Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7251 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 7251 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/03/2025
incontroverso che: a) l’originaria richiesta era stata formulata con la dichiarazione per l’anno 1999 in data 12.2.1999 tramite la presentazione dell’apposito modello VR; b) due successivi avvisi di rettifica parziale erano stati notificati alla contribuente nel giugno 2000; c) entrambi gli atti venivano impugnati dal CIRA e il relativo giudizio era stato definito dalla sentenza Cass. 12557/2010 con cui erano state annullate le rettifiche e riconosciuto il recupero dell’imposta; d) all’esito, in data 3.11.2010 il CIRA sollecitava il rimborso dell’eccedenza di imposta esposta nella dichiarazione IVA 1998.
Ne derivava che il termine decennale di prescrizione decorrente dalla scadenza dei tre mesi successivi alla presentazione del modello VR in data 12.2.1999 sarebbe maturato alla data del sollecito del 3.11.2010, salva la valutazione da parte del giudice del rinvio di atti interruttivi di cui ai motivi rimasti assorbiti.
Il giudice del rinvio, nel delimitare la materia del contendere a seguito della sentenza Cass. n. 12557/2010 riteneva innanzitutto che la somma contestata ed oggetto del giudizio conclusosi con la sentenza della Corte di cassazione fosse solo la parte disconosciuta del complessivo importo pari ad euro 7.571.099,00 e su questo capo della sentenza veniva successivamente proposta domanda di revocazione accolta dalla CGT di secondo grado.
Inoltre, sulla base del dictum espresso dalla sentenza Cass n.11715/22, il giudice del rinvio stabiliva che il dies a quo di esordio doveva, per l’importo richiesto a rimborso con il modello VR presentato il 12 febbraio 1999, essere individuato nel 90° giorno successivo da questo, ossia il 14 maggio 1999.
Nello specifico, negava valore interruttivo della prescrizione a due provvedimenti di sospensione del rimborso di cui all’art. 69, ultimo comma, del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 (cd. fermo amministrativo) notificati dall’Amministrazione l’8 agosto 2001 e il 12 aprile 2002.
Il giudice negava l’effetto interruttivo e di prosecuzione del decorso del termine di prescrizione ai due provvedimenti di fermo amministrativo, sotto un primo profilo, perché l’interruzione del corso della prescrizione avrebbe dovuto provenire dal soggetto creditore o essere oggetto di espresso riconoscimento da parte del debitore verso il creditore, circostanza non occorsa. Sotto un secondo profilo, perché si limitavano ad operare la sospensione o fermo della erogazione del rimborso all’agente della riscossione ed erano stati comunicati solo per conoscenza alla società. I provvedimenti di fermo amministrativo avevano dunque determinato secondo il giudice un impedimento di fatto operante sul piano non della esigibilità giuridica del credito, ma della sua erogazione concreta, senza impedire l’esercizio della azione diretta al rimborso.
Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione la contribuente, affidato a quattro motivi, che illustra con nota di deposito del 25.11.2024 e memoria ex art.378 cod. proc. civ. depositata il 27.11.2024. In tali atti difensivi la società rende noto che la sentenza impugnata in questa sede è stata oggetto di ricorso per revocazione parziale accolto dalla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania in data 11 ottobre 2024 con sentenza n.5810/2014
depositata l’11.10.2024 e che non risulta notificata.
Da ultimo, successivamente alla stessa pubblica udienza dell’11 .12.2024, in data 12.2.2025 l’Agenzia delle Entrate si è costituita in giudizio depositando controricorso.
Ragioni della decisione
1. In primo luogo, va dichiarato inammissibile l’atto di costituzione in giudizio, controricorso, depositato dall’Agenzia delle Entrate il 12 febbraio 2025 in quanto ultra-tardivo, non solo in violazione del termine di cui all’art.370 cod. proc. civ., ma anche successivo alla celebrazione della pubblica udienza e della assunzione della controversia in decisione.
La notifica del ricorso, invero, è stata ritualmente effettuata in data 22 aprile 2024 e non ricorrono -sia sul piano oggettivo in relazione all’oggetto del ricorso che sul piano temporale avuto riguardo alla disciplina di cui alla legge n. 197 del 2022 -ragioni di sospensione del termine per il deposito del controricorso.
