Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11111 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11111 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1715/2016 R.G., proposto
DA
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall ‘ Avv. NOME COGNOME con studio in Bari, elettivamente domiciliat a presso l’Avv. NOME COGNOME con studio in Roma, giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;
CONTRORICORRENTE/RICORRENTE INCIDENTALE avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Puglia il 16 giugno 2015, n. 1389/11/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17 dicembre 2024 dal Dott. NOME COGNOME.
IMPOSTA SULLE SUCCESSIONI RISCOSSIONE DILAZIONE
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Puglia il 16 giugno 2015, n. 1389/11/2015, che, in controversia su impugnazione di cartella di pagamento n. NUMERO_DOCUMENTO notificata il 26 giugno 2012, con riguardo alle sanzioni amministrative nella misura di € 132.800,85 per il tardivo versamento dell’ imposta principale sulle successioni in dipendenza di due avvisi di liquidazione nn. 09/02009/000723/001 e 09/09990/000193/001 con riguardo alle denunce di successione (principale ed integrativa) in morte di NOME COGNOME presentate, l’una, il 27 maggio 2009, n. 723 -vol. 2009, e, l’altra, il 21 dicembre 2009, n. 193 vol. 9990, ha accolto l’appello proposto dall ‘Agenzia delle Entrate nei confronti della medesima avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Bari il 15 luglio 2013, n. 95/02/2013, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali.
Il giudice di appello ha riformato, la decisione di prime cure – che aveva accolto il ricorso originario della contribuente – sul presupposto dell’insussistenza di una dilazione di pagamento a favore della contribuente e del diniego del ravvedimento per la definizione della pretesa impositiva dell’amministrazione finanziaria nei confronti della contribuente.
L ‘ Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato avverso la medesima sentenza.
Con conclusioni scritte, il P.M. ha chiesto, da ultimo, l’accoglimento del ricorso incidentale condizionato con l’assorbimento del ricorso principale.
Con ordinanze interlocutorie, il collegio ha, dapprima, disposto l’acquisizione del fascicolo di merito ; ha, poi, rinviato
la causa a nuovo ruolo in attesa della decisione sulla questione rimessa alle Sezioni Unite se l’art. 53, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, disciplini o meno un litisconsorzio necessario processuale che imponga sempre, prescindendo dal carattere scindibile o inscindibile delle cause o della loro dipendenza ai sensi degli artt. 331 e 332 cod. proc. civ., l’integrazione del contraddittorio nei c onfronti di tutti i partecipanti al giudizio di primo grado, ovvero se il legislatore abbia inteso rendere la materia del litisconsorzio nel processo tributario di secondo grado autonoma rispetto a quella contenuta nel codice di procedura civile, così evidenziando gli aspetti peculiari della disciplina del processo tributario di appello e tra questi le modal ità di proposizione dell’appello tributario stabilite dall’art. 54 del d .lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
All’esito, la causa è stata fissata per la trattazione all’adunanza camerale del 17 dicembre 2024 .
CONSIDERATO CHE:
Il ricorso principale è affidato a sei motivi.
1.1 Con il primo motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata e del relativo procedimento per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 331 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., richiamato dall’art. 62, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di ordinare l’ integrazione del contraddittorio nei confronti dell” RAGIONE_SOCIALE, in qualità di agente della riscossione, che era stata parte del giu dizio di primo grado, sussistendo un’ipotesi di litisconsorzio necessario processuale.
1.2 Con il secondo motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36 del
d.lgs. 31 dicembre 1992 , n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., richiamato dall’art. 62, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per essere stato erroneamente ritenuta dal giudice di secondo grado la carenza di motivazione della sentenza di primo grado.
1.3 Con il terzo motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212 e 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., richiamato dall’art. 62, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per non essere stata rilevata dal giudice di secondo grado l’omessa rappresentazione alla contribuente, in spregio ai principi di legittimo affidamento e buona fede, della possibilità di chiedere il ravvedimento mediante il pagamento del 3% delle sanzioni con i relativi interessi moratori, richiedendo la maggiore sanzione d el 30% dell’importo non versato .
1.4 Con il quarto motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione del combinato disposto degli artt. 15, comma 1, lett. o), del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, e 1, comma 133, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., richiamato dall’art. 62, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per non essere stato applicato dal giudice di secondo grado, in spregio al principio del favor rei , il più favorevole ius superveniens che consentiva alla contribuente di beneficiare della riduzione alla metà della sanzione per il ritardo non superiore a 90 giorni dalla scadenza del termine nel versamento dell’imposta principale sulle successioni .
1.5 Con il quinto motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 38 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, quale modificato dall’art. 7, comma 1, del d.lgs.
24 settembre 2015, n. 159, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., richiamato dall’art. 62, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per non essere stato applicato dal giudice di secondo grado il più favorevole ius superveniens che consentiva alla contribuente di ottenere la dilazione di pagamento senza la prestazione di idonea garanzia, ritenendo la legittimità della sanzione per tardivo pagamento a causa del mancato ottenimento di una polizza fideiussoria.
