Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2942 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2942 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2025
Oggetto: accertamento – motivazione sentenza
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9326/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME (PEC: avvEMAILcnfEMAIL), dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL) e dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL)
-ricorrente – contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell ‘Emilia -Romagna n. 2013/13/2015 depositata in data 14/10/2015, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 19/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
-la società RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Amministrazione finanziaria richiedeva maggiore Ires, Iva e Irap oltre a interessi e sanzioni rideterminando il reddito dell’esercizio 2006; ciò discendeva dall’accertamento di maggiori ricavi derivanti dalla vendita di più unità immobiliari ricomprese in un unico complesso residenziale;
il giudice di primo grado accoglieva parzialmente il ricorso;
-proponeva appello l’Agenzia delle entrate; proponeva appello incidentale la società contribuente;
con la pronuncia gravata di fronte a questa Corte la CTR ha accolto l’impugnazione proposta dall’Ufficio e ha dichiarato la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato;
ricorre a questa Corte la RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a otto motivi di doglianza;
l’Amministrazione Finanziaria resiste con controricorso;
Considerato che:
il primo motivo di gravame denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 329 c. 2 c.p.c. e dell’art. 49 del d. Lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360 c.1 n. 3 c.p.c. e all’art. 62 del d. Lgs. n. 546 del 1992 per avere il giudice dell’appello erroneamente ritenuto che sullo specifico punto della sentenza di primo grado relativo alla riduzione del valore accertato dall’ufficio per l’appartamento venduto a Nocera Tommaso, non si sia formato il giudicato interno;
il motivo è infondato;
-come si evince dalla lettura dell’atto di appello dell’Ufficio, specialmente alle pagg. n. 7 e n. 10 dell’atto, l’Agenzia delle Entrate ha riproposto la questione relativa alla determinazione del maggior reddito sottratto a imposizione anche con riguardo alla compravendita realizzata tra la società contribuente e il sig. COGNOME chiedendo in ogni caso -in quella sede di impugnazione – il riconoscimento della ‘intera pretesa’
portata dall’avviso di accertamento; nessun giudicato quindi si è formato sul punto;
-il secondo motivo di ricorso censura la pronuncia impugnata denunciandone la nullità ex art. 132 c. 2 n. 4 c.p.c. e 36 del d. Lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. e all’art. 62 del d. Lgs. n. 546 del 1992 per avere la CTR motivato la propria decisione in modo meramente apparente poiché pur ritenendo assolto l’onere della prova da parte dell’ufficio ha completamente omesso di indicare quali siano gli elementi probatori atti a dimostrare le circostanze di fatto poste alla base delle presunzioni riguardanti la prova del prezzo effettivamente pagato diverso da quello indicato negli atti di acquisto;
-il terzo motivo di ricorso censura la pronuncia impugnata denunciandone ancora la nullità ex art. 132 c. 1 n. 4 c.p.c. e ex art. 36 del d. Lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. e all’art. 62 del d. Lgs. n. 546 del 1992; secondo parte ricorrente la CTR ha completamente omesso di indicare degli elementi probatori che dimostrerebbero le circostanze di fatto poste alla base della presunzione relativa all’esistenza di un prezzo effettivamente pagato diverso da quello indicato negli atti di acquisto con riferimento specifico alle compravendite poste in essere tra la contribuente società e i signori
COGNOME e COGNOME;
i motivi possono esaminarsi congiuntamente tra di loro e con il sesto motivo di ricorso che denuncia ancora la nullità della sentenza impugnata sotto i profili della motivazione viziata da vizi giuridici ovvero del contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ovvero ancora della motivazione obiettivamente incomprensibile (in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. e all’art. 62 del d. Lgs. n. 546 del 1992);
sostiene la parte ricorrente che da un lato il giudice di appello ritiene le circostanze di fatto poste a base del decidere costituenti presunzioni che insieme alle altre forniscono all’impianto accusatorio munite dei necessari requisiti di gravità precisione e concordanza; dall’altro proprio quando si tratta di valutare le difese della contribuente etichetta le medesime circostanze come irrilevanti;