2. In secondo luogo, con riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia t ributaria n.5810/2014 dell’11 ottobre 2024 , la quale ha parzialmente revocato la sentenza impugnata con il ricorso per Cassazione, il Collegio osserva che, qualora la domanda di revocazione concerna, come nel caso, una parte autonoma della sentenza d’appello, la Corte ha già affermato (Cass. Sez. 2, sentenza n. 8773 del 12/05/2020) che il relativo accoglimento determina, in aderenza alle regole dell’impugnazione parziale e dell’effetto espansivo interno, la rescissione di quella parte soltanto, nonché delle parti che dipendano dalla parte rescissa, mentre conservano la loro efficacia le parti autonome ed indipendenti; sicché, nel giudizio di cassazione pendente su queste ultime, la pronuncia di revocazione non fa cessare la materia del contendere.
Nel caso di specie, la sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado, non notificata e non definitiva al momento del trattenimento della presente causa in decisione, ha parzialmente revocato la sentenza impugnata davanti a questa Corte, ma è suscettibile di incidere solo sui motivi 2-4 del presente ricorso. Con tali censure è stato fatto valere, quale causa di interruzione e sospensione della prescrizione di parte del credito IVA chiesto a rimborso, il fatto che anche quella parte della domanda fosse oggetto del giudizio definito dalla sentenza Cass. 12557/2010, a differenza di quanto stabilito dalla CGT2 con il capo della sentenza impugnata poi revocato. Al contrario, su di un piano logico, la sentenza di revocazione non è suscettibile di incidere sul primo motivo di ricorso con il quale la ricorrente impugna il capo della decisione del giudice del rinvio che ha escluso l’efficacia interruttiva e impeditiva del decorso della prescrizione ad opera della notifica di due provvedimenti di cd. fermo amministrativo in relazione all’intero credito IVA chiesto a rimborso e ancora non accreditato. Il primo motivo, in altri termini, non solo impugna un capo della sentenza del giudice del rinvio non inciso dalla revocazione parziale, ma è anche potenzialmente idoneo a definire il giudizio, e non può che essere scrutinato in questa sede sulla base degli atti ritualmente introdotti nel processo di Cassazione.
3 . Con il primo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., si deduce la violazione dell’art. 2935 cod. civ. nonché dell’art. 30 , d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per non aver la CGT2 ravvisato la tempestività dell’istanza di rimborso presentata dalla società ai fini della ripetizione del credito IVA non ancora rimborsato, stante la valenza impeditiva -rispetto all’ordinario decorso del relativo termine prescrizionale -dei provvedimenti di cd. fermo amministrativo notificati dall’ufficio.
4. Il motivo è fondato.
4.1. L’art. 69, comma 6, del r.d. 18 novembre 1923 n. 2440 consente a un’Amministrazione dello Stato di sospendere temporaneamente il pagamento in favore del proprio creditore, in attesa di provvedimento definitivo, quando essa debitrice o altra Amministrazione a loro volta abbiano a qualsiasi titolo una contrapposta ragione di credito (cfr. Cass. n. 7320 del 2014).
Tale sospensione, comunemente denominata fermo amministrativo, riguarda somme dovute e, dunque, si traduce nell’eccezionale possibilit à̀ della parte pubblica obbligata di differire il soddisfacimento del credito liquido ed esigibile, in via provvisoria, fino a che la coesistenza di reciproche poste – di dare e di avere – non approdi all’estinzione, in tutto o in parte, del debito per effetto di compensazione.
4.2. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che la suddetta facolt à̀ è attribuita alla pubblica Amministrazione per la tutela di interessi della collettivit à̀ in base a una valutazione di predominanza di esigenze erariali sul diritto soggettivo del creditore (v. Cass. Sez. Un. n. 1733/02).
Il provvedimento di sospensione del pagamento ex art. 69 del r. d. n. 2440 del 1923, è perciò espressione del potere di autotutela della P. A. a salvaguardia dell’eventuale compensazione legale dell’altrui credito con quello, anche se attualmente illiquido, che l’Amministrazione prospetta nei confronti del suo creditore. Avendo portata generale, in quanto mira a garantire la certezza dei rapporti patrimoniali con lo Stato mediante la concorrente estinzione delle poste reciproche, attive e passive, pu ò̀ essere legittimamente applicato anche in materia tributaria ai rimborsi IVA fino al sopraggiungere dell’eventuale giudicato negativo circa la concorrente ragione di credito vantata dall’erario (cfr. Cass. Sez. 5, n. 6985 del 2021; Cass. n. 25893 del 2017; Cass. n. 9853 del 2011).
Non solo il provvedimento di sospensione del pagamento di cui all’art. 69, ultimo comma, del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 è espressione del potere di autotutela della P.A., ma costituisce una misura di natura cautelare (cfr. Corte Cost. n.67/1972), rivolta a sospendere, in presenza di una ragione di credito della P.A. stessa, un eventuale pagamento dovuto, a salvaguardia dell’eventuale compensazione legale dello stesso con un credito, anche se non attualmente liquido ed esigibile e, anzi, proprio perché attualmente non certo o non liquido o esigibile, potendosi altrimenti procedere direttamente alla compensazione (v. Cass. n. 4567 del 2004).
