Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8118 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8118 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8794/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della PUGLIA-BARISEZ.DIST. LECCE n. 2059/2020 depositata il 12/10/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
1. Stando alla sentenza in epigrafe,
il provvedimento di sospensione, oggetto dell’odierna controversia, è scaturito dalle risultanze di un controllo effettuato dall’Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale di Brindisi per l’anno 2009 nei confronti della ” RAGIONE_SOCIALE “, mediante il quale, avendo rilevato l’assegnazione di un immobile ritenuto strumentale all’esercizio dell’impresa societaria poc’anzi citata, ha emesso l’avviso di accertamento n. TVH02A101499/2014 con cui è stata contestata l’omessa indicazione dei ricavi conseguiti da tale cessione ed il mancato versamento della relativa IVA, notificando apposito atto di accertamento anche al socio accomandatario COGNOME NOME e ad ognuna delle socie accomandanti COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME
2. RAGIONE_SOCIALE impugnava
il provvedimento di sospensione del rimborso IVA relativo all’anno 2009, derivante dalla cessione del credito IVA di € 136.827,00, richiesto dalla società cedente “RAGIONE_SOCIALE con modello VR/2010 prot. 6 presentato in data 23 febbraio 2010, ceduto successivamente in data 9 giugno 2010 alla società cessionaria RAGIONE_SOCIALE con atto rogato dal notaio COGNOME.
2.1. Secondo quanto riferito nel ricorso per cassazione, si costituiva l’Ufficio, osservando che
l’atto impugnato non era un provvedimento di diniego ma di sospensione previsto dall’articolo 69 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, a garanzia e tutela dell’interesse dell’Erario, precisando che, nel caso di specie, la sospensione era motivata dall’esistenza di crediti erariali controversi, relativi all’anno 2009, di importo superiore all’ammontare del credito ceduto.
2.2. La CTP di Brindisi, giusta sentenza pronunciata il 19 gennaio 2016 e depositata l’8 marzo 2016, accoglieva il ricorso ed annullava l’atto impugnato.
2.2.1. Così essa motivava:
In ragione della correlazione esistente tra il provvedimento oggetto del presente giudizio e l’avviso n. TVH02AJOJ49912014 emesso nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE” (dal quale il primo scaturisce), peraltro pure discusso e deciso innanzi a questa stessa Commissione in data odierna, vanno qui di seguito ribadite le argomentazioni che hanno condotto all’accoglimento del ricorso proposto dalla medesima “RAGIONE_SOCIALE“.
.
agli atti di causa emerge che:
Il sig. NOME COGNOME esercitava in forma individuale attività di impresa a mezzo di un’azienda;
in data 20.04.2007 è deceduto il sig. NOME COGNOME
gli eredi provvedevano a presentare dichiarazione di successione del de cuius in data 14.05.2007, ove tra l’altro indicavano i beni immobili caduti in successione e, distintamente, l’impresa individuale ‘RAGIONE_SOCIALE con specificazione del valore di avviamento in euro 350.000,00 ;
in data 15.5.2007, gli eredi, volendo continuare in forma societaria di comunione ereditaria di azienda , costituivano la “RAGIONE_SOCIALE “, alla quale si attribuiva lo stesso valore di avviamento indicato nella denuncia di successione pari ad euro 350.000,00;
con atto di scioglimento senza messa in liquidazione, i soci della “RAGIONE_SOCIALE scioglievano innanzi tempo la società ;
in data 03.06.2009 gli eredi del sig. NOME COGNOME nella qualità di persone fisiche cedevano l’opificio industriale alla RAGIONE_SOCIALE
Ebbene, la tesi dell’Ufficio è che gli eredi del sig. NOME COGNOME abbiano conferito nella costituita RAGIONE_SOCIALE l’azienda. comprensiva dell’opificio industriale .
Di conseguenza, a detta dell’Ufficio, il fabbricato suddetto è immobile strumentale, destinato all’esercizio dell’attività di impresa, iscritto tra i beni della s.a.s., sicché la cessione di tale bene da parte delle persone
fisiche-soci presuppone che vi sia stara una preventiva assegnazione del bene agli stessi e, dunque, la destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’attività di impresa; al momento dell’assegnazione, dunque, la società avrebbe dovuto emettere fattura ai soci .
