Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20710 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 20710 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LA COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
SENTENZA
sui ricorsi riuniti iscritti ai nn. 7722/2016 e 7732/2016 R.G. proposti da:
RAGIONE_SOCIALE IN FALLIMENTO , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (P_IVA) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZE di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. BRESCIA n. 3948/2015 e 3949/15 depositate il 17/09/2015.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 29/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
Uditi l’AVV_NOTAIO per la ricorrente e l’AVV_NOTAIO per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 128/12/2012 la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Brescia, riuniti i ricorsi della contribuente RAGIONE_SOCIALE, aveva annullato parzialmente gli avvisi di accertamento per gli anni 2005, 2006 e 2007, con cui si erano recuperate IRES, IVA e IRAP a seguito dell’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, ritenendo la deducibilità dei costi portati da tali fatture e confermando l’indetraibilità dell’IVA.
Avverso questa sentenza hanno proposto appello davanti alla Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Lombardia tanto l’RAGIONE_SOCIALE quanto il RAGIONE_SOCIALE della società. Senza riunire i gravami il medesimo Collegio ha pronunziato, in pari data, due distinte sentenze: con la sentenza n. 3948/15 ha accolto il gravame erariale sui costi e con la sentenza n. 3949/15 ha rigettato l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE sull’IVA.
Secondo la CTR, si trattava di operazioni soggettivamente inesistenti, pur essendo « rimasto oscuro » il vero fornitore, e il contribuente, « accordandosi per l’utilizzo » di quelle fatture, aveva comunque violato il dovere di collaborazione e buona fede di cui all’art. 10 AVV_NOTAIO Statuto del contribuente (legge n. 212/2000); i costi, invece, erano deducibili se si fosse trattato di operazioni effettive e reali, connotate dall’inerenza, ma la contribuente non aveva fornito la prova in grado di superare la presunzione di indeducibilità.
Avverso queste sentenze il RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorsi per cassazione affidati ciascuno a tre motivi, quello RG n. 7722/16 contro la sentenza n. 3948/15, in cui il ricorrente ha
depositato memoria, e altro RG n. 7732/16 contro la sentenza n. 3949/15.
Resiste in entrambi i giudizi l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi devono essere riuniti ex art. 274 c.p.c. in base al principio generale secondo cui il giudice può ordinare la riunione in un solo processo di impugnazioni diverse, oltre che nei casi espressamente previsti, anche ove ravvisi in concreto – come nella specie appare del tutto evidente – elementi di connessione tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiunto (Cass. sez. un., n. 18050 del 2010).
Con il primo motivo si deduce, in entrambi i ricorsi, violazione e falsa applicazione degli artt. 335 c.p.c. e 49 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., avendo il Collegio di secondo grado omesso di riunire i due giudizi d’appello instaurati contro la stessa sentenza.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. L’inosservanza, da parte del giudice d’appello, dell’obbligo di riunire, in un unico procedimento, i gravami separatamente proposti contro la medesima sentenza non spiega effetti quando, malgrado la formale mancanza di un provvedimento di riunione, dette impugnazioni abbiano sostanzialmente avuto uno svolgimento unitario, in quanto – come nella specie – chiamate alla stessa udienza, nonché contestualmente discusse e decise dallo stesso collegio con il medesimo relatore, così restandosi nell’ambito della mera redazione separata di due pronunce per una decisione di tipo unitario (salva, poi, la facoltà di riunione dei ricorsi che siano stati proposti contro di esse). La decisione di una RAGIONE_SOCIALE impugnazioni non precedentemente riunite, inoltre, non determina l’improcedibilità RAGIONE_SOCIALE altre, sempre che non si venga a formare il giudicato sulle questioni investite da queste ultime, dovendosi
attribuire prevalenza – in difetto di previsioni sanzionatorie da parte dell’art. 335 c.p.c. – alle esigenze di tutela del soggetto che ha proposto l’impugnazione rispetto a quelle della economia processuale e della teorica armonia dei giudicati (Cass. n. 20514 del 2016).
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. avendo la CTR pronunziato, in entrambe le sentenze, oltre i limiti dell’appello. Il gravame erariale aveva riguardato la parte della sentenza di primo grado relativa alla deducibilità dei costi ma, secondo la ricorrente, la CTR, con la sentenza n. 3948/15, aveva anche confermato la sentenza impugnata « per la parte relativa all’indetraibilità dell’IVA »; sull’appello della RAGIONE_SOCIALE, con cui si denunziava l’erronea pronunzia di indetraibilità dell’IVA da parte dei primi giudici, con la sentenza n. 3949/15 la CTR aveva deciso per la indeducibilità dei costi, in riforma della sentenza della CTP, sebbene l’Ufficio non avesse proposto appello incidentale, incorrendo così nel vizio di ultrapetizione.
3.2. Le questioni sono palesemente infondate: le sentenze presentano una parte di motivazione comune ma i dispositivi sono diversi e riportano, correttamente, l’accoglimento dell’appello dell’Ufficio (la n. 3948/15) e il rigetto dell’appello della società (la n. 3949/15), cosicché non vi è alcun dubbio sulle rationes RAGIONE_SOCIALE due decisioni nel senso della affermazione della indeducibilità dei costi, con riguardo all’appello dell’Ufficio, e della conferma della indetraibilità dell’IVA, con riguardo all’appello della contribuente. Non ricorre, quindi, alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c.
