti nel giudizio di appello fino al momento della precisazione delle conclusioni’ (Cass. n. 41205 del 2021).
2. Il secondo motivo è così testualmente formulato:
I Giudici del merito ritengono non condivisibile la contestazione avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE all’accertamento compiuto dall’Ufficio – ovvero che la società non avesse contratto alcuna forma di indebitamento e che non avesse posto in essere condotte antieconomiche anche perché i versamenti in cassa erano stati di volta in volta dettagliatamente specificati – in quanto l’esiguità dei redditi dichiarati dai soci già da sola costituirebbe elemento idoneo a legittimare il ricorso alla ricostruzione induttiva del risultato d’esercizio; ulteriore elemento idoneo a far presumere l’esistenza di un risultato economico differente da quello dichiarato dalla società ad avviso della CTR campana si rinverrebbe, poi, nella disponibilità dei soci di somme riversate nel capitale aziendale con ciò dimostrando una capacità contributiva contrastante con la situazione reddituale dei soggetti coinvolti .
Giudici del merito, in sostanza, pervengono al rigetto della impugnazione sulla esclusiva scorta di una sorta di presunzione di non meritevolezza della contribuente e dei suoi soci senza, tuttavia, affrontare, secondo le specifiche previsioni di legge in materia, il ‘thema’ della impugnazione. Orbene, l’accertamento sintetico sul reddito, previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5, si basa, come è noto, sul concetto di esborso effettuato; degli incrementi patrimoniali fanno parte, quindi, anche i finanziamenti soci e tutte le altre forme di capitalizzazione, da considerare spese per le quali vi sia effettiva uscita
finanziaria da parte della persona fisica; i versamenti dei soci in favore della società, di poi, giammai costituiscono incrementi patrimoniali in quanto ‘crediti nei confronti della società partecipata/somme date a mutuo dai soci alla società’ ed, indi, debiti della società con obbligo, per essa, di restituire tali somme con i tempi e le modalità previste dall’accordo di mutuo o finanziamento intercorso tra le parti; tale tipo di ‘poste’, quindi, non può determinare alcun incremento di valore della quota societaria posseduta dal socio poiché si tratta di operazioni di finanziamento effettuate dai soci per abbattere il forte indebitamento .
Con la motivazione sul punto, quindi, la CTR campana si è discostata sia dalle espresse previsioni di legge riguardanti i criteri di redazione delle scritture contabili (ovvero non ha argomentato del perché l’attendibilità e l’esame delle scritture contabili escludesse, a priori, l’esito degli accertamenti operati dal PVC da cui il procedimento di accertamento induttivo è scaturito), sia dagli stessi insegnamenti di Codesta Corte Suprema che, in materia, ha sì confermato che il dato della regolarità formale delle scritture contabili non osta all’accertamento induttivo puro ma lo ha escluso laddove vi è assenza di indizi gravi, precisi e concordanti .
In tema di rettifica dei redditi d’impresa, il discrimine tra l’accertamento con metodo analitico induttivo e quello con metodo induttivo puro sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili . n tale alveo nel giudizio de quo manca totalmente la prova in merito alla condotta della ricorrente . etto tipo di accertamento deve essere basato su fatti precisi e concordanti e non su semplici scostamenti dei parametri contabili, sulla mancata comparizione al contraddittorio fiscale (e nel caso di specie la RAGIONE_SOCIALE Ebbe a promuovere l’istanza di accertamento con adesione), tenendo conto della gravità dei fatti: sicché l’inversione dell’onere della prova scatta solo in presenza di presunzioni basate su fatti gravi, precisi e concordanti come non si è verificato nel caso di specie, inoltre mancano anche i redditi dei soci finanziatori ebbene si arriva ad affermare che il reddito dei soci finanziatori è esiguo senza depositare le dichiarazioni dei redditi degli stessi .
Il ragionamento, sul punto, fatto dalla CTR COGNOME non può dirsi esente da vizi in quanto essa afferma che, poiché la contribuente per l’anno 2011 è stata destinataria di analogo accertamento la cui legittimità
è stata confermata da sentenza, in cosa giudicata, della CTR della Campania, l’accertamento è da ritenere valido e fondato anche con riguardo all’anno di imposta 2014.
Ma a ben riguardare questa conclusione non può non rilevarsi come essa sia in contrasto con il principio di ‘autonomia dei periodi d’imposta’ .
Tuttavia, al riguardo, i Giudici del merito non hanno tenuto conto della circostanza emersa in corso di giudizio che per l’anno di imposta 2011 la RAGIONE_SOCIALE aveva aderito alla c. d definizione delle liti pendenti sicché il richiamo alla Loro precedente decisione non poteva valere ai fini della valutazione della mancanza di ‘meritevolezza fiscale’ .