Ebbene, dall’analisi della documentazione agli atti emerge che gli eredi di NOME COGNOME non hanno voluto conferire nella s.a.s. anche l’opificio industriale; e ciò, per una serie di motivi .
Orbene, acclarata l’illegittimità dell’accertamento n. 7VH02A 101499/2014 l’odierno ricorso deve essere accolto ed il provvedimento di sospensione impugnato va annullato ‘.
3. Proponeva appello l’Ufficio, rigettato dalla CTR della Puglia, con la sentenza in epigrafe, sulla base della seguente motivazione:
Preliminarmente il Collegio rileva che il presente appello è direttamente collegato a quello avente R.G.A. n. 4926/2016 proposto dall’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Brindisi contro la sentenza n. 200/02/2016 che è stata totalmente confermata, mediante la quale era stata dichiarata l’illegittimità dell’avviso di accertamento n. TVH02A101499/2014, già evidenziato in fatto, emesso dal medesimo Ufficio appellante nei confronti della società partecipata “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, del socio accomandatario COGNOME NOME e delle socie accomandanti COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Quindi, in diretta considerazione del fatto che era stato ceduto in data 3 giugno 2009 un fabbricato alla società RAGIONE_SOCIALE, utilizzato dalla società poc’anzi citata nell’esercizio dell’impresa a mero titolo di detenzione (non essendo mai la stessa stata per nulla proprietaria), pervenuto ai venditori COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME a pieno titolo di proprietà personale per successione ereditaria in morte del de cuius COGNOME NOME, l’Amministrazione RAGIONE_SOCIALE aveva rivendicato, errando, nei riguardi della RAGIONE_SOCIALE e di ognuna delle parti cedenti, le relative e rispettive imposte, invocando anche il regime della responsabilità illimitata per i soci accomandanti.
Quindi, essendo pregiudiziale, per nesso di totale causalità, la decisione di rigetto dell’appello avente R.G.A. n. 4926/2016, già adottata in data odierna da questo organo giudicante, mediante la quale sono state rigettate tutte le doglianze dell’Ufficio e confermata la sentenza impugnata che aveva dichiarato illegittimo il sopra citato avviso di accertamento n. TVH02A101499/2014, riguardante, si ripete, la
pluricitata RAGIONE_SOCIALE ed i suoi soci accomandatari ed accomandanti, il Collegio ritiene, doverosamente e conseguentemente, di non dover procedere oltre nello scrutinio dei motivi specifici posti a corredo del gravame, considerandoli totalmente assorbiti.
Pertanto, in ossequio a quanto già deciso con la sentenza riferita all’appello avente, si ripete, R.G.A. n. 4926/2016, il Collegio, definitivamente decidendo, rigetta il presente appello rubricato al R.G.A. n. 4935/2016 e conferma l’impugnata sentenza, emessa col n. 203/02/2016 dalla Commissione Tributaria Provinciale di Brindisi che aveva accolto il ricorso introduttivo della controversia ed annullato il relativo provvedimento di sospensione del rimborso IVA opposto dalla società RAGIONE_SOCIALE odierna appellata.
Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con quattro motivi; resiste la contribuente con controricorso.
4.1. Con requisitoria in data 19 febbraio 2025, il P.M. presso la S.C. di cassazione, in persona del Sost. Proc. Gen. Dott.ssa NOME COGNOME conclude per il rigetto del ricorso.
4.2. Con memoria in data 27 febbraio 2025, la contribuente insiste nelle proprie conclusioni, argomentate specialmente in relazione al terzo ed al quarto motivo del ricorso per cassazione.
Considerato che:
Primo motivo: ‘ Nullità della sentenza e/o del procedimento ex art. 295 c.p.c. e 39 e 62, primo comma, D.Lgs. n. 546/92 in relazione all’art. 360, 1° co. nr. 4 c. p.c.’.
1.1. ‘Il Collegio , nota la circostanza che la propedeutica controversia, stante la contestualità del deposito, non poteva essere divenuta cosa giudicata, senza attendere il passaggio in giudicato di tale pronunciamento – avverso il quale, peraltro, la difesa erariale, in data 23.03.2021, ha notificato ricorso per cassazione ed è in procinto di iscriverlo a ruolo – ha ritenuto di pronunciarsi, comunque, sul presente contenzioso in tal modo incorrendo in ‘error in procedendo’ ‘.
