Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34909 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 34909 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME del Foro di Genova, e NOME COGNOME che hanno indicato recapito PEC, avendo l’impugnante dichiarato di eleggere domicilio presso lo studio del terzo difensore, alla INDIRIZZO in Roma;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 371, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia il 21.12.2017, e pubblicata il 29.1.2018;
Oggetto: Irpef 2009 – Redditi detenuti all’estero non dichiarati – Scudo fiscale – Imposizione Oneri probatori – Applicazione del favor rei per le sanzioni.
ascoltata la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME raccolte le conclusioni del P.M., s.Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha confermato la richiesta di rigetto del ricorso; ascoltate le conclusioni rassegnate, per il ricorrente, dall’Avv. NOME COGNOME che ha domandato l’accoglimento del ricorso e, per la controricorrente, dall’Avvocato dello Stato NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dell’impugnativa;
la Corte osserva:
Fatti di causa
La Guardia di Finanza, a seguito di indagini fiscali svolte nei confronti di NOME Riccardo con particolare riguardo ai capitali ed alle attività finanziarie detenute all’estero e non dichiarate, mediante Processo Verbale di Costatazione consegnato il 21.2.2011 contestava che il contribuente aveva, tra l’altro, effettivamente investito cospicui capitali in Svizzera con riferimento agli anni dal 2004 al 2009. L’Agenzia delle Entrate, recepite le valutazioni effettuate dai verificatori, redigeva separati avvisi di accertamento per i diversi anni. Con riferimento all’anno 2009 notificava al contribuente l’avviso di accertamento n. T93013L01316/2014, contestando il conseguimento di un reddito da capitale non dichiarato in relazione agli interessi percepiti (€ 222.837,00) sui fondi detenuti all’estero, da assoggettare ad imposta sostitutiva del 27%.
NOME COGNOME impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Varese, proponendo plurime censure. La CTP reputava fondate solo parzialmente le difese del ricorrente, ritenendo l’efficacia della procedura di scudo fiscale promossa dal contribuente, nei limiti dell’importo dichiarato (€ 10.000,00).
Il contribuente spiegava appello avverso la pronuncia adottata dalla CTP, nella parte in cui era risultata per lui sfavorevole, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della
Lombardia. L’Ente impositore proponeva appello incidentale in relazione alla parte in cui era risultata soccombente, pertanto con riferimento alle somme ritenute coperte dallo scudo fiscale. La CTR reputava infondate le difese proposte da entrambe le parti, e confermava la decisione di primo grado.
Avverso la pronuncia adottata dalla CTR di Milano ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandosi a sette motivi di impugnazione. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate. Il ricorrente ha pure depositato memoria.
4.1. Ha fatto pervenire le sue conclusioni scritte il Pubblico Ministero, nella persona del s.Procuratore Generale NOME COGNOME ed ha domandato il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente contesta la violazione dell’art. 44 del Dpr n. 917 del 1986, e dell’art. 53 della Costituzione, per avere la CTR erroneamente qualificato come redditi da capitale somme che, anche se fossero state realmente consegnate al contribuente, avrebbero comunque avuto la natura di solo molto parziale restituzione di un capitale sottratto dall’Avv. COGNOME
Mediante il secondo strumento d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente censura la violazione dell’art. 13 bis , in part. quarto comma, del Dl n. 78 del 2009, e dell’art. 14, in part. primo comma, lett. a), del Dl. n. 350 del 2001, perché non poteva essere accertato alcun reddito estero nei confronti del ricorrente, il quale aveva aderito al c.d. scudo fiscale, con pluralità di atti.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il contribuente critica la nullità della pronuncia impugnata, per non essersi pronunciata la CTR sulla questione che non vi era alcun reddito su cui operare
l’imposizione, in quanto l’intero capitale investito gli era stato fraudolentemente sottratto.
Mediante il quarto mezzo d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 44 del Dpr n. 917 del 1986 (Tuir) perché anche a voler ritenere che il contribuente abbia conseguito redditi all’estero, questi non potevano essere qualificati come interessi e altri proventi derivati da mutui, depositi e conti correnti, ed assoggettati perciò a prelievo nella misura del 27%, ma tali proventi avrebbero dovuto essere qualificati come redditi diversi, ed essere assoggettati ad imposta sostitutiva con aliquota del 12,50%.