1.6 Con il sesto motivo, si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., richiamato dall’art. 62, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di pronunziarsi sull’eccezione di inammissibilità dell’ appello proposto da ll’amministrazione finanziaria , di cui si deduceva la tardività.
Il ricorso incidentale condizionato è affidato ad un unico motivo, con il quale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere stato omesso dal giudice di secondo grado di pronunc iarsi sull’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto dalla contribuente, di cui si deduceva l’impugnazione per vizi diversi da quelli propri della cartella di pagamento.
Preliminarmente, disattendendo l’ordine di prospettazione, si deve esaminare il sesto motivo del ricorso principale, la cui pregiudizialità è insita nell ‘ astratta idoneità della questione dedotta (seppur sotto il profilo dell’omessa pronuncia) alla potenziale definizione del giudizio.
3.1 Il suddetto motivo è infondato.
3.2 Nella specie, come si desume dalla lettura della sentenza impugnata, il giudice di secondo grado ha effettivamente tralasciato di vagliare (senza nemmeno farne menzione nell’esposizione degli antefatti processuali) l’eccezione di inammissibilità dell’appello, il cui tenore letterale in rigoroso ossequio al canone dell’autosufficienza è stato riprodotto nel corpo del ricorso per cassazione .
3.3 In proposito, è orientamento costante di questa Corte che, se il giudice di appello ometta di pronunciarsi sull’eccezione di tardività del gravame, la parte che intenda evitare sul punto la formazione del giudicato ha l’onere di impugnare per cassazione la sentenza d’appello invocando il vizio di omessa pronuncia, mentre non può limitarsi a riproporre puramente e semplicemente in sede di legittimità la questione della tardività dell’appello (tra le tante: Cass., Sez. 6^-3, 10 gennaio 2014, n. 440; Cass., Sez. Lav., 11 luglio 2019, n. 18708; Cass., Sez. 3^, 25 febbraio 2021, n. 5257; Cass., Sez. 5^, 14 marzo 2022, n. 8173; Cass., Sez. 5^, 15 marzo 2022, n. 8285; Cass., Sez. Trib., 10 aprile 2024, n. 9673).
Per cui, una volta accertata l’omessa pronuncia, il collegio è in grado di scrutinare l’ammissibilità dell’appello sulla scorta delle risultanze processuali, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto.
3.4 Invero, è ormai pacifico che la Corte di cassazione possa decidere la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., nel caso di violazione o falsa applicazione non solo di norme sostanziali ma anche di norme processuali (nella specie, quella di cui all’art. 112 cod. proc. civ.), il che è conforme al principio di economia processuale e di ragionevole durata del processo , purché non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 20 ottobre 2017, n. 24866; Cass., Sez. 5^, 8 giugno 2021, n. 15866; Cass., Sez. Trib., 4 novembre 2022, n. 32511; Cass., Sez. 3^, 16 giugno 2023, n. 17416; Cass., Sez. 2^, 6 agosto 2024, n. 22177).
3.5 Ciò posto, però, l’eccezione di rito deve essere disattesa, essendo stata tempestiva la proposizione del gravame.
A ben vedere, considerando la pubblicazione della sentenza impugnata il 15 luglio 2013 e tenendo conto della sospensione feriale dall’1 agosto 2014 al 31 agosto 2014, il termine lungo per la proposizione dell’appello veniva a scadenza l’ 1 marzo 2014.
S i desume dalla consultazione del fascicolo di merito che l’a tto di appello: a) era stato consegnato per la notifica al servizio postale dal messo notificatore dell’amministrazione finanziaria il 27 febbraio 2014; b) era stato ricevuto, in assenza della destinataria, dal portiere dello stabile di sua residenza il 4 marzo 2014 con contestuale attestazione di invio alla medesima della comunicazione di avvenuta notifica (c.d. c.a.n.); c) era stato depositato presso la Segreteria della
Commissione tributaria regionale per la Puglia il 18 marzo 2014.
Se ne può concludere, quindi, che l’appello è stato tempestivo , essendo rilevante ai fini dell’esercizio dell’impugnazione la mera consegna dell’atto al servizio postale.
Di seguito, si deve esaminare con precedenza il motivo del ricorso incidentale (condizionato), il quale ha priorità logica e giuridica rispetto ai restati motivi del ricorso principale, essendo attinente a questione pregiudiziale di rito (cioè, l ‘inammissibilità del ricorso originario della contribuente), rilevabile anche d’ufficio, che ha carattere potenzialmente assorbente rispetto a quelle proposte con il ricorso principale.
