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Favor rei sanzioni: Cassazione su redditi esteri

Un contribuente ha contestato un accertamento IRPEF su redditi da capitali esteri non dichiarati, adducendo una presunta sottrazione dei fondi da parte di un terzo e la protezione derivante dallo “scudo fiscale”. La Corte di Cassazione ha rigettato gran parte dei motivi, confermando l’imponibilità dei redditi. Tuttavia, ha accolto il motivo relativo all’applicazione del principio del ‘favor rei’ per le sanzioni tributarie, stabilendo che deve essere applicata la normativa sopravvenuta più favorevole (L. 208/2015). La sentenza è stata cassata con rinvio per la rideterminazione delle sanzioni.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Favor Rei nelle Sanzioni Tributarie: La Cassazione sul Caso dei Redditi Esteri

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cardine in materia sanzionatoria: l’applicazione del favor rei. Questo principio impone di applicare la legge più mite sopravvenuta, anche per violazioni commesse in passato. Il caso analizzato riguarda un contribuente a cui erano stati contestati ingenti redditi di capitale detenuti all’estero e non dichiarati. Sebbene la Corte abbia respinto le principali difese del contribuente, ha accolto il ricorso sul punto cruciale delle sanzioni, ordinando un nuovo giudizio per applicare la disciplina più vantaggiosa.

I Fatti di Causa: Capitali in Svizzera e l’Accertamento Fiscale

La vicenda trae origine da un accertamento della Guardia di Finanza nei confronti di un contribuente per l’anno d’imposta 2009. Le indagini avevano rivelato la detenzione di cospicui capitali in Svizzera e la percezione di interessi per oltre 222.000 euro, non dichiarati al fisco italiano. L’Agenzia delle Entrate aveva quindi notificato un avviso di accertamento per recuperare l’imposta sostitutiva del 27% su tali somme.

Il contribuente si è opposto all’atto impositivo sostenendo una tesi difensiva complessa: i capitali erano stati affidati a un legale per essere investiti, ma quest’ultimo se ne sarebbe appropriato indebitamente. Di conseguenza, le somme percepite non sarebbero state interessi, bensì una minima e parziale restituzione del capitale sottratto, e quindi non tassabili.

La Difesa del Contribuente e il Principio del Favor Rei

Oltre alla questione della presunta sottrazione del capitale, il contribuente ha sollevato altre eccezioni, tra cui:

* Efficacia dello scudo fiscale: Sosteneva di aver aderito a una procedura di regolarizzazione che avrebbe dovuto precludere l’accertamento.
* Errata qualificazione del reddito: In subordine, chiedeva che i proventi fossero qualificati come “redditi diversi” (con aliquota al 12,50%) anziché “redditi di capitale”.
* Applicazione del favor rei: In via di ulteriore subordine, invocava l’applicazione di una legge del 2015 che aveva ridotto le sanzioni per la dichiarazione infedele.

I giudici di primo e secondo grado avevano respinto quasi integralmente le sue difese, confermando la pretesa fiscale. La questione è così approdata in Corte di Cassazione.

La Decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha analizzato i sette motivi di ricorso presentati dal contribuente, rigettandone la maggior parte. In particolare, ha ritenuto non provata la tesi della sottrazione del capitale da parte del legale, sottolineando che il contribuente stesso aveva ammesso in passato di aver ricevuto somme a titolo di interessi. Anche la difesa basata sullo scudo fiscale è stata respinta, poiché la regolarizzazione aveva coperto solo una somma minima (10.000 euro) rispetto all’ingente capitale investito.

Tuttavia, la Corte ha accolto il sesto motivo, quello relativo all’applicazione del favor rei.

Le Motivazioni

La Cassazione ha stabilito che il principio dello ius superveniens (legge sopravvenuta) più favorevole è pienamente operativo in materia di sanzioni tributarie e si applica a tutti i giudizi ancora in corso. La legge n. 208 del 2015 ha introdotto una disciplina sanzionatoria per la dichiarazione infedele potenzialmente più mite di quella vigente al momento della violazione.

È compito del giudice di merito verificare in concreto se la nuova disciplina sia più favorevole e, in caso affermativo, applicarla per rideterminare la sanzione. L’Amministrazione Finanziaria aveva sostenuto in giudizio di aver già provveduto d’ufficio a ricalcolare la sanzione, ma non aveva fornito alcuna prova di tale atto né dei dettagli del ricalcolo. Di fronte a questa carenza probatoria, la Corte ha ritenuto fondato il motivo del ricorrente.

Le Conclusioni

La sentenza impugnata è stata cassata limitatamente al punto delle sanzioni. Il caso è stato rinviato alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, che dovrà procedere a un nuovo giudizio per determinare l’esatta sanzione applicabile alla luce della normativa più favorevole introdotta nel 2015. Questa decisione conferma un importante diritto per il contribuente: beneficiare delle modifiche legislative più miti fino a quando la sentenza non diventa definitiva, garantendo che la sanzione sia sempre proporzionata secondo l’ordinamento vigente al momento del giudizio.

Lo “scudo fiscale” protegge da ogni accertamento futuro sui capitali esteri?
No, la protezione offerta dallo scudo fiscale è limitata agli imponibili rappresentati dalle somme e dalle attività specificamente dichiarate e oggetto di rimpatrio o regolarizzazione. Nel caso di specie, avendo il contribuente dichiarato solo 10.000 euro, l’accertamento sui redditi prodotti dal capitale ben più ingente era legittimo.

Se un contribuente non riesce a dimostrare che i suoi capitali sono stati sottratti, è tenuto a pagare le tasse sugli interessi?
Sì. Secondo la sentenza, se il contribuente non fornisce prove concrete della sottrazione del capitale, la presunzione di percezione degli interessi basata su elementi indiziari (come documenti contabili, ammissioni precedenti, ecc.) raccolti dall’Amministrazione Finanziaria rimane valida. L’onere della prova della mancata percezione del reddito grava sul contribuente.

Cosa significa il principio del “favor rei” nelle sanzioni tributarie?
Significa che se, dopo la commissione di una violazione tributaria, entra in vigore una nuova legge che prevede sanzioni più leggere, questa nuova legge deve essere applicata al contribuente, a condizione che il procedimento non sia ancora concluso con una sentenza definitiva. È compito del giudice verificare quale sia la norma più favorevole e applicarla al caso concreto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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