Secondo motivo: ‘Nullità della sentenza e/o del procedimento ex artt. 111 Cost., 1, 2, e 36 del D.Lgs. n. 546/1992,
132 e 274 c.p.c. e 118 e disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360 1° co. n. 4 c.p.c.’.
2.1. È ‘ evidente il limite argomentativo della pronuncia che, odiernamente, si impugna la cui motivazione si risolve nella mera adesione della CTR ad altra, propria, decisione, priva dell’esplicitazione delle ragioni di tale prestato assenso’.
Terzo motivo: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 69 del R.D. del 18 novembre 1923, n. 2440 in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3) cpc’.
3.1. ‘La sospensione in questione ha natura di misura di tutela dell’Amministrazione a fronte di provvedimenti impositivi non definitivi. Ebbene, avverso l’avviso elevato nei confronti della ‘RAGIONE_SOCIALE, gli eredi proponevano opposizione. Pertanto, in attesa dell’esito della controversia, l’Agenzia, correttamente, provvedeva a sospendere l’erogazione del rimborso ‘.
Quarto motivo: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 69 del R.D. del 18 novembre 1923, n. 2440 in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3) cpc’.
4.1. ‘Da quanto statuito da codesta Corte in tema di prescrizione per cui ‘in tema di rimborso IVA, qualora la ragione di credito che l’Amministrazione ha inteso garantire con un provvedimento di fermo amministrativo sia disconosciuta con sentenza definitiva, la prescrizione del diritto del contribuente all’erogazione del credito ‘fermato’ inizia a decorrere dal passaggio in giudicato della suddetta decisione’ , pare logico inferire che, se nello stato di ‘quiescenza’ determinato dalla sospensione non decorre la prescrizione del credito a maggior ragione non possano decorrere nemmeno gli accessori’.
I motivi sono suscettibili di trattazione congiunta per comunanza di censure.
5.1. Preliminarmente, deve rilevarsi che le allegazioni di Interfinance in ordine alla base giuridica del provvedimento, da essa individuata nell’art. 38 -bis D.P.R. n. 633 del 1972 anziché nell’art. 69 RD n. 2440 del 1969, con conseguente protesta d’inammissibilità, segnatamente, del terzo motivo di ricorso, non colgono nel segno.
5.2. La motivazione della sentenza impugnata dà per presupposto che si versi in ipotesi di cd. fermo amministrativo ai sensi dell’art. 69 R.D. n. 2440 del 1969, come emerge dalla considerazione che essa è sviluppata in riferimento all’espressa affermazione secondo cui ‘l’Ufficio appellante censurava la sentenza gravata per i motivi specifici di impugnazione riferiti alla violazione ed errata applicazione dell’articolo 69 R.D. n. 2440/1923’. La sentenza impugnata, confutando nel merito l’appello agenziale, recepisce la qualificazione del provvedimento ex art. 69 R.D. n. 2440 del 1923.
Né RAGIONE_SOCIALE, sul punto specifico della qualificazione del provvedimento, interpone ricorso incidentale, allegando e dimostrando di aver dedotto parimenti specifica doglianza già dinanzi ai giudici di merito.
Sotto altro profilo, ad ogni buon conto, dalla stessa parziale riproduzione del provvedimento effettuata in controricorso (p. 2: ‘Con provvedimento prot. 4829 datato 10/02/2015, l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Brindisi ha sospeso ai sensi dell’art. 38 bis del DPR 633/1972 il rimborso del credito IVA sopradescritto con la seguente motivazione ‘… … presenza di accertamento unificato per l’anno d’imposta 2009. L’imposta sospesa è pari a € 136.827,00 e pertanto dispone la sospensione del rimborso richiesto, in attesa della definizione delle pendenze in corso o della presentazione di idonea garanzia, senza limiti temporali , fino all’ammontare massimo di rimborso”), emerge chiaramente come i presupposti di fatto in esso evocati facciano riferimento alla
previsione dell’art. 69 R.D. n. 2440 del 1928 e non a quella dell’art. 38bis D.P.R. n. 633 del 1972: talché, pur ‘in limine’ supposta un’erronea indicazione della base giuridica in seno al provvedimento stesso (supposta perché di ciò non v’è evidenza, non essendo esso in controricorso riprodotto per intero), l’inequivoca indicazione dei presupposti di fatto ne consente un corretto inquadramento qualificatorio, nei termini intesi dalla CTR nella sentenza impugnata, non rappresentando Interfinance ragioni per ritenere il contrario.