4.1 Invero, alla stregua del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, il cui fine primario è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito; qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di Cassazione solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale (tra le tante: Cass., Sez. 3^, 14 marzo 2018, n. 6138;Cass., Sez. 5^, 3 maggio 2019, n. 11640; Cass., Sez. 5^, 17 novembre 2021, n. 34903; Cass., Sez. Trib., 23 novembre 2022, n. 34540; Cass., Sez. Trib., 27
luglio 2023, n. 22938; Cass., Sez. Trib., 28 maggio 2024, n. 14920).
4.2 Ad ogni buon conto, il suddetto motivo è infondato.
4.3 La sentenza impugnata non ha deciso né delibato tale
questione, per quanto l’appellante avesse rappresentato di aver proposto l’eccezione di inammissibilità dinanzi al giudice di primo grado (come si evince dalla consultazione del fascicolo di merito, secondo l’atto di appello: « L’ufficio eccepiva, inoltre, l’inammissibilità del ricorso del contribuente ai sensi dell’art, 19 del D.lgs. 546/92, comma 3, posto che la cartella poteva essere impugnata solo per vizi propri, in quanto atto meramente esecutivo del precedente avviso di liquidazione »); 4.4 Tuttavia, la questione non è stata espressamente riproposta tra i motivi di appello (che si sono concentrati sull’iscrizione a ruolo della sanzione amministrativa e degli interessi moratori per il mancato pagamento dell’imposta sulle successioni nel termine di sessanta giorni dalla notifica dell’avviso di liquidazione, nonché sull’inosservanza degli obblighi iner enti all’opzione per il ravvedimento operoso) , con la conseguenza che nessuna omissione di pronuncia può essere imputata al giudice di secondo grado ex art. 112 cod. proc.
civ..
4.5 Ad ogni modo, come si desume dalla sintesi fattane nello stesso atto di appello (pagine 3 e 4), il ricorso originario della contribuente era fondato su censure attinenti proprio alla cartella di pagamento e al contenuto sanzionatorio della medesima.
Per il resto, il primo motivo del ricorso principale è infondato.
5.1 La censura attinge la sentenza impugnata per non aver rilevato la sussistenza di un litisconsorzio necessario ‘ processuale ‘ e per non aver ordinato l’integrazione del
contraddittorio nei confronti dell’agente della riscossione (in particolare, ‘ RAGIONE_SOCIALE) , che pure era stato evocato nel giudizio di primo grado.
5.2 Invero, l ‘indirizzo interpretativo di questa Corte (a partire da: Cass., Sez. Un., 27 luglio 2007, n. 16412) è andato consolidandosi nel senso che il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della riscossione per motivi che attengono alla mancata notificazione, ovvero anche alla invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’ente impositore quanto del concessionario; senza che tra i due soggetti sia configurabile alcun litisconsorzio necessario; resta, peraltro, fermo, in presenza di contestazioni involgenti il merito della pretesa impositiva, l’onere per l’agente della riscossione di chiamare in giudizio l’ente impositore, ex art. 39 del D.L.vo 13 aprile 1999 n. 112; così da andare indenne dalle eventuali conseguenze negative della lite.
5.3 In applicazione di tale orientamento, si è tra l’altro affermato (Cass., Sez. 5^, 28 aprile 2017, n. 10528; Cass., Sez. 5^, 4 aprile 2018, n. 8295) che il contribuente, qualora impugni una cartella esattoriale emessa dall’agente della riscossione deducendo la mancata notifica dei prodromici atti impositivi, può agire indifferentemente nei confronti dell’ente impositore o dell’agente della riscossione, senza che sia configurabile alcun litisconsorzio necessario, costituendo l’omessa notifica dell’atto presupposto vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto successivo ed essendo rimessa all’agente della riscossione la facoltà di chiamare in giudizio l’ente impositore; non diversamente, deve escludersi la configurabilità di un litisconsorzio necessario qualora il giudizio sia stato promosso nei confronti del concessionario, non
assumendo alcun rilievo, a tal fine, la circostanza che la domanda abbia ad oggetto l’esistenza del credito, anziché la regolarità o la validità degli atti esecutivi, dal momento che l’eventuale difetto del potere di agire o resistere in ordine all’accertamento del credito non determina la necessità di procedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti del soggetto che ne risulti effettivamente titolare, ma comporta esclusivamente l’insorgenza di una questione di legittimazione, per la cui soluzione non è indispensabile la partecipazione al giudizio dell’ente impositore (Cass., Sez. 6^-5, 21 giugno 2019, n. 16685; Cass., Sez. 5^, 11 febbraio 2020, n. 3238; Cass., Sez. 5^, 17 novembre 2020, n. 26092; Cass., Sez. 6^5, 18 febbraio 2020, n. 3955; Cass., Sez. 5^, 9 marzo 2021, n. 6422; Cass., Sez. 5^, 16 giugno 2021, n. 16983; Cass., Sez. 5^, 12 agosto 2021, n. 22756; Cass., Sez. Trib., 22 dicembre 2022, n. 37498; Cass., Sez. Trib., 29 novembre 2023, n. 33135; Cass., Sez. Trib., 25 ottobre 2024, n. 27741). 5.4 N e consegue che l’omessa instaurazione del contraddittorio processuale nei confronti dell’agente della riscossione (a cui pure il ricorso originario della contribuente era stato notificato) non inficia la regolarità del procedimento di appello, né mina la validità della sentenza impugnata.