Con il suo quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il contribuente ‘in estremo subordine’ (ric., p. 36), contesta la violazione dell’art. 1, commi 2 e 3, del D.Lgs. n. 471 del 1997, perché nessuna sanzione tributaria poteva essere inflitta al ricorrente, il quale non si è reso responsabile di alcuna dichiarazione infedele, non avendo percepito i redditi che gli vengono contestati.
Con il sesto strumento d’impugnazione, anch’esso indicato come introdotto in estremo subordine, il Fiorina domanda applicarsi il principio del favor rei in materia di sanzioni, essendo sopravvenuta la legge n. 208 del 2015, che ha ridotto le sanzioni tributarie conseguenti alla dichiarazione infedele.
Mediante il settimo mezzo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il contribuente censura ancora la nullità della sentenza impugnata, per non essersi il giudice del gravame pronunciato su ben otto questioni proposte dal ricorrente.
Sembra opportuno ripercorrere, in estrema sintesi, le vicende che hanno originato il presente giudizio. NOME COGNOME affidava all’Avv. NOME COGNOME ingenti capitali, che ammette
nella misura di 1.650.000,00 Euro, perché fossero investiti. La GdF rinveniva presso il legale evidenze della detenzione di capitali del contribuente all’estero, in Svizzera, e del versamento in suo favore di somme a titolo di interessi. Queste ultime sono l’oggetto principale del presente giudizio. Il COGNOME, nella sua dichiarazione dei redditi, non annotava la detenzione dei capitali all’estero e la percezione di interessi. L’Agenzia delle Entrate emetteva pertanto separati avvisi di accertamento, uno con riferimento agli anni dal 2004 al 2007, che è oggetto presso questa Corte del fascicolo RGN 14772/16, trattato contestualmente nella medesima udienza, un altro con riferimento all’anno 2008, che è oggetto presso questa Corte del fascicolo RGN 17575/17, anch’esso trattato contestualmente nella medesima udienza, nonché in relazione all’anno 2009, atto impositivo che è oggetto di questo giudizio, richiedendo il pagamento dei tributi che riteneva essere stati evasi. Il COGNOME proponeva azioni giudiziarie in Italia ed in Svizzera nei confronti del COGNOME, sostenendo che l’Avvocato si era appropriato dei fondi che gli erano stati affidati per l’investimento all’estero. I procedimenti non si concludevano con l’affermazione della responsabilità del COGNOME per essersi appropriato dei fondi consegnatigli dal COGNOME.
Tanto premesso il ricorrente, con il suo primo mezzo d’impugnazione, censura la violazione di legge in cui ritiene essere incorsa la CTR, per avere il giudice dell’appello erroneamente qualificato come redditi da capitale somme che, anche se fossero state realmente consegnate al contribuente, avrebbero comunque avuto la natura di solo molto parziale restituzione di un capitale sottratto dall’Avv. COGNOME.
9.1. Invero la critica del contribuente si basa innanzitutto su di un presupposto indimostrato, perché il ricorrente sostiene che il COGNOME si sia appropriato dei fondi che il COGNOME ammette di avergli consegnato perché le investisse, ma è quindi innanzitutto questo
che il contribuente avrebbe dovuto illustrare come avesse dimostrato nel corso dei gradi di merito del giudizio.
Tanto premesso, la tesi del ricorrente appare infondata anche sul piano deduttivo. Anche ad ammettere che abbia subito la sottrazione del suo capitale, infatti, questo non dimostra affatto che non gli siano state corrisposte delle somme a titolo di interessi. Anzi, è lo stesso contribuente ad aver ammesso ai Militari verbalizzanti di avere ricevuto delle somme a tale titolo, negli anni 2004 e 2005, mentre non ha fornito alcuna prova di non aver ricevuto somme per interessi in relazione all’anno 2009.
Il primo motivo di ricorso risulta pertanto infondato, e deve perciò essere respinto.
Mediante il secondo strumento d’impugnazione il contribuente critica la violazione di legge in cui ritiene essere incorsa la CTR, perché non poteva essere accertato alcun reddito estero nei suoi confronti, avendo aderito al c.d. scudo fiscale.
