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Fatture soggettivamente inesistenti: la prova a carico

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7241/2024, ha stabilito i principi sull’onere della prova in materia di fatture soggettivamente inesistenti. Per negare la detrazione IVA, l’Amministrazione Finanziaria deve dimostrare, con elementi oggettivi, che l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode, usando la normale diligenza. La prova dell’effettiva consegna della merce e del pagamento non è sufficiente a scagionare il contribuente. La sentenza di merito è stata cassata perché non ha applicato correttamente questo standard, focalizzandosi erroneamente sulla prova di un coinvolgimento doloso anziché sulla conoscibilità della frode.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture soggettivamente inesistenti: quando la diligenza salva dalla frode

L’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti rappresenta una delle sfide più complesse per gli operatori economici e per l’Amministrazione Finanziaria. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi fondamentali sull’onere della prova, chiarendo le responsabilità del contribuente che, anche inconsapevolmente, si trova coinvolto in una frode carosello. La decisione sottolinea che la semplice prova dell’avvenuto pagamento e della ricezione della merce non è sufficiente a garantire il diritto alla detrazione dell’IVA.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato riguardava un’impresa individuale operante nel commercio di autoveicoli. A seguito di una verifica fiscale, l’Agenzia delle Entrate contestava al titolare la detrazione dell’IVA e la deduzione dei costi relativi a fatture di acquisto emesse da un’altra ditta individuale. Secondo il Fisco, il fornitore era un mero soggetto interposto, un cosiddetto ‘missing trader’, privo di una reale struttura aziendale e inserito in una catena di vendita al solo scopo di evadere l’IVA su acquisti intracomunitari.

La Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione al contribuente, ritenendo che le operazioni fossero oggettivamente avvenute, come dimostrato dai pagamenti tracciabili (assegni bancari) e dalla successiva rivendita dei veicoli. Inoltre, secondo i giudici di merito, non vi era prova del coinvolgimento del contribuente nella frode. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la CTR avesse applicato in modo errato i principi giuridici in materia.

L’onere della prova nelle fatture soggettivamente inesistenti

La questione centrale ruota attorno alla ripartizione dell’onere della prova. Chi deve dimostrare cosa quando si contesta la soggettività di un’operazione? La Cassazione, allineandosi alla costante giurisprudenza nazionale e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha chiarito i seguenti punti:

1. Onere dell’Amministrazione Finanziaria: Spetta all’Ufficio provare, anche tramite presunzioni, che l’acquirente era a conoscenza della frode o che avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza professionale. Questa prova deve basarsi su elementi oggettivi e specifici che facciano sorgere il sospetto che l’operazione si inserisse in un’evasione d’imposta.
2. Onere del Contribuente: Una volta che l’Amministrazione ha fornito tali elementi, la palla passa al contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare di aver adottato la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto nella frode. In pratica, deve provare la sua ‘buona fede oggettiva’.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza impugnata. Il ragionamento dei giudici di legittimità si fonda su un errore di diritto commesso dalla CTR. Quest’ultima, infatti, ha considerato decisiva la prova dell’esistenza oggettiva dell’operazione (pagamento e consegna dei beni), elemento che, nelle frodi carosello, è spesso parte della ‘messa in scena’ e quindi irrilevante ai fini della prova della buona fede.

Il vero punto, secondo la Cassazione, non è accertare se il contribuente fosse un ‘complice’ doloso nella frode, ma se, in base a indizi oggettivi, avrebbe dovuto sospettare dell’irregolarità. Il giudizio sulla consapevolezza va condotto non su un piano soggettivo, ma su uno standard di diligenza oggettivo, commisurato alle circostanze del caso concreto e alla professionalità dell’operatore. Il giudice di rinvio dovrà quindi rivalutare i fatti per accertare se esistevano elementi oggettivi dai quali il contribuente avrebbe dovuto dedurre di essere parte di una catena fraudolenta.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un messaggio cruciale per tutte le imprese: la scelta dei partner commerciali richiede un’attenta e costante attività di verifica. Non è sufficiente assicurarsi che la merce venga consegnata e pagata regolarmente. Per tutelare il proprio diritto alla detrazione IVA, l’imprenditore deve essere in grado di dimostrare di aver adottato tutte le cautele ragionevolmente esigibili per verificare l’affidabilità del fornitore e la regolarità dell’operazione. In un contesto di frodi sempre più sofisticate, la diligenza e la buona fede oggettiva diventano gli scudi più efficaci contro contestazioni fiscali potenzialmente molto onerose.

In caso di fatture soggettivamente inesistenti, cosa deve provare l’Amministrazione Finanziaria per negare la detrazione IVA?
L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare, anche in via presuntiva e sulla base di elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza della frode o che avrebbe dovuto saperlo usando l’ordinaria diligenza professionale.

La prova che la merce è stata effettivamente acquistata e pagata è sufficiente per garantire la detrazione IVA?
No. Secondo la Corte, la prova dell’esistenza oggettiva delle operazioni (consegna e pagamento) è irrilevante, in quanto nelle frodi carosello questi elementi fanno parte della tipica ‘messa in scena’ volta a celare l’evasione.

Cosa deve fare il contribuente per difendersi dall’accusa di aver partecipato a una frode IVA?
Una volta che l’Ufficio ha fornito indizi oggettivi sulla potenziale frode, il contribuente deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto e professionale, adottando tutte le cautele necessarie per assicurarsi di non essere coinvolto in un’operazione evasiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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