Infondato è il secondo motivo.
6.1. È sufficiente una semplice lettura della sentenza impugnata per verificare come la stessa esibisca una motivazione effettiva sia dal punto di vista grafico che contenutistico, superando di gran lunga la soglia del cd. minimo costituzionale (Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014).
Infondati sono pure il primo, il terzo ed il quarto motivo, che, per ragioni di economia espositiva, si prestano ad essere esaminati unitariamente.
7.1. Il fermo amministrativo è disciplinato dall’art. 69, comma 6, r.d. n. 2440 del 1923, a termini del quale, ‘qualora un’amministrazione dello Stato che abbia, a qualsiasi titolo, ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni, richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo’.
7.2. Anzitutto, viene in conto l’insegnamento di Cass., Sez. U., n. 2320 del 2020, secondo cui il fermo, in quanto espressione di un generale potere di autotutela, ha portata trasversale ed è, quindi, astrattamente applicabile anche in materia di rimborsi dell’IVA, con il limite del divieto di cumulo delle tutele, nel senso che una volta ottenuta la garanzia prevista dall’art. 38 -bis DPR n. 633 del 1972, la quale intende tutelare il diritto dell’Erario alla restituzione di un credito illegittimamente rimborsato, non è più possibile procedere
alla ulteriore sospensione del rimborso ai sensi dell’art. 69 r.d. n. 2440 del 1923.
7.3. La citazione di Cass., Sez. U., n. 2320 del 2020 offre l’abbrivio per rimarcare che è ampiamente acquisita in giurisprudenza – e confermata da tale pronuncia la natura cautelare del fermo , siccome costituente, giust’appunto, esercizio del suddetto generale potere di autotutela della P.A., volto ad unilateralmente sospendere, in presenza di una “ragione di credito” di questa, un pagamento dovuto, a salvaguardia dell’eventuale compensazione legale dello stesso con un credito, anche se non attualmente liquido ed esigibile, che la PA. abbia o pretenda di avere nei confronti del creditore, talché l’adozione del fermo richiede solo il “fumus boni iuris” della ragione di credito vantata dalla P.A. (cfr., espressamente, già Cass. n. 25893 del 2017).
7.4. Ora, a mente del fatto che, nel caso di specie, la caducazione del provvedimento di sospensione del rimborso è motivata dalla CTR sul rilievo che è stata dalla medesima confermata, con parallela sentenza contemporaneamente emessa, la declaratoria di illegittimità dell’avviso di accertamento n. TVH02A101499/2014 relativo al credito della P.A. cautelato con il fermo (ossia, brevemente, a controcredito), occorre scandagliare il ‘thema’ dell’incidenza sul fermo di tale sentenza non definitiva.
7.5. Su tale ‘thema’ incide la fondamentale considerazione che la ricordata disciplina del fermo, rimasta ‘in parte qua’ invariata dall’entrata in vigore, laddove individua il limite temporale dell’autotutela provvisoria della ‘ragione di credito’ della P.A., ‘sub specie’ della ‘sospensione del pagamento’, nella definitività del provvedimento (‘ in attesa del provvedimento definitivo’), necessita di essere attualizzata con l’evoluzione dell’ordinamento processuale, che solo successivamente ha conosciuto la generale esecutività delle sentenze anche non definitive (rileva la novazione dell’art. 69, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1992 ex art. 9, comma 1,
lett. gg), D.Lgs. n. 156 del 2015, a termini del quale, con effetto dal 1° giugno 2016, ‘le sentenze di condanna al pagamento di somme a favore del contribuente sono immediatamente esecutive’; nondimeno anche prima l’immediata, o provvisoria, esecutività delle sentenze favorevoli al contribuente avrebbe potuto ricavarsi attraverso il rinvio dell’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546 del 1992 alle norme del Codice di Procedura civile e dunque anche agli artt. 282, 337 e 373 di esso).