10.1. La censura risulta infondata. Il ricorrente ha aderito allo scudo fiscale con dichiarazione riservata per un valore di Euro 10.000,00, rispetto ad un capitale di Euro 1.650.000,00 che ammette di aver investito all’estero ma sostiene essergli stato sottratto. Di questa sottrazione però, non è riuscito a fornire la prova, come si è anticipato e come ancora si illustrerà nel prosieguo. Lo scudo fiscale, invero, preclude l’accertamento tributario ‘limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio’ (art. 14, comma 1, Dl n. 350 del 2001, ma cfr. anche il comma 6), nel caso di specie risulta ‘scudata’, pertanto, la somma di Euro 10.000,00, mentre la contestazione è di avere detenuto all’estero, percependo gli interessi, capitali non dichiarati per un valore superiore al milione e mezzo di Euro.
10.2. Inoltre, il contribuente lamenta che la CTR non ha tenuto conto delle ‘altre dichiarazioni riservate presentate nel 2009’ (ric.,
15), argomento riproposto con il settimo strumento di impugnazione. Deve allora osservarsi che è lo stesso COGNOME ad aver ammesso di avere conseguito in eredità dal nonno la somma di Euro 1.650.000,00 detenuta in Svizzera, ed è proprio questo l’importo che indica nell’adesione allo scudo fiscale esaminata dalla CTR, ed anche da questa Corte poco innanzi, che il COGNOME ha inteso rimpatriare attribuendole il valore residuo di Euro 10.000,00.
Ora, anche ad ipotizzare di poter prescindere dalla estrema genericità della contestazione, perché il ricorrente neppure trascrive il contenuto delle sue ulteriori adesioni alla scudo fiscale, occorre ricordare che il giudice dell’appello ha ritenuto che in relazione al capitale di Euro 1.650,000.00 possa tenersi conto solo della adesione allo scudo fiscale appena riassunta nei contenuti, dovendo ritenersi che ‘le ulteriori dichiarazioni riservate afferiscono ad altre attività di natura finanziaria detenute all’estero’ (sent. CTR, p. 4), e questa chiara e condivisibile valutazione non risulta sottoposta a critica specifica da parte del contribuente.
Il secondo motivo di ricorso risulta pertanto infondato, e deve perciò essere respinto.
11. Con il terzo motivo di ricorso il contribuente critica la nullità della impugnata decisione della CTR per non aver pronunciato sulla censura che non vi era alcun reddito su cui operare l’imposizione, in quanto l’intero capitale investito gli era stato sottratto dall’Avv. COGNOME
11.1. Premesso che la selezione degli elementi di prova e di quelli che occorre valorizzare ai fini della decisione compete al giudice del merito, deve rilevarsi come la CTR annoti che ‘dagli atti di causa si può desumere con sufficiente attendibilità che gli interessi maturati sull’investimento di capitali all’estero effettuato del Fiorina, tramite l’avv. COGNOME, erano pari ad € 222.837,00 per l’anno 2009, come si rileva dal prospetto rinvenuto dai militari verificatori a seguito di attività istruttoria e dalla disposizione di
accredito degli stessi, anch’essa rinvenuta in tale sede, nella quale risultava scritturato il codice IBAN di una banca svizzera con annotazione a matita del nome ‘Riccardo” (sent. CTR, p. 3). Il giudice dell’appello concentra pertanto la sua attenzione sulla ritenuta percezione degli interessi da parte del Fiorina, che è poi l’oggetto del presente giudizio. Nell’esprimere tale valutazione ritiene di poter prescindere dall’esprimere valutazioni anche in relazione alla pretesa appropriazione, da parte del COGNOME, dei fondi che gli erano stati consegnati dal Fiorina.
