Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14972 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 14972 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME SALVATORE
Data pubblicazione: 28/05/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 24246 del ruolo generale dell’anno 2016, proposto
da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del suo legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore p.t., rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, è domiciliata
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, n. 724/2016, depositata il 23.3.2016.
Udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME.
Udito, inoltre, il AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del terzo motivo di ricorso.
Udito l’AVV_NOTAIO per la ricorrente, che ha concluso come in atti.
Udita l’Avvocatura dello RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’AVV_NOTAIO.
Oggetto: Ripresa fiscale -Illecito tributario -Jus superveniens -Regime sanzionatorio più favorevole al reo -Regime RAGIONE_SOCIALE preclusioni ex art. 24 D.lgs. n. 546 del 1992 -Applicabilità Esclusione -Applicabilità d’ufficio del trattamento sanzionatorio più favorevole -Sussistenza. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Fatti di causa
In esito a verifica fiscale, veniva contestata alla contribuente l’indeducibilità ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi dei canoni di affitto di ramo d’azienda corrisposti alla società RAGIONE_SOCIALE, assumendosi la natura elusiva del contratto, in quanto privo di una valida ragione economica e rispondente alla finalità esclusiva del vantaggio fiscale. Si valorizzavano, nella prospettiva erariale, la riconducibilità dei due enti alle stesse persone fisiche legate da vincoli parentali e la circostanza del versamento parziale o ritardato dei canoni d’affitto nel segmento temporale considerato.
La CTP di Foggia rigettava il ricorso della contribuente; non miglior sorte aveva il successivo appello di essa, del pari respinto.
La contribuente propone ricorso per Cassazione articolato su tre censure.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
La contribuente ha illustrato il ricorso con successiva memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso si assume sensi dell’art. 360, n. 3, c.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in combinato disposto con l’art. 10bis Statuto del contribuente e dell’art. 37bis d.P.R. n. 600 del 1973, alla luce del principio generale del divieto dell’abuso del diritto, per avere la CTR gravato la contribuente dell’onere di provare le valide ragioni economiche prima ed a prescindere dall’aver verificato l’assolvimento da parte dell’Ufficio dell’onere, per un verso, di provare l’assenza di sostanza
economica dell’operazione e l’aggiramento di norme ed il conseguimento di vantaggi fiscali, per altro verso, di individuare quella che avrebbe dovuto essere l’operazione fisiologica rispondente a logiche di mercato, alternativa a quella asseritamente elusiva.
Il motivo è infondato e va disatteso.
Nella specie, la CTR della Puglia ha accertato l” assenza di valide ragioni economiche’ , l” aggiramento di obblighi e divieti previsti dall’ordinamento’ nonché, infine, il ‘ conseguimento di un risparmio fiscale altrimenti indebito’. A fronte di tale accertamento, il giudice d’appello assume la mancanza di ‘ argomentazioni ‘ della contribuente utili a colmare la contestata assenza di ragioni economiche idonee a giustificare la ‘ stipula del contratto di affitto oggetto di contestazione ‘. Piuttosto, soggiunge il collegio regionale, le ‘ modalità di pagamento dei canoni’ difformi rispetto alle previsioni contrattuali e l’emissione di fatture senza l’applicazione dell’IVA deponevano, in uno con gli ‘ stretti vincoli di parentela che legavano i vari componenti RAGIONE_SOCIALE due compagini sociali ‘, per la connotazione elusiva della complessiva operazione.
Avuto riguardo a questo quadro accertativo e motivazionale, non coglie nel segno la pretesa della contribuente di riversare sull’Ufficio un composito onere probatorio, inclusivo della dimostrazione di ‘ assenza di sostanza economica ‘ dell’operazione contrattuale e della mancanza di ‘ valide ragioni economiche ‘, nonché del diverso ‘ comportamento fisiologico e non abusivo da adottare ‘. Infatti, la CTR della Puglia si è posta nel condivisibile solco ermeneutico della giurisprudenza nomofilattica a tenore del quale ‘ In tema di accertamento dei redditi, al fine di escludere il contestato carattere elusivo di un’operazione, il
contribuente deve dimostrare che la stessa è giustificata da «valide ragioni economiche», aventi carattere non meramente marginale o teorico, sebbene dette ragioni non debbano assumere una rilevanza predominante per il compimento dell’operazione né dovendosi, per altro verso, provare che l’obiettivo non sarebbe stato altrimenti perseguibile, ma soltanto che la strada prescelta è più conveniente rispetto ad altre soluzioni ‘ (Cass. n. 2240 del 2018). Infatti, ‘ In tema di imposte sul reddito di impresa, non hanno efficacia nei confronti della amministrazione finanziaria quegli atti posti in essere dal contribuente che costituiscano “abuso del diritto”, cioè che si traducano in operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale; ed incombe sul contribuente la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di carattere non meramente marginale o teorico che siano idonee ad escludere l’abusività ‘ (Cass. n. 10257 del 2008). Occorre, inoltre, che le dimostrande ragioni economiche e/o commerciali siano ‘ valide ‘, ossia di carattere ‘ non meramente marginale o teorico ‘ perché in tal caso risulterebbero ‘ inidonee a fornire una spiegazione alternativa dell’operazione rispetto al mero risparmio fiscale, e tali quindi da potersi considerare manifestamente inattendibili o assolutamente irrilevanti rispetto alla predetta finalità ‘ (v. Cass. n. 21221 del 2006; Cass. n. 10257 del 2008).