Aggiungasi che l’attesa pronuncia delle Sezioni Unite sul litisconsorzio nel processo tributario non fa che confermare tale conclusione, avendo affermato che, nel processo tributario, in tema di giudizio con pluralità di parti, l’art. 53, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, laddove prevede la sua proposizione nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado, non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili, dipendenti e scindibili, così come delineata dalle regole processual-civilistiche, e pertanto,
nei limiti del rispetto delle regole prescritte dagli artt. 331 e 332, cod. proc. civ., applicabili al processo tributario, non vi è l’obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti delle parti, pur presenti nel giudizio di primo grado, il cui interesse alla partecipazione al grado d’appello, per cause scindibili, sia venuto meno (Cass., Sez. Un., 30 aprile 2024, n. 11676).
A sostegno di tale conclusione, infatti, si è ritenuto che le cause tra loro scindibili, cumulate in primo grado per connessione oggettiva e costituzione di un litisconsorzio facoltativo, possono essere separate; in queste ipotesi, data la sostanziale autonomia delle posizioni giuridiche rappresentate, alcun ostacolo logico o giuridico impedisce che per alcune parti la sentenza di primo grado passi in giudicato, laddove altri possano reputare ancora insoddisfatto il proprio interesse ed a tal fine la impugnino; la regola della incontrovertibilità della pronuncia, ossia il giudicato, in questo caso sarà enucleata dalla sentenza di primo grado per taluni, dalla sentenza emessa all’esito dell’impugnazione per altri ; e, tuttavia, anche in questa ipotesi il legislatore non è insensibile alla tendenziale unitarietà del giudizio; solo che ciò che in questa seconda ipotesi preoccupa non è il contrasto tra giudicati, ma, nell’evenienza che anche altre parti del processo, originariamente unitario, intendano impugnare la sentenza di primo grado, autonomamente, ciò non porti alla introduzione di più processi; la preoccupazione allora non è generata dall’intollerabile contrasto di decisioni rispetto all’unico oggetto della controversia, ma trova fondamento in una esigenza di economia processuale o, come pure sottolineato in dottrina, nell’intento di evitare differenze motivazio nali delle decisioni (c.d. contrasti logici) (vedasi, in motivazione: Cass., Sez. Un., 30 aprile 2024, n. 11676).
Il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile e, comunque, infondato.
6.1 La ricorrente si duole « per avere i giudici ritenuto sussistente il lamentato difetto di motivazione della sentenza di primo grado, nonostante il primo giudice avesse esposto, nel suo pronunciamento, come richiesto dalla norma in commento, i motivi in fatto e in diritto su cui ha fondato la propria decisione, e l’iter logico giuridico adottato per raggiungerla ».
6.2 A ben vedere, il giudice di appello ha ravvisato il ‘ difetto di ‘motivazione ‘ della sentenza impugnata (in relazione all’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546) nel rilievo che: « Dalla documentazione in atti prodotta emerge, infatti, da un lato, l’inesistenza della pretesa dilazione di pagamento in favore dell’appellata e, dall’altro, il difetto di prova nel merito di eventuali accordi transattivi tra le parti, volti a definire bonariamente la posizione debitoria della Civita, derogando alla regolazione di riferimento ».
6.3 In definitiva, secondo il giudice di appello, il vizio riscontrato era consistito nell ‘omessa valutazione delle eccezioni e delle difese dell’amministrazione finanziaria (con particolare riferimento alle condizioni del ravvedimento operoso e della dilazione di pagamento), la cui delibazione aveva condotto ad un opposto esito del giudizio di prime cure. 6.4 Tuttavia, al di là del riscontro di una presunta violazione o falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (secondo la denuncia dell’appellante), la ratio decidendi della sentenza impugnata si era, più che altro, sostanziata in un più completo e globale apprezzamento delle allegazioni dedotte e delle prove fornite dalle parti, la cui complessiva ponderazione aveva condotto alla revisio prioris instantiae , per cui l’enunciazione d i un ‘ difetto di motivazione ‘, in realtà,
alludeva alla carenza di una dettagliata ed articolata disamina delle risultanze processuali alla luce degli obblighi e degli oneri imposti dalla normazione tributaria.
Per cui, lungi dal porre rimedio ad una carenza motivazionale della sentenza di prime cure (che, in realtà, era adeguatamente sorretta da un percorso argomentativo fondato su una diversa qualificazione delle condotte dell’amministrazione finanziaria e della contribuente, come si desume dalla trascrizione fattane -in rigoroso ossequio al canone dell’autosufficienza nel ricorso per cassazione), la sentenza impugnata era scaturita da un ragionato riesame della sequenza del procedimento impositivo che aveva condotto ad una difforme ricostruzione della fattispecie accertata e dei relativi effetti per la contribuente.
