Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32740 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32740 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17510/2018 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA- NAPOLI n. 1443/2018, depositata il 15/02/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il contribuente NOME COGNOME svolge attività di paramedico fisioterapista nella Riviera campana. Sull’anno di imposta 2011 era attinto da avviso di accertamento con ripresa a tassazione in seguito ad indagini bancarie -nei confronti suoi e della moglie- che mostravano maggior capacità contributiva e reddito occulto.
I gradi di merito erano sfavorevoli alla parte contribuente, che ricorre affidandosi a quattro mezzi di impugnazione, cui replica l’Agenzia delle entrate con tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
Vengono proposti quattro mezzi di impugnazione.
Con il primo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n.3 del codice di procedura civile, per violazione dell’articolo 32, primo comma, numero 2, del DPR numero 600 del 1973.
Nella sostanza, si lamenta che la sentenza in scrutinio non sia più coerente con l’impianto normativo come rivisto all’esito della sentenza della Consulta numero 228 del 2014 che ha ritenuto irrilevanti a fini probatori i prelevamenti sui conti correnti operati dai professionisti o lavoratori autonomi, mantenendo invece la rilevanza di versamenti e prelevamenti per gli accertamenti sugli imprenditori. Con il secondo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 4 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 132 dello stesso codice di rito e dell’articolo 36 del decreto legislativo numero 546 del 1992.
Nella sostanza, si lamenta assenza di motivazione o motivazione contraddittoria per non avere spiegato la sentenza di appello le ragioni per cui ha ritenuto non idonei gli elementi giustificativi addotti dal contribuente.
Con il terzo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile per violazione
dell’articolo 32 del DPR numero 600 del 1973 in connessione con gli articoli 2727, 2729 e 2607 del codice civile.
Nella sostanza, si lamenta che non è stata apprezzata la prova contraria offerta dal contribuente alla presunzione legale di maggior reddito occulto connessa ai versamenti bancari, in violazione alle regole sulla presunzione, previste dal codice civile.
Con il quarto ed ultimo motivo si invoca l’applicazione retroattiva del decreto legislativo numero 158 del 2015 anche ai fatti antecedenti al 1° gennaio 2016, quali sono quelli in esame, cui viene chiesto sia applicato il favor rei nella determinazione delle sanzioni.
Il primo motivo non può essere accolto poiché non intercetta la ratio decidendi della sentenza ed è quindi inammissibile.
Non vi è dubbio che il contribuente debba qualificarsi come lavoratore autonomo, così come non vi è dubbio che la sentenza in scrutinio argomenti con riferimento ai soli versamenti sui conti correnti bancari propri e della consorte, senza fare riferimento ai prelevamenti, così come risulta dalla motivazione della sentenza in scrutinio, nella sua interezza e negli stralci riportati a pagina 7, 8 e 9 del ricorso per Cassazione. Nondimeno, a pagina 10 del ricorso in esame, il patrono della parte contribuente ritiene che, dopo la pronuncia della Corte costituzionale, tanto i versamenti quanto i prelevamenti non costituiscono più presunzione legale di imponibilità nei confronti dei lavoratori autonomi.
Così non è, donde correttamente la sentenza di scrutinio richiama precedenti di questa Suprema Corte di legittimità successivi al 2016, ove si distingue chiaramente tra prelevamenti e versamenti, questi ultimi costituendo la presunzione di maggior capacità contributiva, su cui argomenta la sentenza in scrutinio, come già detto appunto Il primo motivo è dunque inammissibile.
Il secondo e terzo motivo possono essere trattati congiuntamente, vertendo sui medesimi argomenti relativi alla presunzione di maggior reddito ed alla relativa prova contraria, il secondo lamentando
l’insufficienza di motivazione ed il terzo lamentando che non siano state apprezzate le giustificazioni offerte dal contribuente per superare la presunzione.
Per un verso il motivo sollecita una rivisitazione del merito, sotto la forma di una violazione di legge; per un altro, invece, contesta la valutazione del giudice di merito, sotto la specie dell’insufficiente motivazione. Si tratta di doglianze che esulano dal perimetro di cognizione di questa Suprema Corte di legittimità.
Deve premettersi che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI- 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr. Cass V, n. 24313/2018). Sotto altro profilo è stato ribadito essere inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr.
Cass. S.U. n. 34476/2019)
È appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610). Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357).
Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis
il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez.Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
Il secondo e terzo motivo non possono essere accolti.
Con il quarto motivo si richiede l’applicazione retroattiva della disciplina più mite nel calcolo delle sanzioni, applicandola anche ai fatti commessi in data antecedente al 1° gennaio 2016, momento di entrata in vigore della novella di cui al decreto legislativo numero 158 del 2015.
Il motivo è fondato e merita accoglimento.
In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, infatti, la sopravvenuta revisione del sistema sanzionatorio tributario, introdotta dal d.lgs. n. 158 del 2015 e vigente dal 1° gennaio 2016 a norma dell’art. 32 del medesimo d.lgs., è applicabile retroattivamente in forza del principio del “favor rei”, a condizione che il processo sia ancora in corso e che perciò non sia ancora definitiva la parte sanzionatoria del provvedimento impugnato (cfr., tra le altre, Cass.30 marzo 2021 n.8716).
In conclusione, il ricorso è fondato unicamente per le ragioni attinte dal quarto motivo, la sentenza dev’essere cassata con rinvio al giudice di merito perché valuti l’applicazione del ricalcolo delle sanzioni alla luce della disciplina favorevole, applicabile anche retroattivamente.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per la Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 13/11/2024.