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2.1. Il motivo è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
Il motivo è inammissibile, in quanto incorre, nuovamente, in difetto di autosufficienza a misura che non riproduce né la motivazione dell’avviso di accertamento, né lo specifico ”thema’ della impugnazione’ (ossia, in buona sostanza, il motivo dell’atto di appello) che la CTR avrebbe asseritamente eluso; inoltre chiama in causa l’accertamento sintetico ex art. 38 DPR n. 600 del 1973, senza dimostrare che l’avviso di accertamento fonda su tale metodologia accertativa e comunque senza confrontarsi con la ‘ratio decidendi’ della sentenza impugnata, confermativa della legittimità dell’accertamento induttivo condotto dall’Ufficio ai sensi dell’art. 39, comma 2, del medesimo DPR; d’altro canto, contraddittoriamente, in progresso di esposizione, afferma non sussistere i presupposti dell’accertamento induttivo e non sintetico; ancora, si duole essersi, in tesi, la CTR ‘discostata dalle espresse previsioni di legge riguardanti i criteri di redazione delle scritture contabili’, senza neppure identificare siffatte ‘previsioni’ e men che meno offrire contezza del lamentato ‘discostamento’;
rileva avere la contribuente definito in via agevolata l’accertamento relativo al 2011, senza richiamare e riprodurre idonea documentazione; reitera questioni inerenti ‘all’onere della prova e al merito della pretesa tributaria’ senza considerare che, al riguardo, la CTR è perentoria nel rilevarne l’introduzione solo in appello, alla stregua di asserto non avversato; sollecita, in definitiva, una rivisitazione del giudizio meritale, senza concretamente illustrare in cosa le denunciate violazioni di legge consistano, in violazione di natura e limiti del giudizio di cassazione quale momento di controllo della sola legalità delle sentenze ricorse.
Il motivo è, altresì e comunque, manifestamente infondato, in quanto la CTR – ben lungi dal fondare la decisione sulla sola ‘criticità fiscale’ della contribuente e dei soci, insiste ripetutamente nell’osservare che l’accertamento riposa sul dato di fatto (di per sé neppure messo in discussione) dell’avere i soci, ‘sia a titolo di finanziamento che di capitale di rischio’, ‘conferito alla società somme, mediante versamenti per contanti, per un totale di Euro 1.090.749,51’, senza che sia stata fornita la benché minima giustificazione sia delle relative operazioni sia delle linee di approvvigionamento di tali ingentissime somme, a fronte della (medesimamente neppure contestata) ‘esiguità dei redditi dichiarati dai soci’.
Questa S.C. ha già avuto modo di osservare:
5.1 In materia di società a responsabilità limitata, ai fini della qualificazione in termini di finanziamento della erogazione di denaro fatta dal socio alla società, è determinante la circostanza che l’operazione sia stata contabilizzata nel bilancio di esercizio che costituisce il documento contabile fondamentale nel quale la società dà conto dell’attività svolta e che rende detta operazione opponibile ai terzi, compreso l’Erario, essendo invece irrilevante la modalità di conferimento prescelta all’interno dell’ente (cfr. Cass. V, n. 6104/2019), sicché deve condividersi la conclusione del giudice di merito di secondo grado secondo la quale i
finanziamenti infruttiferi dei soci, laddove ingiustificati (come nel caso in esame) possono essere considerati ricavi in nero come ritenuto dalla Amministrazione Finanziaria. Di recente questa Sezione con la decisione del 19.6.2015 n. 12764 ha affermato tale principio ribadendo che grava sulla società l’onere probatorio in sede di accertamento; con la conseguenza che non essendo nemmeno riportate nel bilancio della società, indipendentemente dalla disponibilità finanziaria in capo al socio finanziatore, tali somme dovevano rientrare nel novero dei ricavi non dichiarati con conseguente accertamento del maggior reddito in capo al contribuente.
In altri termini, la legittimità di un finanziamento soci -opponibile al Fisco -richiede la regolarità formale delle delibere assembleari e delle scritture contabili, in tempi coerenti con l’andamento finanziario (Cass. n. 17322 del 2021).
Completando siffatto ragionamento, più di recente, questa S.C. ha concluso che l’Agenzia delle entrate ave fornito elementi presuntivi per accertare che i finanziamenti eseguiti dai soci occultassero ricavi in nero in una fattispecie, analoga a quella per cui si procede, in cui
dal contenuto del ricorso si evince che il rilievo relativo alla circostanza che i finanziamenti eseguiti dai soci, in modo sistematico e progressivo, non erano giustificati stante la ridotta capacità finanziaria dei medesimi, sicché, in realtà, gli stessi erano da considerarsi ricavi in nero, era stato supportato tenuto conto di diversi elementi indiziari, quali: la mancanza di capacità finanziaria dei soci a supportare, nel corso di diversi anni, il versamento a titolo di finanziamento, di ingenti importi in favore della società; la mancanza di delibera assembleare; il fatto che i versamenti erano stati eseguiti in contanti (Cass. n. 1151 del 2022).
In estrema sintesi, è a convenirsi che, in materia di società, la legittimità di finanziamenti e più in generale di versamenti dei soci, opponibile all’Amministrazione finanziaria, richiede la regolarità formale delle delibere assembleari e delle scritture contabili in tempi e modi coerenti con l’andamento finanziario del periodo; ne
consegue che, in difetto di giustificazioni da parte della società e/o dei soci, costituiscono elementi indiziari positivamente valutabili in relazione alla legittimità di accertamento (anche induttivo puro, per la pervasiva inattendibilità delle scritture contabili) nei confronti della società -ai fini del recupero a tassazione di ricavi in nero corrispondenti alle somme introitate -il difetto di delibera assembleare, l’inadeguatezza della capacità finanziaria dei soci a supportare gli oneri finanziari delle erogazioni, in specie se di ingente importo, e le modalità in contanti delle corresponsioni .
La CTR e, per vero, già prima, la CTP hanno fatto pedissequa applicazione dei superiori insegnamenti.
Ne consegue che la sentenza impugnata va esente da censure.
In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia le spese di lite, liquidate in euro 5.900, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 24 aprile 2025.