6.5 In tal senso, secondo il costante indirizzo di questa Corte, anche nell’ambito del contenzioso tributario, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 17 settembre 2020, n. 19351; Cass., Sez. 5^, 16 febbraio 2021, n. 3941; Cass., Sez. 5^, 23 novembre 2021, n. 36093; Cass., Sez. Trib., 2 settembre 2022, n. 25962; Cass., Sez.
Trib., 15 marzo 2023, n. 7498; Cass., Sez. Trib., 4 settembre 2024, n. 23748).
6.6 In definitiva, la censura trascura che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi; in altri termini, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, con la conseguenza che è insindacabile, in sede di legittimità, il peso probatorio ascritto ad un elemento di prova in luogo dell’altro, sempre che il giudizio sia logicamente motivato (Cass., Sez. 5^, 9 maggio 2022, n. 14488).
Il terzo motivo ed il quinto motivo del ricorso principale -la cui stretta ed intima connessione consiglia la trattazione congiunta -sono infondati.
7.1 Il primo mezzo censura la ‘ scorrettezza ‘ dell’amministrazione finanziaria, che, in primo tempo, avrebbe « rappresentato alla ricorrente la possibilità di perfezionare il ravvedimento operoso con il versamento, pur tardivo del 3% delle sanzioni dell’imposta, già interamente pagata, e dei relativi interessi (pagamento che, quindi, veniva subito effettuato) e, successivamente, richiesto la sanzione del 30% ai sensi dell’art. 13, comma 2, del DPR 471/97, per tardivo versamento -hanno concluso per la fondatezza di tale recupero laddove, al contrario, avrebbero dovuto statuire per l’infondatezza della pretesa sanzionatoria, operata in violazione dell’art. 10 predetto, ponendo a base del pronunciamento
proprio quei fatti non contestati dalla Agenzia delle Entrate ai sensi dell’art. 115 cpc ».
7.2 S econdo l’art. 38 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente ratione temporis (cioè, prima delle modifiche introdotte dall’art. 7 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 159): « 1. Al contribuente può essere concesso di eseguire il pagamento nella misura non inferiore al 20 per cento delle imposte, delle sanzioni amministrative e degli interessi di mora nei termini di cui all’articolo 37, comma 1, e per il rimanente importo in rate annuali posticipate. La dilazione, che va richiesta contestualmente ai predetti pagamenti, non può estendersi oltre il quinto anno successivo a quello dell’apertura della successione e viene accordata entro novanta giorni dalla data della richiesta stessa. 2. Sugli importi dilazionati sono dovuti, con decorrenza dalla data di concessione della dilazione, gli interessi a scalare nella misura determinata con decreto del Ministro delle finanze. 3. La dilazione è concessa a condizione che sia prestata idonea garanzia mediante ipoteca o cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato al valore di borsa, o fideiussione rilasciata da istituto o azienda di credito o polizza fideiussoria rilasciata da impresa di assicurazioni autorizzata. Gli atti e le formalità relativi alla costituzione e alla estinzione di queste garanzie sono soggetti all’imposta di registro e ipotecaria in misura fissa. 4. Il contribuente ha in ogni caso diritto di ottenere la dilazione se offre di iscrivere ipoteca su beni o diritti compresi nell’attivo ereditario di valore complessivo superiore di almeno un terzo all’importo da dilazionare, maggiorato dell’ammontare dei crediti garantiti da eventuali ipoteche di grado anteriore iscritte sugli stessi beni e diritti. 5. Il contribuente, salva l’applicazione delle sanzioni stabilite per il ritardo nel pagamento, decade dal beneficio della
dilazione se non provvede al pagamento delle rate scadute entro sessanta giorni dalla notificazione di apposito avviso. É tuttavia in facoltà dell’ufficio competente di concedere una nuova dilazione ».
7.3 Il tenore del citato comma 3 non lasciava adito a dubbi sull’imprescindibilità della fideiussione bancaria o assicurativa ai fini dell’autorizzazione al pagamento dilazionato dell’imposta sulle successioni, ferma restando la corresponsione anticipata di un importo non inferiore al 20% del l’imposta , delle sanzioni amministrative e degli interessi moratori entro il termine di sessanta giorni dalla notifica dell’avviso di liquidazione .