11.2. In effetti nulla impedisce che l’intermediario il quale si è appropriato di fondi affidatigli da un cliente, corrisponda tuttavia a quest’ultimo delle somme a titolo di interessi. Occorre anche rilevare che, pur avendo il contribuente riportato plurimi stralci dei suoi scritti difensivi, non emerge in realtà la proposizione della questione circa la pretesa mancata corresponsione di interessi perché il fiduciario si era appropriato dei suoi capitali e, per la verità, la questione non appare neppure esattamente comprensibile, per la ragione innanzi esposta. Afferma il ricorrente che non avrebbero dovuto ritenersi utilizzabili documenti provenienti dal COGNOME, in considerazione della sua condotta. Ma il contribuente non chiarisce come abbia provato questa condotta. Sostiene che la prova della sua condotta evasiva sarebbe stata fondata ‘unicamente in base a quanto scritto dall’Avv. COGNOME nel citato foglietto’, che riassumeva il calcolo degli interessi, ‘ma è credibile?’ (ric., p. 31).
11.2.1. Invero può innanzitutto ricordarsi che i Militari verbalizzanti hanno raccolto una pluralità di indizi di responsabilità a carico del contribuente, non un mero appunto sugli interessi maturati nei diversi anni in favore del Fiorina. Si è già segnalato che lo stesso contribuente ammette nel PVC di avere consegnato ingenti somme all’Avv. COGNOME e di averne ricevuto in due occasioni la corresponsione di somme a titolo di interessi (anni 2004 e
2005). A tanto deve aggiungersi che presso l’affidatario del denaro è stata rinvenuta una cartellina contenente documentazione riferibile al ricorrente riportante, tra l’altro, l’ammontare delle somme investite, le modalità di calcolo degli interessi, l’Iban di un conto corrente svizzero che l’odierno ricorrente ha ammesso essergli riferibile, ed inoltre corrispondenza intercorsa tra il Rausse ed il Fiorina, contenente accordi sulla modalità di accredito degli interessi per il tramite dell’Avvocato svizzero NOME COGNOME in De Pietri.
A fronte di questi rilevanti elementi indiziari il contribuente invoca che il COGNOME è stato sospettato di aver posto in essere plurime truffe, e vi sono denunce e procedimenti civili intentati nei confronti del fiduciario. Il ricorrente non è stato in grado di dimostrare, però, che alcun procedimento giudiziario abbia comportato la condanna del COGNOME per essersi appropriato dei fondi che gli erano stati pacificamente consegnati dal contribuente.
11.3. Il giudice del merito, esprimendo il giudizio sul fatto processuale che gli compete, raffrontati gli elementi assicurati dalle parti al processo, li ha valutati e confrontati, ed ha ritenuto assolutamente pregnanti e decisivi gli elementi indiziari assicurati dall’Amministrazione finanziaria per affermare l’intervenuta corresponsione degli interessi (anche) nell’anno 2009, ed in conseguenza inadeguati a contrastarli quelli proposti dal Fiorina.
Il ricorrente lamenta una omessa pronuncia della CTR, ma in relazione ad una domanda che neppure riesce a dimostrare di avere chiaramente proposto, e ad un tempo non contrasta efficacemente la pronuncia del giudice dell’appello, non dimostra che la sua valutazione sia risultata errata, non chiarisce perché gli elementi valorizzati dalla CTR dovrebbero invece ritenersi certamente recessivi rispetto agli elementi da lui forniti.
Il terzo motivo di ricorso risulta pertanto, nella parte in cui possa ritenersi ammissibile, comunque infondato, e deve perciò essere rigettato.
Con il suo quarto motivo di ricorso, subordinatamente proposto, il COGNOME contesta la violazione di legge in cui sarebbe incorso il giudice dell’appello perché, anche a voler ritenere che il contribuente abbia conseguito redditi all’estero, questi non potevano essere qualificati come interessi e altri proventi derivati da mutui, depositi e conti correnti, ed assoggettati a prelievo nella misura del 27%, ma tali proventi avrebbero dovuto essere qualificati come redditi diversi, ed essere assoggettati ad imposta sostitutiva con aliquota del 12,50%.
Il contribuente fonda la propria tesi anche sul fatto che l’Amministrazione finanziaria ha qualificato i medesimi redditi quali redditi diversi, e li ha assoggettati all’aliquota d’imposta ridotta, in avvisi di accertamento relativi ad anni diversi.
12.1. Invero le valutazioni espresse dall’Ufficio finanziario in relazione a diverso anno di imposta non sono vincolanti, e quella operata nell’avviso di accertamento qui in esame, avendo l’Agenzia delle Entrate qualificato gli interessi quale reddito da capitale (art. 44, comma 1, lett. h) del Tuir), appare corretta ed immeritevole di censura.