7.6. La riprova si ha in ciò che, in ambito sanzionatorio, l’istituto, finitimo al fermo, della ‘sospensione dei rimborsi’ ex art. 23 D.Lgs. n. 472 del 1997, sopravvenuto in epoca ben più recente, già segnata dall’esecutività delle sentenze anche non definitive, tiene espressamente conto della novità, specificando, al comma 1, dopo aver ammesso che il pagamento di eventuali crediti dell’autore della violazione e di coobbligati solidali ‘può essere sospeso se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi’, che ‘la sospensione opera nei limiti di tutti gli importi dovuti in base alla decisione della commissione tributaria ‘.
L’art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 472 del 1997, dunque, istituisce un meccanismo di adattamento automatico dell’atto o provvedimento alla ‘decisione della commissione tributaria’.
7.7. Ora, tornando al fermo, un’interpretazione aggiornata e, giusta quanto subito in appresso si vedrà, sistematicamente conforme ed unionalmente orientata della pur immutata lettera dell’ art. 69, comma 6, r.d. n. 2440 del 1923 consente di affermare che il provvedimento di sospensione, avendo quale presupposto l’esistenza di una ‘ragione di credito’ della P.A., dispiega bensì effetto ‘in attesa del provvedimento definitivo’, tuttavia a condizione (ossia: fintanto) che sussista la ‘ragione di credito’: in altre parole, sussistendo la ragione di credito, permangono gli
effetti della sospensione sino al provvedimento definitivo; ma, se la ragione di credito vien meno per effetto di una sentenza pur non definitiva, la sospensione non ha più ragion d’essere, non esistendo più, nell’attualità, un credito suscettibile di tutela e perciò ‘a fortiori’ anticipatamente di cautela.
7.8. Un tale insegnamento già è stato attinto dalla giurisprudenza di legittimità, che, in epoca non più recente, ha espresso il principio secondo cui ‘il fermo amministrativo previsto dall’art. 69 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, costituendo espressione dei poteri sovraordinati che la legge riconosce alla P.A. nella fase amministrativa dell’accertamento e della riscossione dei propri crediti, non può estendere i propri effetti all’ambito processuale, in pregiudizio della situazione patrimoniale della controparte, qualora la pretesa a garanzia della quale è stato disposto sia stata disattesa dal giudice, anche in via non definitiva, contrastando tale efficacia con il principio della ‘parità delle armi’ sancito dall’art. 111 Cost. Esso, pertanto, ove sia stato disposto a tutela di un credito tributario, diviene illegittimo a seguito della sentenza che, accogliendo il ricorso proposto dal contribuente, annulla l’atto impositivo: tale sentenza, infatti, fa venir meno, indipendentemente dal suo passaggio in giudicato, il titolo sul quale si fonda la pretesa tributaria, privandola del supporto dell’atto amministrativo che la legittima, ed escludendo quindi che essa possa formare ulteriormente oggetto di alcuna forma di riscossione provvisoria’ (Cass. n. 20526 del 2006).
7.9. Un tale insegnamento, inoltre, è omogeneo alla dimensione sistemica sia interna che unionale delle misure ‘lato sensu’ cautelari.
7.10 Sul primo fronte, in riferimento all’iscrizione nei ruoli straordinari di imposta, interessi e sanzioni risultante da avviso di accertamento non definitivo, prevista, in caso di fondato pericolo per la riscossione, dagli artt. 11 e 15-bis DPR n. 602 del 1973, ed
avente perciò pacifica natura cautelare a garanzia del credito erariale, risale già a Cass., Sez. U, n. 758 del 2017 l’affermazione secondo cui la legittimità dell’iscrizione ‘dipende pur sempre da quella dell’atto impositivo presupposto, che ne è il titolo fondante, sicché, qualora intervenga una sentenza del giudice tributario, anche non passata in giudicato, che annulla in tutto o in parte tale atto, l’ente impositore, così come il giudice dinanzi al quale sia stata impugnata la relativa cartella di pagamento, ha l’obbligo di agire in conformità della statuizione giudiziale, sia ove l’iscrizione non sia stata ancora effettuata, sia, se già effettuata, adottando i conseguenziali provvedimenti di sgravio, o eventualmente di rimborso dell’eccedenza versata’.
7.11. Sul versante del diritto unionale, a misura che il fermo cada sul rimborso di un credito dell’IVA, come ampiamente illustrato, in motivazione, da Cass. n. 16097 del 2022, deve aversi riguardo alla necessità che, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, il rimborso sia garantito in termini ragionevoli e, per vero, rispetto alla durata medi dei procedimenti giudiziari, affatto brevi.