7.4 Nella specie, secondo la stessa prospettazione del ricorso per cassazione, in relazione al solo avviso di liquidazione n. 09/02009/000723/001 notificato il 15 febbraio 2010 per l’imposta sulle successioni in dipendenza della denuncia principale, dopo aver versato il 15 aprile 2010 la percentuale minima del 20% per l’importo di € 123.143,37 (sul totale di € 593.137,37) , prendendo atto dell’oggettiva impossibilità di ottenere una polizza fideiussoria per l’ammontare richiesto di € 647.662,00, la contribue nte aveva optato per il pagamento integrale del residuo dovuto nella misura di € 471.017,26, di cui € 470.000,00 a titolo di imposta ed € 1.071,26 a titolo di interessi legali dal 17 aprile 2010 al 5 luglio 2010. Tale pagamento era stato eseguito il 2 luglio 2010.
A fronte del mancato perfezionamento della dilazione di pagamento nel termine di legge , l’amministrazione finanziaria aveva irrogato alla contribuente la sanzione amministrativa di € 14.000,00, pari al 3% sulla somma tardivamente versata nella misura di € 470.000,00 , « in modo da perfezionare la situazione pendente mediante il ravvedimento operoso »; tale pagamento era stato eseguito l’1 luglio 2011; con nota
trasmessa il 3 aprile 2012, prot. n. 19259/2012, l’amministrazione finanziaria aveva comunicato l’iscrizione a ruolo della sanzione amministrativa per tardivo pagamento ai sensi dell’art. 13, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, nella misura del 3 0% dell’imposta liquidata per € 471.017,27, che era stata versata soltanto il 2 luglio 2010, e quindi oltre il termine del 16 aprile 2010 (cioè, i sessanta giorni dopo la notifica dell’avviso di liquidazione), nonché la preclusione del ravvedimento operoso a causa del pagamento della sanzione ridotta del 3% oltre la scadenza del termine stabilito dall’art. 13 , comma 3, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.
La successiva cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA era stata emessa da ‘ Equitalia Nord S.p.A. ‘ per il recupero della sanzione amministrativa nella misura di € 132.800,85 per il tardivo pagamento dell’imposta sulle successioni in ordine alla dichiarazione principale in forza dell’avviso di liquidazione n. 09/02009/000723/001.
7.5 Alla luce di tali risultanze, dopo aver escluso che la condotta dell’amministrazione finanziaria abbia potuto ingenerare nella contribuente un incolpevole affidamento circa l’esito favorevole del ravvedimento operoso (nell’accertata assenza di prove idonee a corroborare la presunta conclusione di ‘ accordi transattivi ‘ tra le parti praeter o contra legem sulle modalità e sui tempi dei pagamenti propedeutici), la sentenza impugnata ha correttamente apprezzato come « l’Ente dando atto dell’inesistenza dei presupposti per la sanatoria agevolata -ha legittimamente irrogato l’ordinaria sanzione moratoria pari al 30% dell’imposta dovuta (…), scomputando da tale maggiore importo quanto già versato a titolo di ravvedimento
operoso (donde la conformità a correttezza e buona fede del comportamento tenuto dall’appellante) ».
7.6 Il secondo mezzo stigmatizza la conferma del diniego della dilazione di pagamento per la mancata prestazione della garanzia fideiussoria, nonostante la riforma in corso di causa dell’art. 38 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, da parte de ll’art. 7 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 159 (in vigore dal 22 ottobre 2015), che sarebbe suscettibile di applicazione retroattiva in considerazione della sua natura di norma più favorevole al contribuente, tenendo anche conto dell’osservanza da parte della ricorrente delle mutate (e semplificate) condizioni per usufruire del beneficio (con specifico riguardo ai tempi ed alle entità dei versamenti effettuati).
7.7 Ora, il testo novellato della disposizione -a tenore del quale: « 1. Il contribuente può eseguire il pagamento nella misura non inferiore al venti per cento dell’imposta liquidata ai sensi dell’articolo 33, nel termine di sessanta giorni da quello in cui è stato notificato l’avviso di liquidazione, e per il rimanente importo in un numero di otto rate trimestrali, ovvero, per importi superiori a ventimila euro, in un numero massimo di dodici rate trimestrali. La dilazione non è ammessa per importi inferiori a mille euro. 2. Sugli importi dilazionati sono dovuti gli interessi, calcolati dal primo giorno successivo al pagamento del venti per cento dell’imposta liquidata ai sensi dell’articolo 33. Le rate trimestrali nelle quali il pagamento è dilazionato scadono l’ultimo giorno di ciascun trimestre. 3. Il mancato pagamento della somma pari al venti per cento dell’imposta liquidata, entro il termine di cui al comma 1, ovvero di una delle rate entro il termine di pagamento della rata successiva, comporta la decadenza dalla rateazione e l’importo dovuto, dedotto quanto versato, è iscritto a ruolo con
relative sanzioni e interessi. 4. É esclusa la decadenza in caso di lieve inadempimento dovuto a: a) insufficiente versamento della rata, per una frazione non superiore al tre per cento e, in ogni caso, a euro diecimila; b) tardivo versamento della somma pari al venti per cento, non superiore a sette giorni. 5. La disposizione di cui al comma 4 si applica anche con riguardo al versamento in unica soluzione. 6. Si applicano i commi 5 e 6 dell’articolo 15ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 » – ha eliminato la ‘ condizione ‘ (essenziale) della fideiussione bancaria o assicurativa per la concessione della dilazione di pagamento (secondo la circolare emanata dall’Agenzia delle Entrate il 29 aprile 2016, n. 17, in tema di ‘ Disciplina dei pagamenti dovuti a seguito dell’attività di controllo dell’Agenzia delle entrate Novità del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 159 ‘, par. 2: « L’accesso alla rateazione non è più subordinato alla prestazione di garanzie »), consentendo al contribuente che corrisponda almeno il 20% dell’imposta liquidata entro il termine di sessanta giorni dalla notifica dell’avviso di liquidazione di accedere alla rateizzazione del restante importo senza ulteriori oneri.