Il quarto motivo di ricorso deve essere pertanto rigettato perché infondato.
Mediante il quinto strumento di impugnazione il contribuente critica la violazione di legge in cui reputa essere incorso il giudice del gravame, perché nessuna sanzione tributaria poteva essergli inflitta, non essendosi reso responsabile di alcuna dichiarazione infedele, non avendo percepito i redditi che gli vengono contestati.
Il motivo di ricorso presenta un’evidente petizione di principio, perché dà per scontato proprio quanto il contribuente non è riuscito
a dimostrare, cioè che non ha percepito il reddito da corresponsione di interessi che gli viene contestato. La tesi che il contribuente non abbia percepito il reddito è rimasta indimostrata, e ne consegue che la sua dichiarazione dei redditi risulta infedele, e perciò assoggettabile a sanzione.
Il quinto motivo di ricorso è pertanto infondato e deve essere respinto.
Con il sesto motivo di ricorso, in ulteriore subordine, il COGNOME domanda applicarsi il principio del favor rei in materia di sanzioni, essendo sopravvenuta la legge n. 208 del 2015, che ha ridotto le sanzioni tributarie conseguenti alla dichiarazione infedele.
La revisione del sistema sanzionatorio invocata dalla società, di cui al D.lgs. n. 158 del 2015, in effetti non ha previsto una generalizzata riduzione delle sanzioni tributarie, ma ha dettato una diversa disciplina che risulta in parte favorevole per il contribuente.
Lo ius superveniens risulta peraltro vigente in relazione a tutti i giudizi ancora in corso (cfr. Cass. sez. V, 30.3.2021, n. 8716), ed è compito innanzitutto del giudice del merito pronunziarsi sul se debba applicarsi al contribuente una disciplina sanzionatoria più favorevole.
In proposito l’Amministrazione finanziaria ha affermato in controricorso di aver provveduto d’ufficio a rideterminare la sanzione con applicazione del regime più favorevole, ma non ha fornito ulteriori riscontri. Non ha spiegato mediante quale atto abbia provveduto alla rideterminazione, non ha chiarito qual era la sanzione originariamente irrogata e quale la nuova.
14.1. Inoltre, verificato quale sia la corretta sanzione applicabile, in considerazione del disposto di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015, occorrerà anche valutare la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente in memoria, in relazione alle previsioni di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 87 del 2024.
Il sesto strumento di impugnazione risulta quindi fondato e deve essere pertanto accolto.
Con il settimo motivo di ricorso il contribuente denuncia la nullità della decisione del giudice dell’appello, per non aver pronunciato su ben otto diversi motivi proposti con l’atto di appello.
Il ricorrente propone in proposito un mero elenco in cui riporta una pluralità di lagnanze, senza indicare quale sia la natura delle singole censure proposte, quali siano le norme che ritiene violate, e senza riportare neppure in sintesi il contenuto delle sue critiche. Ora, a parte che alcune questioni sono state espressamente esaminate dalla CTR, ad esempio in materia di ‘valenza degli altri scudi’, ed altre risultano ripetitive di contestazioni già esaminate, così come riportate le censure non sono scrutinabili, perché neppure illustrano con una minima chiarezza il contenuto delle doglianze. Poiché è lo stesso ricorrente ad indicare che le censure sono state proposte in questo modo, e si è provveduto a verificarlo, le stesse risultavano senz’altro inammissibili, e il giudice dell’appello non era tenuto a pronunciarsi in merito (Cass. sez. V, 16.7.2023, n. 20363; Cass. sez. I, 25.9.2018, n. 22784).
Il settimo motivo di ricorso deve essere perciò respinto.
16. In definitiva deve essere accolto il sesto strumento d’impugnazione, respinti gli ulteriori, e la pronuncia della CTR deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia perché proceda a nuovo giudizio.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M.
accoglie il sesto motivo di ricorso introdotto da NOME COGNOME respinti gli ulteriori, cassa la decisione impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia perché proceda a
nuovo giudizio, e provveda anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 29.11.2024.