Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9131 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9131 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25920/2017 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA SICILIA n. 3336/2016 depositata il 28/09/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/02/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 18/10/2006 L’Agenzia delle entrate Ufficio di Barcellona Pozzo di Gotto notificava l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO alla società RAGIONE_SOCIALE con il quale per l’anno d’imposta 2003, rettificava il reddito di impresa e recuperava a tassazione l’importo di € 46.036,00 ai fini II.DD., € 6.937,00 ai fini IRAP ed € € 24.000,00 ai fini IVA oltre interessi e sanzioni.
In particolare, l’accertamento effettuato ai sensi dell’art. 39 comma 1 lett. d) D.P.R. n. 600/1973 si fondava sul recupero a tassazione di acquisti di merce in Svizzera ed operazioni effettuate con imprese a fiscalità privilegiata di cui al D.M. 23.01.2002, ritenuti costi indeducibili in violazione del principio di competenza; nonché di ricavi non contabilizzati, non dichiarati e non documentati consistenti in anticipazioni infruttifere dei soci.
Avverso tale atto, ricorreva la contribuente dinanzi alla CTP di Messina che con sentenza n. 67/2008 accoglieva parzialmente il ricorso e annullava l’avviso di accertamento nella parte in cui dichiarava illegittima la deduzione dei costi pari ad € 9.595,77 relativi agli acquisti di merce in Svizzera.
La contribuente impugnava la sentenza di primo grado nella parte in cui avvalorava la tesi dell’Ufficio, in base alla quale i finanziamenti infruttiferi dei soci deriverebbero da utili societari sottratti a tassazione.
La CTR di Palermo sez. staccata di Messina con sentenza n. 3336/2016 depositata il 28.09.2016 -non notificata – accoglieva il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE e annullava l’avviso di accertamento impugnato. Condannava altresì l’amministrazione al
pagamento delle spese in giudizio che liquidava in € 7.243,00 oltre IVA e c.p.a come per legge.
Avverso tale decisione L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per Cassazione incentrato su tre motivi.
Resiste la contribuente con controricorso, eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso. In data 28/01/25 deposita memoria ai sensi dell’art. 380 bis comma 1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si adombra la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 comma 1 lett. d) D.P.R. 600/1973; nonché dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per aver la CTR deciso ‘in aperta violazione con la normativa in rubrica che regola l’accertamento induttivo’. In particolare, la pronuncia risulta viziata nella parte in cui la CTR afferma che ‘non pare sussistano gli elementi gravi, precisi e concordanti idonei a consolidare la presunzione semplice di maggiori ricavi utilizzata dall’ufficio appellato per ricondurre a tassazione le contestate anticipazioni’.
Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 2727 c.c. in relazione all’art. 360 n.4 c.p.c. per non aver la pronuncia della CTR fatto buon uso dello strumento delle presunzioni processuali, con riferimento al fatto noto e pacifico rappresentato dal finanziamento in denaro da parte dei soci.
Col terzo motivo di ricorso si contesta l’omessa considerazione di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., per non aver la CTR considerato la mancata presentazione dei verbali di assemblea atti a dimostrare la necessità di finanziamento da parte dei soci.
L’ eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso per cassazione, sollevata dalla controricorrente, non coglie nel segno e va disattesa.
Essa tende a valorizzare come impattante sulla validità della notifica del ricorso la circostanza per cui il file veicolato è stato un pdf anziché un ‘p7m’.
Questa Corte ha, tuttavia, affermato il seguente principio: ‘ Se privo dell’apposizione della firma digitale, il ricorso per cassazione in forma di documento informatico è affetto da un vizio di nullità, che è sanabile per raggiungimento dello scopo ogni qualvolta possa desumersi la paternità certa dell’atto processuale da elementi qualificanti, tra i quali la notificazione del ricorso nativo digitale dalla casella p.e.c. dell’Avvocatura generale dello Stato censita nel REGINDE e il successivo deposito della sua copia analogica con attestazione di conformità sottoscritta dall’avvocato dello Stato ‘ (Cass., Sez. Un., n. 6477 del 2024). Già in precedenza, la Corte aveva segnalato il seguente approdo: ‘ L’atto d’appello in formato analogico, successivamente riprodotto in formato digitale ai fini della notificazione telematica, munito dell’attestazione di conformità all’originale, non richiede la firma digitale dei difensori (che, invece, deve essere presente in calce alla notificazione effettuata a mezzo posta elettronica certificata), perché è sufficiente che la copia telematica rechi la menzionata attestazione di conformità, redatta secondo le disposizioni vigenti “ratione temporis”, non assumendo peraltro rilievo la circostanza che il file digitale rechi il formato “pdf” anziché “p7m” (Cass. n. 111222 del 2022).