5.1. È peculiare anche la struttura del provvedimento cautelare, in virtù dei connotati del potere che ne è espressione: ciò che è necessario è che l’Amministrazione abbia, ovvero pretenda di avere, nei confronti del suo creditore un controcredito, anche se attualmente illiquido, e la sua adozione richiede soltanto il fumus boni iuris della ragione di credito vantata dall’Amministrazione, inteso in dottrina come non irragionevolezza della pretesa stessa. Resta, invece, estranea alla natura ed alla funzione del provvedimento qualsiasi considerazione di un eventuale periculum in mora , senza che detta disciplina ponga dubbi di legittimit à costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. (v. Cass. n. 9853 del 2011). La norma, infatti, non configura un irrazionale privilegio, ma uno strumento necessario alla protezione del pubblico interesse connesso alle esigenze finanziarie dello Stato (cfr. Corte Cost. n.67/1972 cit.), in base ad una valutazione di predominanza delle esigenze erariali sul diritto soggettivo del creditore (Cass. Sez. U. 1733/2002).
Da quanto sopra esposto discendono due corollari rilevanti per la decisione della presente controversia.
6.1. Innanzitutto, deve ritenersi legittimo il diniego di rimborso di IVA da parte dell’Amministrazione finanziaria, in dipendenza dell’adozione
di un provvedimento di cd. fermo amministrativo delle somme pretese in restituzione, in ragione della pendenza di controversie tra le parti su rettifiche relative ad altre annualit à̀ d’imposta (Cass. Sez. 5, sentenza n. 9246 del 17/04/2013).
6.2. Inoltre, la temporaneità della durata non ha valenza cronologica bensì condizionante, nel senso che il provvedimento dura e produce i suoi effetti se e finché non intervenga un provvedimento definitivo, anche giurisdizionale, di revoca o incameramento delle somme delle quali è stato sospeso il pagamento al privato (v. Cass. 4567/2004 cit.). 7. Tirando le fila dalla ricostruzione del quadro normativo, è indubbia l’incidenza sull’esercizio del diritto al rimborso dell’IVA versata in eccedenza, mediante impugnazione del rifiuto del rimborso stesso, da parte del cd. fermo amministrativo disposto ex art.69 del r.d. n.2440 del 1923, idoneo a determinare l’impossibilità dell’esercizio del credito. Inoltre, i l potere esercitato in autotutela dall’Amministrazione, determina un impedimento giuridico non al diritto di credito, ma alla sua possibilità di essere messo in esecuzione, rilevante anche ai fini della prescrizione.
N on si realizza, come ritiene il giudice d’appello, un mero impedimento di fatto all’esercizio del diritto : l ‘impedimento giuridico, previsto per legge ed esercitabile in via cautelare in autotutela dall’Amministrazione debitrice, ha rilevanza ai fini dell’art. 2935 cod. civ. il quale, nello stabilire che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, fa riferimento alla sola possibilità legale di far valere il diritto a causa di impedimenti di ordine giuridico e non di mero fatto.
8. Ne discende, in primo luogo, che la comunicazione al creditore del cd. fermo del pagamento del credito, imposta in via cautelare dalla stessa Amministrazione debitrice, ha efficacia interruttiva della prescrizione ex art. 2935 cod. civ. L ‘effetto interruttivo è conseguenza
dell’ esercizio di un potere, improntato sì a valutazioni discrezionali dell’interesse pubblico, ma che non può essere in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza (art.3 Cost.) avuto riguardo alla posizione del singolo creditore, perché l’esercizio del potere non è sottratto ai controlli che l’ordinamento nazionale prevede, anche in sede giurisdizionale, seppure con le modificazioni che conseguono alla dichiarata subordinazione del diritto soggettivo del privato contraente alle esigenze del pubblico interesse (v. Corte Cost. 19 aprile 1972 n. 67).
8.1. Il dispiegarsi dell’ effetto interruttivo è, inoltre, coerente con la giurisprudenza della Corte di Giustizia (CGUE sentenza del 07/09/2023 n. 639, in causa C-453/22) e la necessità di rispettare la Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla Direttiva 2010/45/UE del Consiglio del 13 luglio 2010, e i principi di neutralità dell’IVA e di effettività, nel caso in cui l’esercizio del diritto al rimborso sia impedito da un’irragionevole applicazione del termine di prescrizione.