i ridetti motivi, costituenti censure motivazionali, sono tutti e tre privi di fondamento;
la mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132, n. 4, c.p.c., (e nel caso di specie dell’art. 36, comma 2, n. 4, d. Lgs. n. 546 del 1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. si configura invero quando questa manchi del tutto -nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, risultante dallo svolgimento del processo, segue l’enunciazione della decisione, senza alcuna argomentazione -ovvero nel caso in cui essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, vale a dire di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. Sez. Un. 07/04/2014, n. 8053; successivamente, tra le tante, Cass.01/03/2022, n. 6626; Cass. 25/09/2018, n. 22598);
nel presente caso, invece, la motivazione è idonea a rendere percepibili le ragioni che hanno condotto il giudice del merito a decisione; né essa presenta contraddizioni logiche o giuridiche tali da impedire di comprendere le ragioni in argomento; tale motivazione si pone quindi al di sopra del c.d. ‘minimo costituzionale’;
-il quarto motivo di ricorso si duole della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. e all’art. 62 del d. Lgs. n. 546 del 1992 per avere la sentenza di secondo grado erroneamente applicato i principi in materia di onere della prova e per avere posto a fondamento della sua decisione elementi non provati dall’Ufficio;
il motivo è inammissibile;
la censura infatti si incentra sulla mancata dimostrazione documentale della discrepanza dei prezzi di vendita, sulla mancata produzione di documenti relativi alle indagini finanziarie, sul mancato accertamento dei destinatari dei prelievi operati dagli acquirenti i beni oggetto di compravendita, sulle modalità del controllo operato ‘a campione’ su determinate operazioni di compravendita; così operando, nel concreto
parte ricorrente sollecita questa Corte a un riesame del merito della vicenda, operazione non consentita in questa sede di Legittimità;
il quinto motivo di ricorso si incentra sulla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 c. 1 lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54 c. 2 del d.P.R. n. 633 del 1972 oltre che dell’art. 2729 c.c. (in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. e all’art. 62 del d. Lgs. n. 546 del 1992) per avere erroneamente la sentenza di merito ritenuto che siano stati soddisfatti i requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti affinché le presunzioni semplici potessero assurgere a strumenti di prova del maggior reddito accertato;
il motivo è infondato;
in realtà gli elementi posti dall’Ufficio a base dell’accertamento sono stati correttamente valutati nella loro portata da parte della CTR; sussistono infatti una serie di elementi di riscontro probatorio, tutti volti ad evidenziare una disomogeneità tra i prezzi dichiarati negli atti di cessione ed il valore effettivo dei beni (Cass. n. 16951/2019)
è quindi stata adeguatamente provata la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (Cass. n. 23379 del 2019; n. 9474 del 2017; Cass. n. 26487 del 2016; n. 24054 del 2014; Cass. n. 11439 del 2018; n. 2155 del 2019; Cass. n.10731 del 2020) atti a far ritenere provata la pretesa dell’Ufficio , salva la prova del contrario in capo al contribuente che la CTR ha ritenuto non esser stata fornita;
il settimo motivo, formulato in estremo subordine, si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 c. 1 e c. 2 del d. Lgs. n. 472 del 1997, nonché dell’art. 1 c. 2 e dell’art. 5 c. 4 del d. Lgs. n. 471 così come modificati dall’art. 15 del d. Lgs. n. 158 del 2015, nonché dell’art. 3 c. 3 del d. Lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. e all’art. 62 del d. Lgs. n. 546 del 1992;
il motivo è infondato;
invero, con riguardo alla pluralità delle violazioni, che ha indotto l’Ufficio a elevare la misura della sanzione, la considerazione proposta nel motivo secondo la quale le sanzioni qui irrogate riguardano violazioni
di obblighi dichiarativi annuali che per definizione non possono essere plurimi non coglie nel segno;
come è noto, (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 4927 del 20/02/2019) in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, l’art. 7, comma 1, del d. Lgs. n. 472 del 1997 va interpretato nel senso che, per la determinazione della sanzione, deve farsi riferimento ai parametri normativi della gravità della violazione, dell’opera successivamente svolta dall’agente per eliminare o attenuarne le conseguenze, della personalità dello stesso (da desumersi, ai sensi del comma 2 del detto art. 7, anche dai suoi precedenti in ambito fiscale) e, infine, delle sue condizioni economico-sociali, sicché la gravità della violazione può essere desunta anche dalla gravità della condotta dell’agente;
