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Fatture soggettivamente inesistenti: onere prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, interviene sul tema delle fatture soggettivamente inesistenti, chiarendo la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente. Una società operante nel settore dei rottami ferrosi si era vista contestare la deducibilità dei costi e la detraibilità dell’IVA per fatture emesse da presunte società “cartiere”. Sebbene i giudici di merito avessero dato ragione al contribuente, la Suprema Corte ha cassato la sentenza, ribadendo che spetta all’Amministrazione Finanziaria provare, anche tramite indizi, che l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode. A quel punto, l’onere passa al contribuente, che deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza, non essendo sufficiente la mera regolarità contabile o la tracciabilità dei pagamenti.

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Pubblicato il 6 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture Soggettivamente Inesistenti: la Cassazione sull’Onere della Prova

La gestione delle fatture soggettivamente inesistenti rappresenta una delle sfide più complesse per le imprese. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi fondamentali che regolano la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente, sottolineando come la semplice regolarità formale della documentazione non sia sufficiente a garantire la deducibilità dei costi e la detrazione dell’IVA. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da due avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società a responsabilità limitata operante nel commercio di rottami. L’Amministrazione Finanziaria contestava maggiori imposte (IRES, IRAP e IVA) per l’anno 2007, a seguito dell’utilizzo di fatture ritenute soggettivamente inesistenti. Tali fatture provenivano da società che, secondo indagini della Guardia di Finanza, erano state create al solo fine di consentire la vendita “in nero” di materiale ferroso, agendo come meri interposti fittizi.

La società contribuente ha impugnato gli atti, ottenendo ragione sia in primo grado, presso la Commissione Tributaria Provinciale, sia in appello, davanti alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di merito hanno ritenuto che l’impresa fosse estranea alla frode fiscale, che i costi fossero stati effettivamente sostenuti e che i pagamenti, essendo tracciabili tramite sistema bancario, legittimassero la deducibilità e la detraibilità contestate.

Il Ricorso in Cassazione e le Fatture Soggettivamente Inesistenti

L’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali. Il primo, giudicato inammissibile per difetto di autosufficienza, è stato rigettato. Il secondo motivo, invece, è stato accolto e ha rappresentato il cuore della decisione.

Con questo motivo, l’Amministrazione lamentava la violazione delle norme sull’onere della prova in materia di IVA e imposte dirette. Sosteneva che la CTR avesse erroneamente ritenuto sufficiente la documentazione formale prodotta dal contribuente (fatture, pagamenti tracciabili) per superare i gravi indizi di frode emersi dalle indagini. Secondo il Fisco, in presenza di fatture soggettivamente inesistenti, il giudice avrebbe dovuto valutare se il contribuente fosse stato consapevole, o avrebbe dovuto esserlo, di partecipare a un’operazione fraudolenta.

Le Motivazioni della Suprema Corte sull’Onere della Prova

La Corte di Cassazione ha accolto il secondo motivo, cassando la sentenza e rinviando la causa per un nuovo esame. La sua motivazione si fonda su principi consolidati della giurisprudenza nazionale ed europea.

Per quanto riguarda la detrazione dell’IVA, la Corte ha ribadito che l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare, anche tramite presunzioni, non solo la fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario della fattura. Deve dimostrare, cioè, che un imprenditore onesto e mediamente esperto, in quelle circostanze, si sarebbe dovuto accorgere dell’anomalia. Una volta fornita tale prova, l’onere si sposta sul contribuente, il quale deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto nell’evasione. La mera regolarità contabile e la tracciabilità dei pagamenti non sono, da sole, sufficienti a fornire questa prova contraria.

Sul versante della deducibilità dei costi ai fini delle imposte sui redditi, la Corte ha chiarito che, anche in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, i costi possono essere dedotti se rispettano i principi di effettività, inerenza, competenza e certezza. Tuttavia, quando l’Amministrazione contesta questi requisiti, spetta al contribuente l’onere di provare non solo l’esistenza del costo tramite la documentazione contabile, ma anche la sua ragione economica e la sua coerenza con l’attività d’impresa.

Le Conclusioni

La decisione della Suprema Corte è un monito importante per tutte le imprese. In contesti di fatture soggettivamente inesistenti, la difesa non può limitarsi a dimostrare la correttezza formale delle proprie registrazioni contabili. È necessario provare di aver adottato una condotta diligente e consapevole nella scelta dei propri partner commerciali. Questo significa che, di fronte a elementi sospetti (prezzi anomali, fornitori sconosciuti, modalità operative inusuali), l’imprenditore deve attivarsi per verificare l’affidabilità della controparte. La sentenza, cassando la decisione di merito, impone un nuovo giudizio che dovrà applicare rigorosamente questi principi sulla ripartizione dell’onere probatorio, valutando se il contribuente abbia effettivamente superato le presunzioni di coinvolgimento nella frode sollevate dall’Amministrazione Finanziaria.

Chi deve provare che l’acquirente era consapevole della frode in caso di fatture soggettivamente inesistenti ai fini IVA?
Spetta all’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare, anche in via indiziaria, che il destinatario della fattura era consapevole o avrebbe dovuto essere consapevole, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’IVA.

La regolarità contabile e la tracciabilità dei pagamenti sono sufficienti a garantire la detrazione IVA e la deduzione dei costi?
No. Secondo la Corte, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici diretti dalla rivendita sono, da soli, sufficienti a dimostrare l’assenza di consapevolezza della frode da parte del contribuente.

I costi relativi a fatture soggettivamente inesistenti sono sempre indeducibili?
No. I costi possono essere dedotti se il contribuente prova che sono stati effettivamente sostenuti e che rispettano i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza e determinabilità. L’onere di fornire questa prova, quando contestata dal Fisco, ricade sul contribuente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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