7.8 Ciò non di meno, tale riforma non può estendersi alle dilazioni di pagamento che siano state richieste nel vigore della precedente disciplina e rifiutate per carenza della garanzia fideiussoria, non potendo valere per le norme agevolative il principio del favor rei , da declinarsi nel senso specifico della retroattività delle disposizioni più favorevoli al contribuente nell’assolvimento dell’imposta dovuta .
7.9 C ome è noto, l’art. 3, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. « Statuto del contribuente »), ha sancito il principio
generale per cui « le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo ».
S econdo l’interpretazione giurisprudenziale, in tema di efficacia nel tempo delle norme tributarie, in base all’art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, il quale ha codificato nella materia fiscale il principio generale di irretroattività delle leggi stabilito dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, va esclusa l’applicazione retroattiva delle medesime, salvo che questa sia espressamente prevista; peraltro, le disposizioni del lo ‘ Statuto del contribuente ‘ costituiscono meri criteri guida per il giudice, in sede di applicazione e interpretazione delle norme tributarie, anche anteriormente vigenti, per risolvere eventuali dubbi ermeneutici, ma non hanno, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria (essendone, invero, ammessa la modifica o la deroga, purché espressa e non a opera di leggi speciali), con la conseguenza che una previsione legislativa che si ponga in contrasto con esse non è suscettibile di disapplicazione, né può essere per ciò solo oggetto di questione di legittimità costituzionale, non potendo le disposizioni dello Statuto fungere direttamente da norme parametro di costituzionalità (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 20 febbraio 2020, n. 4411; Cass., Sez. 5^, 24 novembre 2020, n. 26668; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, n. 10010; Cass., Sez. Trib., 11 giugno 2024, n. 16230); Cass., Sez. 5^, 11 luglio 2022, n. 21801; Cass., Sez. Trib., 23 gennaio 2024, n. 2288); è poi appena il caso di evidenziare che l’espressa previsione di retroattività sussiste quando sia espressamente disposta una decorrenza anteriore della norma, senza che sia necessario che tale disposizione sia anche qualificata come ‘ regola di eccezionale retroattività ‘ (Cass., Sez. 6^-5, 20 maggio 2011, n. 11141; Cass., Sez. 5^, 18 gennaio 2012, n. 636).
7.10 I n tale contesto, quindi, l’art. 3, comma 3, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, costituisce norma speciale ratione materiae rispetto alla norma generale dell’art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212.
7.11 É stato, altresì, precisato che tale principio è riferibile alle norme che impongono tributi, ma non anche alle norme che riconoscono agevolazioni fiscali (Cass., Sez. 5^, 11 aprile 2018, n. 8940).
7.12 Ciò posto, è convinzione del collegio che le disposizioni regolatrici delle modalità di pagamento (come quelle in materia di dilazione o rateizzazione) delle imposte dirette o indirette rientrano a pieno titolo nella tipologia delle ‘ norme tributarie ‘ e ricadono nella speciale previsione dell’art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212 , essendone preclusa l’applicazione alle imposte liquidate in relazione a fattispecie insorte in epoca antecedente alla loro entrata in vigore.
Peraltro, proprio in relazione al testo originario dell’art. 38 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, questa Corte ha affermato che il comma 2 in tema di interessi per il caso di dilazione del pagamento dell’imposta di successione, non si applica, ai sensi dell’art. 63 dello stesso decreto legislativo, per le successioni che si siano aperte anteriormente al l’ 1 gennaio 1991, anche se posteriore a detta data si riveli la concessione della dilazione in questione (Cass., Sez. 1^, 17 aprile 1999, n. 3840; Cass., Sez. 1^, 11 settembre 1999, n. 9685; Cass., Sez. 5^, Cass., Sez. 5^, 28 giugno 2000, nn. 8772, 8776, 8879 e 8783; Cass., Sez. 5^, 30 giugno 2000, 8823; Cass., Sez. 5^, 1 marzo 2022, n. 2987; Cass, Sez. 5^, 12 dicembre 2002, nn. 17763, 17764, 17770 e 17775; Cass., Sez. 5^, 3 marzo 2006, nn. 4752, 4753 e 4754; Cass., Sez. 5^, 25 settembre 2006, n. 20730).