In definitiva, la contribuente ambisce a gravare l’erario di una dimostrazione di ragioni economiche a sostegno dell’operazione negoziale d’affitto oggetto di controversia che avrebbe dovuto curarsi essa di fornire, ricadendo l’enucleazione di tali ragioni nel perimetro del suo onus probandi.
Con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, ult. comma, Statuto del contribuente, del principio generale del contraddittorio endoprocedimentale correlato agli artt. 97, comma 1, e 24, comma 2, Costituzione, dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché dell’art. 37bis , comma 5, d.P.R. n. 600 del 1973, avuto riguardo all’art. 360 n. 3 c.c., per avere la CTR trascurato di annullare l’avviso di accertamento ancorché l’Ufficio avesse omesso di valutare in modo compiuto, effettivo e non formale le memorie prodotte dalla contribuente in sede procedimentale.
Il motivo è infondato.
La CTR ha accertato l’avvenuta considerazione RAGIONE_SOCIALE osservazioni della contribuente da parte dell’Ufficio in sede procedimentale e la loro inidoneità a dar conto della sussistenza di valide ragioni economiche.
A fronte di tale circostanza, non è condivisibile la pretesa della contribuente di una motivazione ad hoc su ciascuno dei profili veicolati a suo tempo attraverso dette osservazioni, profili tra l’altro neppure evocati e riportati in ricorso.
Invero, come chiarito da questa Corte con orientamento suscettibile di conferma ‘ In tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente ex art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo ‘ (Cass. n. 8378 del 2017; Cass. n. 3583 del 2016).
In ultima analisi, l’ambizione della contribuente di ottenere una motivazione più diffusa e minuziosa di reiezione RAGIONE_SOCIALE osservazioni dedotte cozza con la prerogativa dell’Ufficio finanche di disattenderle o respingerle implicitamente.
Con il terzo motivo di ricorso si censura la violazione degli artt. 1, comma 2, D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 471, nel testo modificato dall’art. 15 D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, nonché dell’art. 3 D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., dovendosi fare applicazione della disciplina sanzionatoria più favorevole introdotta, quale jus superveniens , dal D.Lgs. n. 158 del 2015, in linea con il principio del favor rei di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 472 del 1997.
Il motivo è fondato.
La società ricorrente ha dedotto la sopravvenuta illegittimità parziale RAGIONE_SOCIALE sanzioni irrogate con l’avviso in questione, a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. 24 settembre 2015 n.158, che ha sostituito le disposizioni del D.Lgs.18 dicembre 1997 n.471, contenute nel comma 2 in materia di sanzioni per infedele dichiarazione IRPEF ed IRAP, nell’art. 5, comma 4, in materia di sanzioni per infedele dichiarazione IVA, nonché nell’art. 6, comma 1, in materia di sanzioni per violazione degli obblighi di documentazione e registrazione RAGIONE_SOCIALE operazioni soggette all’IVA, prevedendo in ciascuno dei predetti casi la determinazione del minimo edittale della sanzione nella misura del 90% della maggiore imposta dovuta, in luogo del previgente minimo pari al 100%.
Il rilievo coglie nel segno. Infatti, come chiarito condivisibilmente da questa Corte, in virtù del principio del trattamento sanzionatorio più favorevole al contribuente,
stabilito dall’art. 3, comma 3, del D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, la sopravvenuta revisione del sistema sanzionatorio tributario introdotta dal D.Lgs. n.158 del 2015, vigente dal 1° gennaio 2016 a norma dell’art. 32 del D.Lgs n. 158 del 2015, come modificato dall’art. 1, comma 133, della L. 28 dicembre 2015 n.208, è applicabile retroattivamente alla condizione, ricorrente nel caso in esame, che il processo sia ancora in corso con la conseguente non definitività della parte sanzionatoria del provvedimento impugnato (Cass. n. 1706 del 2018; Cass. n. 15978 del 2017; Cass. n. 8716 del 2021).