recentemente il Giudice delle Leggi (Corte Cost. n. 46 del 2023) nel rimandare, quanto alle sanzioni tributarie, all’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 7 del d. Lgs. n. 472 del 1997 alla luce dell’art. 3 Cost., fa riferimento puntuale proprio alla giurisprudenza di questa Corte;
essa in più occasioni ha precisato, da un lato, che «il principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito» è «applicabile anche alla generalità delle sanzioni amministrative» ( ex plurimis , sentenza n. 112 del 2019) e, dall’altro, che anche per le sanzioni amministrative si prospetta «l’esigenza che non venga manifestamente meno un rapporto di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illecito sanzionato», in particolare dando rilievo «al disvalore concreto di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma» (sentenza n. 185 del 2021). Ciò in quanto «il principio di proporzionalità postula l’adeguatezza della sanzione al caso concreto e tale adeguatezza non può essere raggiunta se non attraverso la concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella commissione dell’illecito» (sentenza n. 161 del 2018);
e ancora, sempre secondo la Consulta, la valorizzazione in questi termini del menzionato art. 7 può anche permettere una più efficace
risposta, quando ne ricorrano le condizioni, a quelle esigenze di conformità del sistema sanzionatorio nazionale ai criteri indicati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in tema di proporzionalità delle sanzioni tributarie relative ai tributi armonizzati (Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 26 aprile 2017, in causa C – 564/15, COGNOME; 26 novembre 2015, in causa C – 487/14, RAGIONE_SOCIALE; 16 luglio 2015, in causa C – 255/14, COGNOME; 17 luglio 2014, in causa C – 272/13, Equoland; 18 dicembre 1997, nelle cause riunite C -286/94, C -340/95, C -401/95 e C -47/96,Molenheidee altri);
venendo al caso che ci occupa, la misura della sanzione concretamente qui applicata risulta del tutto rispettosa dei principi invocati, come intesi e applicati dalla giurisprudenza soprarichiamata: la sentenza impugnata ha preso in esame l’insieme infatti la condotta fraudolenta posta in essere dalla contribuente, che ha ritenuto connotata da una serie di violazioni, delle quali ha rilevato la ‘pluralità, sistematicità e rilevanza’ (evidentemente trattandosi di plurime compravendite nei confronti di più clienti): tale elemento risulta idoneo e non irragionevole ai fini di consentire la irrogazione delle stesse in misura elevata prossima ai massimi edittali;
né di fronte a questa Corte può porsi il profilo relativo alla concreta dosimetria della sanzione, dal momento che la quantificazione della stessa -nel rispetto dei canoni di legge che risultano non esser stati violati -rientra nel potere di discrezionalità tecnica dell’Ufficio ove non debordi (il che qui non è contestato, né si evince dalla sentenza impugnata) in arbitrio;
invero, ove la norma indichi un minimo e un massimo della sanzione, spetta infatti in ultimo al potere discrezionale del giudice determinarne l’entità entro questa forbice, allo scopo di commisurarla alla gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, di modo che la Corte di cassazione non può censurare la statuizione adottata ove tali limiti siano stati rispettati (Cass. 17 aprile
2013, n. 9255; 8 febbraio 2016, n. 2406, richiamate da Cass. 9 novembre 2022, n. 33097);
-l’ottavo motivo, formulato in estremo subordine, denuncia ancora la violazione dell’art. 1 c. 2 e dell’art. 5 c. 4 del d. Lgs. n. 471 del 1997 così come modificato dall’art. 15 del d. Lgs. n. 158 del 2015 nonché dall’art. 3 c. 3 del d. Lgs. 472 del 1997 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. e dall’art. 62 del d. Lgs. n. 546 del 1992; in esso parte ricorrente chiede l’applicazione dello ius superveniens in forza della diversa determinazione nel massimo delle sanzioni operata dal d. Lgs. n. 158 del 2015;
il motivo è fondato;