Con il terzo motivo di ricorso contro la sentenza n. 3948/15 la società deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 8 d.l. n. 16/2012 in relazione agli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per non aver la CTR riconosciuto la deducibilità dei costi relativi alle operazioni
soggettivamente inesistenti, operando l’art. 14 comma bis l. n. 537/1993, come modificato dall’art. 8 d.l. n. 16/2012, atteso che l’Amministrazione non aveva contestato la deducibilità dei costi né negli avvisi di accertamento né nelle difese in primo grado.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 14, comma 4 bis, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (nella formulazione introdotta con l’art. 8, comma 1, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. in legge 26 aprile 2012 n. 44), che opera, in ragione del precedente comma 3, quale jus superveniens con efficacia retroattiva in bonam partem , sono deducibili i costi RAGIONE_SOCIALE operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una “frode carosello”), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento RAGIONE_SOCIALE operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo (Cass. n. 26461 del 2014; Cass. n. 17788 del 2018; Cass. n. 31789 del 2019; Cass. n. 9077 del 2021). In altri termini, l’art. 14 comma 4 bis, cit. prevede la deducibilità dei costi da operazioni soggettivamente inesistenti ma non attribuisce automaticamente il diritto alla deduzione, restando ferme le regole in tema di deducibilità. Il recupero dei costi derivanti dalle fatture soggettivamente inesistenti in quanto « fatture false emesse dalle cartiere » (v. sentenza n. 3948/15), implica la contestazione della ricorrenza dei presupposti di deducibilità; evidenziandosi l’illecito, l’Ufficio deduce in sostanza che le fatture potevano essere « espressive di finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’impresa » (Cass. n. 23550 del 2014) e si contesta l’inerenza di quei costi, ciò che pone in capo alla ricorrente l’onere di provare la loro deducibilità, secondo la
costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 24880 del 2022; Cass. n. 30366 del 2019; Cass. n. 4554 del 2010).
4.3. Risulta così infondata anche la questione della tardività RAGIONE_SOCIALE contestazioni mosse in appello dall’Amministrazione in ordine ai requisiti di deducibilità, evidenziata in memoria dalla ricorrente. A fronte della contestazione iniziale, quelle ragioni di gravame non rappresentano eccezioni in senso tecnico o domande nuove -e non si espongono, quindi, al divieto di ultrapetizione e a quello di proporre in appello nuove eccezioni (non rilevabili d’ufficio) posto dall’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del DATA_NASCITA – ma costituiscono mere argomentazioni difensive, tendenti ad inficiare la sentenza della CTP sotto un profilo logico ulteriore rispetto a quello esposto in primo grado (Cass. n. 2413 del 2021).
5. Con il terzo motivo di ricorso proposto contro la sentenza n. 3949/15 si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Osserva il RAGIONE_SOCIALE che incombe sull’Amministrazione l’onere di provare, anche in via indiziaria, l’assenza di buona fede del cessionario; una volta fornita tale prova, quest’ultimo avrà l’onere di dare la prova liberatoria e di dimostrare la propria buona fede; in questo caso, gli elementi forniti dall’Ufficio non erano sufficienti a provare la fittizietà RAGIONE_SOCIALE società venditrici e acquirenti né ad escludere la buona fede degli amministratori della RAGIONE_SOCIALE, consistendo soltanto in dichiarazioni di terzi nell’ambito del procedimento penale promosso in relazione ai fatti per cui è causa e non potendo avere alcun valore le stampe allegate dall’RAGIONE_SOCIALE relative ad ‘anagrafiche’, ‘riepiloghi’ e ‘interrogazioni’.
5.1. In disparte la carenza di autosufficienza della doglianza, i cui riferimenti agli elementi raccolti in causa sono estremamente generici e non consentono alcuna valutazione sulla base della sola
lettura del ricorso, il motivo è inammissibile sotto il paradigma del n. 5, non emergendo un vero e proprio fatto storico decisivo, il cui esame sarebbe stato omesso, ma incentrandosi la doglianza sulla rivalutazione del materiale probatorio; la censura prevista dal novellato art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia di un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storiconaturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (Cass. n. 13024 del 2022; Cass. n. 14802 del 2017); non possono considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base RAGIONE_SOCIALE prove acquisite nel corso del relativo giudizio (Cass. n. 10525 del 2022).
5.2. Sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, la complessiva esposizione mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito ed è, pertanto, inammissibile (Cass., Sez. Un., n. 34476 del 2019). La doglianza non evidenzia alcuna violazione dell’art. 2697 cod. civ. che si configura soltanto quando il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare e non invece laddove oggetto della censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto RAGIONE_SOCIALE prove proposte dalle parti (Cass., n. 26769 del 2018; Cass., n. 13395 del 2018); tale valutazione, in questo caso, è stata condotta anche con riguardo al
tema della prova dell’elemento soggettivo , come emerge laddove la CTR ha osservato che « di buona fede da parte del contribuente non si può nemmeno fare accenno ».
Conclusivamente i ricorsi riuniti devono essere rigettati e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
dispone la riunione al ricorso RG n. 7722/16 del ricorso RG n. 7732/2016;
rigetta i ricorsi riuniti;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 40.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi principali, a norma del comma 1-bis, AVV_NOTAIO stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 29/02/2024.