Più precisamente, per riprendere le parole della citata sentenza:
1.1.- A norma dell’art. 183 della direttiva iva, «Qualora, per un periodo d’imposta, l’importo delle detrazioni superi quello delllimposta sul valore aggiunto (IVA)] dovuta, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite. Tuttavia, gli Stati membri possono rifiutare il rimborso o il riporto se l’eccedenza è insignificante» .
Occorre, tuttavia, che non sia leso il principio della neutralità fiscale; si deve quindi consentire al soggetto passivo di recuperare la totalità del credito risultante dall’eccedenza cui egli ha diritto, di modo che il rimborso va eseguito entro un termine ragionevole e, comunque, il sistema di rimborso adottato non deve esporre il soggetto passivo a rischio finanziario alcuno (Corte giust. causa C107/10, RAGIONE_SOCIALE, punto 33; causa C-487/20, RAGIONE_SOCIALE, punto 25; causa C-582/20, SC RAGIONE_SOCIALE, punto 58)
Per conseguenza, qualora il rimborso dell’eccedenza di iva non avvenga entro un termine ragionevole, il soggetto passivo ha diritto agli interessi di mora, perché altrimenti la sua situazione risulterebbe pregiudicata, in violazione del suddetto principio di neutralità .
3.- Si deve senz’altro consentire lo svolgimento di una verifica fiscale che accedi la sussistenza dei presupposti del rimborso sotto il versante dell’esistenza di controcrediti che non consentano di procedervi, sebbene ciò comporti la proroga del termine per ottenere il rimborso e la conseguente dilazione della corresponsione di interessi (Corte giust. in causa C-107/10, cit.).
3.1.- Una tale proroga non può, tuttavia, essere irragionevole a propria volta; il che accadrebbe se essa, in una situazione in cui emerga la correttezza dell’importo del rimborso d’imposta dichiarato nella dichiarazione fiscale, vada oltre quanto è necessario per la proficua conclusione del procedimento di verifica (è stato ritenuto adeguato il termine normale di 45 giorni, e irragionevole il periodo di quasi otto mesi in concreto in quel caso trascorso: Corte giust., causa C-107/10, cit., punto 51 e dispositivo), e sia esclusa la compensazione garantita dagli interessi: in tal modo si produrrebbe l’effetto di privare il soggetto passivo dei fondi corrispondenti all’eccedenza dell’iva.
7.12. Tirando le somme di tutto quanto detto sin qui, deve, in via di estrema sintesi, enunciandosi principio di diritto, convenirsi che il fermo amministrativo previsto dall’art. 69, comma 5, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, in quanto espressione di un potere cautelare di autotutela della P.A., non può più produrre effetti qualora il credito a cautela del quale è stato disposto sia stato disatteso dal giudice, anche in via non definitiva, giacché, in tal caso, indipendentemente dal passaggio in giudicato della sentenza, vien meno nell’attualità il titolo, e quindi la ‘ragione di credito’ della P .A., legittimante, a termini del citato comma, la sospensione .
7.13. Le superiori considerazioni votano ‘funditus’ al rigetto il terzo motivo di ricorso, ma segnano consequenzialmente le sorti anche del primo e del quarto:
-quanto al primo, non si configurano, in particolare, i presupposti per alcuna sospensione ex art. 295 cod. proc. civ., poiché la pronuncia sfavorevole alla P.A. sul controcredito, ancorché
non definitiva, riverbera immediatamente effetti demolitori sul fermo;
-quanto al secondo, l’affermata insussistenza del controcredito della P.A. rende illegittimo il fermo ‘ex tunc’, ragion per cui al rimborso del credito già sospeso accedono ‘naturaliter’ gli accessori sin dall’origine maturati.
Conclusivamente, il ricorso va integralmente rigettato.
Ritiene il Collegio che l’obiettiva complessità delle questioni vertite, anche in considerazione delle solo recenti evoluzioni giurisprudenziali, in chiave di sistema, sulle misure cautelari, consenta di interamente compensare tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Compensa interamente tra le parti le spese di lite.
Così deciso a Roma, lì 13 marzo 2025.