va premesso che in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, l’art. 3 del d. Lgs. n. 472 del 1997 ha esteso il principio del favor rei anche al settore tributario, sancendone l’applicazione retroattiva; le più favorevoli norme sanzionatorie sopravvenute debbono quindi essere applicate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio e quindi anche in sede di legittimità, all’unica condizione che il provvedimento sanzionatorio non sia divenuto definitivo. Ciò comporta che, pur non essendo stata nel ricorso per cassazione specificamente contestata la debenza delle sanzioni, peraltro, essendo nel caso in esame in contestazione la sussistenza della violazione tributaria, sussista ancora controversia anche sulla debenza delle collegate e consequenziali sanzioni con conseguente applicazione del più favorevole regime sanzionatorio sopravvenuto (v, per tutte, Cass. n. 23564/2012, n. 8243/2008, n. 18775/2006);
con specifico riguardo al principio del favor rei , trova applicazione il trattamento più favorevole di cui al d. Lgs. n. 158 del 2015, la cui utilizzabilità quale ius superveniens è assicurata in pendenza di giudizio dall’art. 32, comma 1, (come modificato dall’art.1, comma 133, della I. n. 208 del 2015), a condizione che vi sia un processo ancora in corso ed il provvedimento impugnato non sia, quindi, divenuto definitivo (v. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 15978 del 27/06/2017);
il che appunto avviene nel caso in esame in cui il ricorso per cassazione contesta la debenza del maggiore tributo ed in conseguenza delle collegate sanzioni;
occorre aggiungere poi che, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, è sopravvenuto un recente indirizzo giurisprudenziale secondo cui le modifiche apportate dal d. Lgs. n. 158 del 2015 non operano in maniera generalizzata in favor rei , rendendo la sanzione irrogata illegale, sicché deve escludersi che la mera deduzione, in sede di legittimità, di uno ius superveniens più favorevole, senza specifiche allegazioni rispetto al caso concreto idonee ad influire sui parametri di commisurazione della sanzione, imponga la cassazione con rinvio della sentenza impugnata (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15828 del 15/06/2018 e successive conformi, da ultimo, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29046 del 11/11/2019). Nella specie, peraltro, la questione non era deducibile al tempo dell’appello mentre lo era -ed è stata in esso proposta -al momento della notifica del ricorso per cassazione;
in tale atto è altresì trascritta, correttamente ai fini del rispetto del principio di specificità e localizzazione dei motivi di ricorso, la parte dell’avviso di accertamento contenente il conteggio delle sanzioni in argomento. Orbene, l’avvenuta contestazione, da parte della contribuente, della legittimità degli accertamenti di maggiori imposte, come si è già detto, esclude per ciò solo che sia divenuto definitivo il provvedimento di irrogazione delle sanzioni che da tali accertamenti consegue ex lege ed impone che sia presa in esame la questione prospettata -correttamente per quanto appena detto – nel motivo di cui ci si occupa;
-la trascrizione come sopra operata della parte di avviso di accertamento consente infatti di affermare che parte ricorrente ha operato quel riferimento al caso concreto che rende quindi possibile l’applicazione della disposizione più favorevole; l’applicabilità in pendenza del presente giudizio, consentita dall’art. 32, comma 1 del citato decreto, come modificato dall’art. 1, comma 133, della 1. 28 dicembre 2015, n. 208, è allora del tutto conforme all’indirizzo di questa
Corte, secondo cui, in applicazione del principio del favor rei , trova applicazione il trattamento più favorevole assicurato dallo ius superveniens , a condizione che, come nella fattispecie in esame, vi sia un giudizio ancora in corso ed il provvedimento impugnato non sia quindi divenuto definitivo (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 15978 del 27 giugno 2017; Cass. sez. 5, 21 dicembre 2016, n. 26479; Cass. sez. 5, 9 agosto 2016, n. 16679; Cass. sez. 5, 24 luglio 2013, n. 17972; Cass. sez. 5, 31 marzo 2008, n. 8243);
– la sentenza impugnata deve essere in conseguenza cassata quanto alla determinazione in concreto della misura delle sanzioni, dovendosi ora tener conto della novella legislativa sopravvenuta nel 2015, con rinvio sul punto alla CTR del l’Emilia -Romagna che a ciò provvederà tenuto conto anche, se rilevante e applicabile alla fattispecie concreta, dell’ulteriore ius superveniens di cui al d. Lgs. n. 87 del 2024 che è partimenti nuovamente intervenuto ancora in materia sanzionatoria; – nel resto, il ricorso va rigettato;
p.q.m.
accoglie l’ottavo motivo di ricorso; rigetta il ricorso nel resto; cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia di secondo grado dell’Emilia -Romagna in diversa composizione che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2024.