La richiamata giurisprudenza evidenzia, in buona sostanza, come il formato dematerializzato del ricorso e -segnatamente -quello “.p7m” sia irrilevante ai fini della validità della notifica. Conta la riferibilità del ricorso al soggetto da cui promana e il protocollo di trasmissione mediante PEC è di per sé idoneo ad assicurare proprio la riferibilità al soggetto da cui proviene, salve specifiche e concrete contestazioni, che è onere del ricevente eventualmente allegare in contrario e che nella specie non sono state allegate.
In ragione del criterio della ‘ragione più liquida’ va esaminato in principalità il secondo motivo di ricorso, che appare fondato e va accolto, con conseguente assorbimento delle altre due censure avanzate in ricorso.
La CTR si è limitata a evidenziare apoditticamente che ‘ non pare sussistano gli elementi gravi, precisi e concordanti idonei a consolidare la presunzione semplice di maggiori ricavi utilizzata dall’ufficio appellato per ricondurre a tassazione le contestate anticipazioni ‘.
Vanno posti in doveroso risalto i seguenti aspetti.
Innanzitutto, questa Corte a più riprese ha affermato ‘ In tema di accertamento induttivo dei redditi d’impresa, consentito dall’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973 sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio e dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perché proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo ‘ (Cass. n. 27804 del 2018; Cass. 14068 del 2014). In tal senso, a fronte della contestazione relativa a ricavi non contabilizzati, il giudice d’appello è tenuto a vagliare il profilo della prova a cura della contribuente sulla sussistenza di anticipazioni infruttifere da parte dei soci, chiarendone la specifica ragione.
D’altronde, questa Corte ha ancor di recente affermato che la legittimità di un finanziamento soci, opponibile al Fisco, richiede la regolarità formale delle delibere assembleari e delle scritture contabili, in tempi coerenti con l’andamento finanziario del periodo: diversamente l’erogazione finanziaria deve ritenersi re-immissione in azienda di utili occulti (Cass. n. 17322 del 2021). A deporre in tal senso è anche il disposto dell’art. 2467 c.c., rubricato ‘finanziamenti dei soci’ in forza del quale ‘il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito. Ai fini del precedente comma s’intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento’; – da ciò anche, ritiene il Collegio, si evince come la giustificazione, sul piano del buon governo della società, dei finanziamenti a favore della stessa non possa fondarsi unicamente sulla deduzione della loro necessità e opportunità ma debba fondarsi quantomeno sulla individuazione di elementi, anche indiziari, non solo dedotti ma anche provati dal contribuente, atti a dimostrare la ragionevolezza del finanziamento a fronte delle necessità dell’ente societario e quindi la sua convenienza quale utile alternativa al ricorso al credito bancario. Nella specie, il giudice del gravame non ha proceduto alla valutazione degli elementi, parimenti indiziari, prospettati dall’Amministrazione finanziaria (riportati in ricorso nel rispetto del principio di specificità e localizzazione dei motivi di ricorso) e ha quindi erroneamente escluso la loro idoneità a costituire elementi gravi, precisi e concordanti, secondo quanto consentito dall’art. 39,
comma primo, lett. d), cit. A fronte invero di tali elementi, costituenti prova presuntiva fatta valere dall’Amministrazione finanziaria, la CTR avrebbe invece dovuto esaminare, ove forniti, gli elementi dedotti dalla società quale prova contraria, anche indiziaria, consistenti sia nella ragionevolezza, come sopra illustrato, dell’operazione di finanziamento a fronte delle esigenze della società, sia nella presunzione di possesso delle disponibilità finanziarie a suo tempo debitamente esistenti e regolarmente assoggettate ove dovuto a imposizione in capo ai soci finanziatori. Era infatti onere della società provare anche la effettiva provenienza del denaro oggetto dei finanziamenti dei soci, in particolare dando prova che gli stessi avessero la disponibilità finanziaria sufficiente per eseguire i finanziamenti, producendo idonea documentazione al fine di contrastare la valenza presuntiva degli elementi, parimenti indiziari ma di segno opposto offerti dall’Agenzia delle Entrate.
Il ricorso va accolto, in ultima analisi, in relazione al secondo motivo di ricorso, assorbiti il primo e il terzo mezzo del ricorso stesso. La sentenza d’appello va cassata e la causa rinviata per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria Regionale di II grado della Sicilia in diversa composizione; essa regolerà anche le spese del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso in relazione al secondo motivo, assorbiti gli altri due. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa per un nuovo esame alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Sicilia, cui demanda anche la regolazione delle spese del giudizio. Così deciso in Roma, il 12/02/2025.