La novellazione apportata dal ridetto D.Lgs. n. 158 del 2015 è, nel caso che occupa, temporalmente successiva alla proposizione dell’appello, il che postula che, nella specie, la parte impugnante non abbia potuto invocare l’applicazione del regime sanzionatorio più favorevole per il tramite del gravame di merito, avendo, piuttosto, dovuto procedervi col veicolo del ricorso per cassazione. In effetti, la sentenza della CTR della Puglia n. 724/2016 è stata depositata il 23 marzo 2016, sicché lo jus superveniens più favorevole sul piano sanzionatorio è venuto in essere, nella sua vigenza, in costanza di giudizio di appello.
Questa Corte ha, d’altronde, già puntualizzato che ‘ La modifica dell’art. 7, comma 4 bis, del d.lgs. n. 471 del 1997 ad opera dell’art. 20 del d.lgs. n. 175 del 2014, poi ulteriormente novellato con riguardo al regime sanzionatorio dall’art. 15 del d.lgs. n. 158 del 2015, non ha comportato una “abolitio” attesa la persistente illiceità del fatto e, quanto alla condotta del cedente/prestatore, la continuità strutturale tra l’originaria previsione e le modifiche sopravvenute che hanno riguardato un mutamento di ordine solo quantitativo degli adempimenti richiesti; tuttavia, mentre va esclusa
l’applicazione retroattiva della disciplina introdotta dalla prima novella in forza dell’esplicita norma transitoria contenuta nell’ultimo comma dell’art. 20 del d.lgs. n. 175 del 2014, è applicabile, per il principio del “favor rei” e in assenza di norme derogatorie dei principi generali di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 472 del 1997, il regime sanzionatorio più lieve introdotto con l’art. 15 del d.lgs. n. 158 del 2015 ‘ (Cass. n. 23695 del 2022).
L’art. 3 del D.Lgs. n. 472 del 1997, quale norma ‘di sistema’, ha ancorato l’ambito sanzionatorio tributario al generale principio di legalità e ai suoi corollari. Prevede, infatti, testualmente il secondo comma della disposizione in parola: ‘ Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato ‘. Il principio di irretroattività RAGIONE_SOCIALE leggi è un corollario del principio di legalità che, già posto dall’art. 2 disp. prel. al codice civile, è riaffermato anche con riferimento alle sanzioni tributarie. Il principio d’irretroattività, in particolare, comporta che: 1) le sanzioni tributarie devono essere previste da una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione; 2) salvo diversa previsione di legge, non può essere applicata una sanzione per un fatto che, successivamente all’entrata in vigore di una nuova legge, non costituisca più una violazione punibile; 3) se sussiste un contrasto tra la legge precedente e successiva circa il quantum della sanzione per il fatto commesso, si applica la legge più favorevole al contribuente, salvo che il provvedimento di irrogazione sia ormai divenuto definitivo. La definitività del provvedimento -non
riscontrabile nel caso di specie, a fronte di un rapporto tributario sub judice -rappresenta lo spartiacque finale di applicabilità del regime sanzionatorio più favorevole. In effetti, le riassunte regole vengono in apice per le norme sostanziali tese a delineare il corredo sanzionatorio di un determinato illecito. Ne deriva, in definitiva, che, in virtù del principio di retroattività, il miglior trattamento sanzionatorio introdotto dalla legge costituisce un evento idoneo a intercettare l’illecito non ancora definitivo correlato ad un rapporto tributario afferente, come nella specie, un giudizio ancora in corso.
Il successivo terzo comma dell’art. 3 del citato d.lgs. n. 472 del 1997 non a caso prevede l’estensione al sistema sanzionatorio tributario del principio penalistico del favor rei , disponendo che ‘ Se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo ‘.
L’applicazione del regime sanzionatorio vigente in relazione agli illeciti fiscali rappresenta un precipuo ed esclusivo obbligo del giudice, che in quanto sottoposto alla legge, è tenuto all’applicazione d’ufficio del trattamento dalla stessa previsto per la condotta o l’omissione oggetto di contestazione, indipendentemente da una specifica richiesta di parte. Detta richiesta s’atteggia, sul piano della nozione, a cd. ‘mera difesa’, risolvendosi in una sollecitazione rivolta al giudice ad esercitare un potere-dovere di cui egli è già titolare a pronunciare nel merito della ‘misura’, ossia del quantum di sanzionabilità dell’illecito connesso al rapporto tributario controverso; nel limitarsi a contestare i presupposti per l’applicazione di un trattamento punitivo in
luogo di un altro, la contribuente non viene, infatti, ad allegare alcun fatto ulteriore rispetto a quelli a monte già propri del giudizio.
Il terzo motivo di ricorso va, in definitiva, accolto, rigettati i primi due motivi.
Ne discende la cassazione della sentenza d’appello e il rinvio della causa alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Puglia per un nuovo esame in relazione alle sanzioni applicabili e per la regolazione RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta i primi due motivi del ricorso, accoglie il terzo motivo del ricorso stesso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Puglia per un nuovo esame in relazione ai profili di cui in motivazione e per la regolazione RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma il 14 febbraio 2024.