9. In secondo luogo, ai fini del rimborso IVA, si deve anche ritenere che, qualora l’Amministrazione abbia inteso garantire la ragione di credito con un provvedimento di cd. fermo amministrativo ex art. 69 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, la prescrizione del diritto del contribuente all’erogazione del credito cd. fermato, sino alla coesistenza della causa impeditiva dell’esercizio del diritto , non decorre. La prescrizione può riprendere a decorrere solo dal momento in cui il provvedimento sia stato giuridicamente eliminato dalla stessa Amministrazione, anche in via di autotutela, oppure dal passaggio in giudicato della decisione (ragionando da Cass. n. 412 del 2013) che abbia accertato l’insussistenza del credito che l’Amministrazione ha inteso garantire con il provvedimento di fermo.
10. Alla luce di quanto precede dev ‘ essere espresso il seguente principio di diritto: « In tema di rimborso IVA, il provvedimento di cd. fermo amministrativo ex art. 69 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, imposto in via cautelare discrezionalmente dall’Amministrazione debitrice, costituisce impedimento giuridico alla possibilità di esercitare il diritto di credito, sicché ha efficacia interruttiva della prescrizione del diritto del creditore all’erogazione del credito “fermato’, che riprende a decorrere solo dal momento della cessazione della causa impeditiva dell’esercizio del diritto ».
11. In applicazione del principio suddetto, nella fattispecie l’intervenuta adozione dei provvedimenti di fermo con cui è stato sospeso il rimborso dei crediti richiesti dal CIRA, a differenza di quanto ritenuto dal giudice del rinvio, è idonea a determinare l’interruzione della prescrizione, ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., poiché ha impedito temporaneamente sul piano giuridico l’esercizio del correlativo credito da parte della società. Tenuto conto che la sentenza impugnata stessa ha individuato il dies a quo di esordio della prescrizione per l’intero importo richiesto a rimborso con la dichiarazione presentata il 12 febbraio 1999, nel 90° giorno successivo e, dunque, in venerdì 14 maggio 1999, la notifica che la CGT2 accerta essere intervenuta in data 8 agosto 2001 e 12 aprile 2002 – dei due provvedimenti di cd. fermo amministrativo ai sensi dell’art. 69, ultimo comma, del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 da parte dell’Amministrazione ha interrotto la prescrizione. Inoltre, la decorrenza della prescrizione è ripresa a decorrere solamente a seguito del passaggio in giudicato della sentenza n. 12557/2010 con cui la Cassazione ha riconosciuto l’illegittimità integrale degli avvisi di accertamento parziale che avevano in precedenza costituito i carichi pendenti posti alla base dei provvedimenti di fermo amministrativo e, pertanto, tenuto conto del sollecito di rimborso del 3.11.2010 e quindi
dell’incardinamento nel 2013 del ricorso originario introduttivo del presente giudizio, ha errato il giudice d’appello a ritenere maturata la prescrizione decennale del credito azionato.
12. L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento dei restanti, con i quali viene dedotto l’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, nella parte in cui il giudice a quo non ha considerato che la minore quota di credito pari ad euro 6.420.068,00 è stata anch’essa oggetto del giudizio di impugnazione conclusosi con la sentenza n. 12557/2010 di codesta Corte -in quanto contestata nell’ambito dell’accertamento parziale per l’anno 1997 con l’effetto che la relativa azione di rimborso non risulta nella specie prescritta ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (secondo motivo); la violazione dell’art. 2943 cod. civ. nonché dell’art. 30 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per non aver la CGT2 riconosciuto l’avvenuta interruzione dell’ordinario decorso del termine prescrizionale con riferimento alla quota di credito pari ad euro 6.420.068,00, in ragione dell’impugnazione promossa dalla società avverso l’avviso di accertamento parziale con cui tale quota era stata disconosciuta dall’ufficio ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. (terzo motivo); la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, cod. proc. civ. e 36, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui la CGT2 ha formulato una motivazione perplessa e avulsa dalla res controversa oggetto del giudizio a quo , come tale priva del necessario attributo della decisività ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. (quarto motivo).
13. La sentenza impugnata è in conclusione cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto ai sensi dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ., va accolto l’originario ricorso introduttivo.
14. Le spese di lite sono compensate quanto al merito in ragione della complessità della controversia e parziale novità delle questioni, ex
art.92 cod. proc. civ., mentre quelle di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso introduttivo.
Compensa le spese di merito e condanna al pagamento delle spese di legittimità, liquidate in euro 45.000,00 oltre euro 200,00 per rimborso spese borsuali, IVA e Cpa.
Roma, così deciso in data 11 dicembre 2024