Tale principiò è stato enunciato sul rilievo del globale assoggettamento alla legge previgente dei rapporti tributari discendenti da fatto generatore anteriore a quella data, indipendentemente dalla loro pendenza alla data stessa; l’ inapplicabilità della nuova normativa, con conseguente ultrattività di quella anteriore, è, infatti, prevista in ragione soltanto del precedente verificarsi della morte del de cuius o della stipulazione della donazione, e con riferimento al ‘ testo unico ‘ , cioè a tutte le regole in esso inserite, a prescindere dal loro contenuto.
Ne consegue, alla luce di tale ratio , che l’art. 38 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo novellato dal l’art. 7 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 159, è applicabile alle sole dilazioni di pagamento dell’imposta liquidata per le successioni aperte e le donazioni stipulate in epoca successiva alla sua entrata in vigore (cioè, con decorrenza dal 22 ottobre 2015), non potendo valere anche per il passato.
Il quarto motivo del ricorso principale è fondato.
8.1 L a ricorrente invoca l’applicazione del principio del favor rei in relazione alla sopravvenienza normativa di un trattamento sanzionatorio più favorevole (riduzione alla metà della sanzione corrispondente al 30% dell’imposta non versata ) per la fattispecie del ritardo nel pagamento dell’imposta in misura non superiore a novanta giorni, potendone astrattamente beneficiare in considerazione del versamento integrale dell’imposta sulle successioni il 2 luglio 2010, a fronte della scadenza fisiologica per il pagamento il 16 aprile 2010 ( dies a quo per il computo del ritardo).
8.2 Invero, i commi 1 e 3 del l’art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, sono stati riformulati dall’art. 15, comma 1, lett. a), del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, nel modo che segue:
« 1. Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a novanta giorni, la sanzione di cui al primo periodo è ridotta alla metà. Salva l’applicazione dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al secondo periodo è ulteriormente ridotta a un importo pari a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo. (…) 3. Fuori dei casi di tributi iscritti a ruolo, la sanzione prevista al comma 1 si applica altresì in ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto ».
8.3 Peraltro, è pacifico che, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, il principio del favor rei introdotto dall’art. 3 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, è, secondo il successivo art. 25, comma 2, applicabile alle violazioni commesse anteriormente al l’ 1 aprile 1998 (data di entrata in vigore del citato d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472), anche d’ufficio ed in ogni stato e grado di giudizio, a condizione che vi sia un procedimento ancora in corso e che il provvedimento impugnato non sia definitivo (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 22 luglio 2009, n. 17069; Cass., Sez. 5^, 4 dicembre 2012, n. 23035; Cass., Sez. 5^, 24 luglio 2013, n.
17972; Cass., Sez. 5^, 20 gennaio 2016, n. 932; Cass., Sez. 5^, 22 dicembre 2016, n. 26875; Cass., Sez. 5^, 4 aprile 2019, n. 9447); aggiungasi che, in pendenza del presente giudizio, l’applicabilità del trattamento più favorevole di cui al d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 (norma sopravvenuta alla pronuncia in esame), è consentita dall’art. 32, comma 1, del citato decreto, come modificato dall’art. 1, comma 133, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Cass., Sez. 6^-5, 27 giugno 2017, n. 15978; Cass., Sez. 5^, 24 gennaio 2018, n. 1706; Cass., Sez. 5^, 11 novembre 2020, nn. 25353, 25354, 25355, 25356 e 25357; Cass., Sez. 5^, 30 marzo 2021, n. 8716; Cass., Sez. 5^, 14 aprile 2021, n. 9720; Cass., Sez. 5^, 16 febbraio 2022, n. 5015; Cass., Sez. Trib., 31 agosto 2023, n. 25524; Cass., Sez. Trib., 27 settembre 2024, n. 25809).
8.4 Pertanto, in accoglimento dell’istanza proposta col ricorso per cassazione (stante la reformatio in melius della citata disposizione in corso di causa), facendo applicazione dell’art. 3, comma 3, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, a tenore del quale: « Se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo »; e tenendo conto che la sanzione amministrativa era stata comminata con l’impugnata cartella di pagamento, per cui la relativa irrogazione non era definitiva, si ritiene la sussistenza delle condizioni astratte per poter riconoscere alla contribuente il diritto alla riduzione pari al la metà dell’importo dovuto a tale titolo.
In conclusione, alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi la fondatezza del quarto motivo e l’infondatezza dei restanti motivi del ricorso principale, nonché l’infondatezza
dell’unico motivo del ricorso incidentale, il ricorso principale può essere accolto entro tali limiti, mentre il ricorso incidentale deve essere rigettato; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia (ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a ), della legge 31 agosto 2022, n. 130), in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo e rigetta i restanti motivi del ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 17 dicembre